Una legge storicamente legittima ma legalmente indifendibile?

Infuocato dibattito in Israele sulla legge che condona, dietro indennizzo, le case israeliane costruite in Cisgiordania su terreni poi risultati di proprietà privata palestinese

6 febbraio: mezzi del Ministero della difesa israeliano procedono allo smantellamento delle case sgomberate ad Amona

Scrive il Jerusalem Post: «La legge approvata lunedì sera dalla Knesset per regolarizzare mediante condono e indennizzi le case israeliane costruite su terreni successivamente risultati di proprietà privata palestinese solleva una serie di problemi. Innanzitutto, si è legiferato a prescindere da una qualsiasi visione politica globale per quanto riguarda il futuro delle relazioni israelo-palestinesi in Cisgiordania. Inoltre, la legge va contro le linee-guida che per cinquant’anni hanno governato le costruzioni israeliane nei territori differenziando nettamente fra terreni demaniali e terreni di proprietà privata. La legge appare poi in contrasto con la Legge Fondamentale israeliana su “dignità umana e libertà”, perché appare discriminatoria a danno dei palestinesi i cui terreni risultano soggetti a esproprio a vantaggio di case israeliane, ma non viceversa. Infine, la legge innescherà una serie di condanne a livello internazionale, dove viene considerata di fatto come un primo passo verso l’annessione unilaterale. Non basta. Questa legge mette anche a rischio la possibilità di attuare una soluzione a due stati negoziata, senza fornire una soluzione alternativa. Almeno a partire dagli accordi di Oslo (1993/95), tutti i successivi governi israeliani hanno sostenuto il negoziato per una soluzione a due stati come unico modo per preservare uno stato d’Israele che sia ebraico e democratico. La piena annessione della Cisgiordania è stata sempre esclusa dal ventaglio delle posizioni politiche praticabili perché la maggioranza degli israeliani non intende rinunciare alla democrazia né alla possibilità per gli ebrei di autogovernarsi. L’annessione significherebbe o dare ai palestinesi che vivono in Cisgiordania pieni diritti, compreso il diritto di voto alla Knesset, o negare loro questi diritti. La prima opzione metterebbe a repentaglio la chiara maggioranza ebraica vigente in Israele che permette di governare lo stato come espressione dell’autodeterminazione nazionale ebraica (dai simboli nazionali, alla difesa, a leggi basilari come la Legge del Ritorno). La seconda opzione significherebbe compromettere il carattere democratico di Israele negando a centinaia di migliaia di palestinesi il diritto di rappresentanza politica. Il passaggio di questa legge mina le possibilità di una soluzione negoziata del conflitto. I palestinesi la considereranno come una luce verde per lanciare misure unilaterali come i ricorsi all’Onu e ad altri organismi internazionali. E’ vero che lo fanno già da diversi anni, ma questa legge darà loro ulteriore legittimità. Israele non potrà più denunciare le mosse unilaterali palestinesi, dopo aver adottato una mossa unilaterale come questa. Invece di tornare ai negoziati diretti e alla cooperazione, entrambe le parti si arroccheranno sulle rispettive posizioni allontanando ulteriormente le possibilità di pace. Il nuovo disegno di legge renderà sempre più difficile per Israele trovare sostegno internazionale per una soluzione negoziata. Se già l’opinione pubblica internazionale era fortemente incline a dare a Israele la colpa dell’impasse diplomatica, ora le cose potranno solo peggiorare rendendo ancora più difficile presentare i buoni argomenti di Gerusalemme. Il primo ministro Benjamin Netanyahu sembrerà in malafede quando ribadirà, come fa spesso, d’essere pronto a negoziare con i palestinesi “ovunque e in qualunque momento”. Negoziare su cosa, se Israele ha già deciso di avviarsi verso l’annessione? Dobbiamo dunque ribadire il nostro appello al premier perché chiarisca alla popolazione israeliana la sua visione circa il futuro delle relazioni israelo-palestinesi in Cisgiordania. Se ha rinunciato alla soluzione a due stati, lo dica. In caso contrario, deve spiegare come pensa di arrivare a un accordo di pace negoziato con i palestinesi nonostante l’adozione di misure unilaterali come questa legge. La maggioranza degli israeliani vuole che Israele rimanga ebraico e democratico. Vogliamo pensare che il governo e il primo ministro siano della stessa opinione. Ma devono spiegarci come.» (Da: Jerusalem Post, 8.2.17)

Dovid Ben-Meir

Scrive Dovid Ben-Meir: «La legge dell’Impero Ottomano classificava le “terre morte” – vale a dire, le terre dove non ci sono né case né coltivazioni, nemmeno nelle vicinanze – come “terre di proprietà dello stato”. Con la scomparsa dell’Impero Ottomano, la Società delle Nazioni assunse il controllo sulla Terra d’Israele e affidò alla Gran Bretagna il mandato di governarla. La potenza mandataria divenne titolare di tutte le terre statali. Si ricordi che il Mandato venne istituito con il compito esplicito di creare una sede nazionale per il popolo ebraico. Ma l’Impero Britannico tradì il mandato, escludendo dall’immigrazione di ebrei e dall’acquisto di terre da parte ebraica tutto il territorio a est del fiume Giordano, consegnato a un suo cliente che vi creò il subalterno Regno di Transgiordania. Successivamente l’Onu propose di dividere la parte rimanente, a ovest del fiume, tra uno stato ebraico e uno stato arabo. Gli arabi del posto respinsero la proposta e scatenarono la guerra contro i vicini ebrei, ben presto supportati dagli stati arabi circostanti. Il tentativo arabo di annientare la comunità ebraica e strangolare sul nascere lo stato ebraico venne sconfitto. La Giudea e la Samaria vennero illegalmente occupate dalla Trans-Giordania che procedette ad annetterle unilateralmente. Durante i 19 anni di occupazione illegale, i giordani distribuirono abusivamente terreni a coloro che il re voleva beneficiare, un regalo illegale che non dovrebbe conferire alcun vero diritto di proprietà. A seguito di una nuova aggressione araba contro Israele, e in particolare dell’aggressione giordana, Israele dovette difendere la propria sopravvivenza nella guerra dei sei giorni del 1967. Con la clamorosa vittoria delle forze israeliane, le terre di Giudea e Samaria tornarono sotto sovranità ebraica, come era stato originariamente stabilito a livello internazionale con l’istituzione del Mandato sulla Terra Santa. I terreni di proprietà privata araba, sia che si trattasse di una casa, di un frutteto o di un campo, restarono ovviamente in loro possesso. Le terre statali, invece, passarono sotto il controllo di Israele. Le comunità ebraiche in Giudea e Samaria sono state costruite quasi esclusivamente su terreni statali dove, cioè, non c’era un villaggio arabo, e nemmeno una casa, un campo coltivato o un frutteto. Tuttavia è accaduto in alcuni casi che si costruisse su terreni supposti demaniali del tutto inutilizzati. Quando errori di questo tipo accadono all’interno di Israele pre-67, la legge prevede che, se qualcuno può dimostrare la proprietà, costui venga rimborsato o con denaro o con altri terreni. Solitamente le strutture già costruite non vengono abbattute, dal momento che i proprietari preferiscono un compenso generoso. Dal momento che gli arabi in Giudea e Samaria rischiano una condanna a morte da parte dell’Autorità Palestinese se vendono terre agli ebrei, per loro è pericolosissimo accettare soldi per terreni che possono essere o non essere stati di loro proprietà. Il solo sospetto che abbiano venduto terreni ad ebrei li mette a rischio. La nuova legge rendere la situazione in Giudea e Samaria analoga a quella, per dire, di Tel Aviv. Se un arabo è in grado di dimostrare che un appezzamento di sua proprietà (benché inutilizzato) è stato erroneamente utilizzato, avrà diritto all’indennizzo. In sintesi. Nessun arabo viene cacciato dal suo campo, per non dire dalla sua casa, a causa di questa legge. Anche i terreni che vennero illegalmente assegnati a dei privati dall’occupante giordano e altri che sono stati coltivati più o meno abusivamente, benché ciò non conferisca diritto di proprietà non sono comunque considerati terreni statali. Se delle case sono state costruite in buona fede su un terreno che appariva demaniale ed invece risulta di proprietà privata, lo stato acquista il terreno al 125% del suo valore di mercato al fine di condonare la casa costruita. Questo è ciò che la nuova legge intende fare: fermare le cause intentate sulla base di illegali concessioni giordane, cause che hanno il solo scopo di distruggere case ebraiche, e compensare concretamente i veri documentati proprietari i cui terreni siano stati utilizzati in buona fede.» (Da: Jerusalem Post, 3.2.17)

Ronit Levine-Schnur

Scrive Ronit Levine-Schnur: «La Knesset ha chiaramente l’autorità di approvare leggi e di regola le sue leggi sono vincolanti in Israele. Tuttavia, salvo casi particolari, la Knesset non ha l’autorità di contraddire le Leggi Fondamentali del paese (che hanno valore costituzionale). Né ha l’autorità di contraddire il diritto internazionale su questioni legali relative a Giudea e Samaria. E’ compito della Corte Suprema verificare se la Knesset si attiene ai confini della sua autorità. La Corte Suprema non è in concorrenza con la Knesset, né vuole travalicarla, ma utilizzare l’autorità conferitagli per controllare la Knesset fa parte delle sue responsabilità. La Corte Suprema protegge la Knesset garantendo che i principi giuridici del diritto israeliano e internazionale siano tutelati. Inoltre protegge le minoranze rispetto alla maggioranza, soprattutto quando la minoranza interessata dalle leggi, in questo caso la popolazione palestinese in Giudea e Samaria, non è rappresentata nella Knesset. La legge approvata lunedì scorso presenta gravi problemi di costituzionalità. Costituzionalmente, le Leggi Fondamentali del sistema legale israeliano tutelano i diritti di uguaglianza, dignità e proprietà. Ma questi diritti sono violati perché la nuova legge è a senso unico e danneggia i diritti di coloro che non sono rappresentati nella Knesset.» (Da: Israel HaYom, 8.2.17)

Yossi Fuchs

Scrive Yossi Fuchs: «La nuova legge che regolarizza le costruzioni in Giudea e Samaria è necessaria, perché grandi aree dei territori non sono mai state correttamente registrate nei catasti e le proprietà inventariate nel catasto giordano non erano adeguatamente censite: una situazione che è all’origine della costruzione di alcune migliaia di edifici su terreni poi risultati di proprietà privata. In base alla legge israeliana, se una persona costruisce in buona fede su un terreno di qualcun altro può rimanere sulla proprietà a condizione che il proprietario venga adeguatamente compensato. La legge appena approvata prevede una disposizione analoga, tenendo conto del fatto che, secondo la legge palestinese, la vendita di terreni a ebrei è punibile con la morte, il che rende quasi impossibile sanare le situazioni controverse semplicemente acquistando i diritti sui lotti contestati. La legge è valida come le altre leggi sulla proprietà approvate dalla Knesset perché Israele non si considera una potenza “occupante” in Giudea e Samaria. Israele infatti non può essere potenza occupante su una terra che la Società delle Nazioni aveva designato come sede nazionale del popolo ebraico e che Israele, in una guerra difensiva, ha liberato dalla illegale occupazione giordana.  Israele in realtà amministra un territorio conteso soggetto a futuro negoziato. La Quarta Convenzione di Ginevra definisce “occupato” un territorio catturato in tempo di guerra a altro stato che vi esercitava la sua legittima sovranità. Ma la Cisgiordania non era territorio giordano sovrano quando Israele l’ha catturata nel 1967. Pur non essendo potenza occupante, Israele ha accettato di applicare il diritto internazionale umanitario in Giudea e Samaria in base alle Convenzioni di Ginevra facendo più di quanto fosse tenuto a fare. Ma gli israeliani che vi abitano sono comunque considerati parte della popolazione locale e non devono essere trattati in modo diverso dal resto della popolazione. Il diritto internazionale permette agli abitanti di rimanere sui terreni dove si sono stabiliti a condizione che l’abbiano fatto convinti in buona fede che non fossero di proprietà privata e a condizione che i proprietari vengano adeguatamente compensati. Questo è esattamente ciò che prevede la legge appena approvata, che dunque non configura una forma di confisca in violazione dell’articolo 46 della Convenzione dell’Aja. La definizione di confisca implica un atto permanente, mentre la nuova legge parla di misure solo temporanee. La questione della confisca si pone solo quando l’accesso viene improvvisamente negato a qualcuno che utilizza il terreno. Sottrarre temporaneamente, e dietro compenso, la proprietà a un palestinese che non ha mai fatto alcun uso del terreno non può essere considerato una confisca.» (Da: Israel HaYom, 8.2.17)