Una foto che vale mille parole

Come Begin su Osirak nel 1981, sul reattore siriano Olmert ha preso la decisione giusta

Da un articolo di Calev Ben-David

image_2093Se è vero che tante volte una foto vale mille parole, allora la foto presentata giovedì scorso al Congresso americano che ritrae il capo della Commissione nucleare siriana insieme al Direttore del reattore nucleare nordcoreano di Yongbyon vale la lunghezza di tutto l’articolo qui di seguito.
Se qualcuno si domandava come è stato possibile che si verificassero esattamente nello stesso momento due sviluppi concernenti la Siria (le recenti rivelazioni sull’attacco israeliano dello scorso settembre su un presunto impianto nucleare siriano costruito con l’aiuto dei nordcoreani, e il recente scambio di messaggi tra il primo ministro israeliano Ehud Olmert e il presidente siriano Bashar Assad, con cui Olmert avrebbe espresso approvazione alla cessione del Golan a Damasco in cambio di un autentico accordo di pace), la vista di questi due particolari funzionari – siriano e nordcoreano – che sorridono come scemi davanti all’obiettivo offre una spiegazione assai convincente.
Naturalmente all’audizione del Congresso sono state presentate altre e particolareggiate fotografie del reattore siriano di Tibnah, prove ancora più schiaccianti del ruolo svolto dalla Corea del Nord nell’aiutare Damasco a costruire il reattore che sarebbe dovuto entrare in funzione fra breve. Ma nessuna era personalmente imbarazzante come quello scatto. Ed altrettanto, se non più, eloquente del contenuto delle foto è il fatto che esse, a quanto pare, siano state fornite, o forse addirittura scattate, da un agente israeliano presso l’impianto siriano.
Se autentiche – e nonostante le smentite siriane, non c’è motivo di dubitarne, alla luce delle altre prove presentate dalla Cia al Congresso la scorsa settimana – queste foto fanno parte di uno dei più straordinari colpi di intelligence messi a segno da Israele contro la Siria dai tempi dell’affare Eli Cohen degli anni ’60. La presentazione in pubblico di queste fotografie a poca distanza dall’assassinio a Damasco, lo scorso febbraio, del capo delle operazioni terroristiche di Hezbollah Imad Mughniyeh, costituisce un tremendo imbarazzo internazionale per il regime di Assad. Sicuramente salteranno delle teste, a Damasco, forse anche in senso letterale, sempre che non sia già successo.
Nessuna meraviglia, dunque, che fonti israeliane abbiano ripetuto per settimane che il governo Olmert avrebbe preferito che il Congresso non tenesse quest’audizione, nel timore che la rivelazione del materiale potesse scuotere a tal punto Damasco da spingerla a reagire con qualche sventatezza militare contro Israele.
Il che probabilmente getta anche nuova luce sui recenti sviluppi nelle relazioni israelo-siriane, in particolare il già ricordato scambio di messaggi tra Olmert e Assad via governo turco, col quale il primo ministro israeliano avrebbe segnalato all’interlocutore siriano la propria disponibilità a un completo ritiro dalle Alture del Golan. Aver fatto trapelare sulla stampa la scorsa settimana qualche informazione circa tale scambio molto convenientemente assicura ad Assad qualche elemento con cui salvare la faccia e con cui distrarre i mass-media; cosa di cui sicuramente sentiva un gran bisogno in questo preciso momento per controbilanciare le novità in arrivo da Washington.
Col che non si vuol dire che l’offerta del Golan da parte di Gerusalemme fosse poco sincera o solo un cinico stratagemma per ridurre le tensioni con la Siria in un momento in cui avrebbero potuto raggiungere il punto di rottura. Dopo tutto, è ragionevole supporre che Olmert sia disposto a spingersi almeno fin dove si spinse il suo collega di coalizione, il ministro della difesa Ehud Barak, quando da primo ministro laburista negoziò con i siriani sul Golan otto anni fa. E forse persino un po’ più avanti, vale a dire fino a un accesso dei siriani al Lago di Tiberiade, purché nel quadro di una corretta formula complessiva.
Tuttavia vi sono diverse ragioni per cui Olmert potrebbe avanzare in questo momento una siffatta offerta nella consapevolezza che è improbabile che conduca a un reale accordo, che potrebbe risultargli politicamente problematico attuare in tempi ravvicinati.
Innanzitutto le condizioni legate all’offerta, e cioè che la Siria interrompa i suoi legami con Hamas e Hezbollah ed esca dall’orbita iraniana: condizioni probabilmente troppo difficili da ingoiare per Assad in questo frangente.
Secondo, i progressi sull’asse israelo-siriano dovrebbero probabilmente aspettare che l’amministrazione Bush, infuriata con Damasco per motivi legati all’Iraq, lasci la Casa Bianca all’inizio dell’anno prossimo.
Né Olmert può realisticamente aspettarsi che un accordo sul Golan trovi sufficiente sostegno all’interno del suo stesso governo, e nemmeno nel suo partito Kadima. Anzi, forse anticipando le reazioni negative alle rivelazioni sul suo scambio con Damasco, il primo ministro si è opportunamente organizzato una breve vacanza per la pasqua ebraica sul Golan proprio mentre uscivano queste notizie, giusto nel caso qualcuno temesse che abbia intenzione di precipitarsi a restituire le Alture ai siriani. È questo affabile tocco da pubbliche relazioni che dimostra ancora una volta che quintessenza di politico sia Olmert.
Ma la presentazione tenuta giovedì scorso a Washington dimostra anche qualcos’altro. Per quanti errori questo primo ministro possa aver fatto, è chiaro che ha avuto assolutamente ragione a ordinare il raid sull’impianto di Tibnah lo scorso settembre, nonostante i terribili rischi implicati. Le prove presentate a Washington mettono in chiaro che quel reattore era in uno stadio avanzato di sviluppo e poneva una minaccia incombente sottoforma del plutonio arricchito che avrebbe potuto produrre per armi nucleari. Di più, secondo fonti americane Olmert è andato avanti e l’ha fatto nonostante le esitazioni di Washington sul fatto se fosse preferibile tentare prima la via delle pressioni diplomatiche su Damasco. Come qualcuno nell’amministrazione Bush, dopo il fiasco sulle armi di sterminio irachene, riesca ancora a pensare che questa opzione possa credibilmente mobilitare il sostegno internazionale alla causa contro il programma nucleare siriano va oltre le possibilità di comprensione. Basta considerare la reazione ridicolmente assurda, lo scorso finesettimana, da parte del capo della AIEA (International Atomic Energy Agency) Mohamed ElBaradei – che ha preferito non criticare la Siria per la violazione evidente del Trattato di Non-Proliferazione Nucleare da essa firmato, e accusare piuttosto Israele di aver “compromesso il necessario processo di verifica” – per capire che Gerusalemme non aveva altra scelta che quella di agire rapidamente di propria iniziativa.
E Olmert ha agito.
Molti di quelli che nel 1981 criticarono Menachem Begin quando ordinò il raid sul reattore Osirak di Saddam Hussein,oggi a posteriori ammettono che aveva preso la decisione giusta. Lo stesso dovrebbe valere oggi, almeno in Israele, circa questo primo ministro così tanto criticato (e non senza ragione), il quale però, dando luce verde all’operazione del 6 settembre, ha reso un servizio coraggioso alla sicurezza del suo paese, e dell’intera regione. Anche se le ricadute di Tibnah continueranno senza dubbio influenzerà il nostro corso per settimane e per mesi, negli anni a venire potremo tutti dormire sonni più tranquilli sapendo che da qualche parte, laggiù nell’entroterra siriano i sogni atomici di Damasco giaceranno sepolti sotto le sabbie del deserto per un bel pezzo.

(Da: Jerusalem Post, 27.04.08)

Nella foto in alto: il capo del reattore nordcoreano con il capo della Commissione per l’energia atomica siriana