Una pace necessaria, ma quasi impossibile

Israeliani pronti al compromesso. E i palestinesi?

Editoriale del Jerusalem Post

Manifestazione del Fplp (Olp) contro la ripresa dei negoziati. Sullo sfondo, il simbolo con la rappresentazione delle storiche rivendicazioni massimaliste palestinesi: lo Stato palestinese deve comprendere anche Israele e Transgiordania

Manifestazione del Fplp (Olp) contro la ripresa dei negoziati. Sullo sfondo, il simbolo con la rappresentazione delle storiche rivendicazioni massimaliste palestinesi: lo Stato palestinese deve comprendere anche Israele e Transgiordania

Nei giorni in cui le delegazioni negoziali israeliana e palestinese si incontrano nuovamente, per la prima volta dal 2010, in Israele si registrano pareri e sentimenti contrastanti.

Da un lato – stando a un sondaggio condotto in giugno dall’Harry S.Truman Research Institute for the Advancement of Peace dell’Università di Gerusalemme, e dal Palestinian Center for Policy and Survey Research di Ramallah – una netta maggioranza della popolazione (62%) sostiene in linea di principio una soluzione “a due Stati”.

Allo stesso tempo, gli israeliani si dichiarano scettici per quanto riguarda le concrete possibilità di pace. Nello stesso sondaggio, il 68% degli israeliani intervistati considera basse o inesistenti le chance che uno Stato palestinese possa essere creato entro i prossimi cinque anni. Un domanda simile, posta da un sondaggio di Israel HaYom, ha rilevato un 73% di pessimisti.

Per ragioni demografiche, gli israeliani sanno bene che lo status quo, che essenzialmente si configura come una soluzione ad un unico Stato, non è praticabile. Anche solo all’interno della ex-Linea Verde (la linea armistiziale in vigore dal 1949 al 1967), circa il 20% della popolazione israeliana è araba (se si considerano anche i famigliari non ebrei di immigrati dall’ex-Unione Sovietica e i lavoratori stranieri, la percentuale di non-ebrei che vivono in Israele risulta ancora più alta). In Cisgiordania, striscia di Gaza e quartieri est di Gerusalemme est vi sono circa 4 milioni di arabi palestinesi.

Quand’anche questa stima fosse sovradimensionata, e quand’anche non si comprendessero i palestinesi di Gaza, la maggioranza ebraica tra il Mediterraneo e il fiume Giordano rimane esigua. Questa grande minoranza araba, ostile al concetto stesso di uno stato nazionale del popolo ebraico, non potrebbe mai integrarsi nella società israeliana; né d’altra parte si potrebbe negarle pieni diritti democratici (in un Stato unico).

Purtroppo gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di una soluzione a due Stati – l’unica che garantirebbe ai palestinesi l’autodeterminazione nazionale, tutelando al contempo l’autodeterminazione e il sistema democratico della maggioranza ebraica nello Stato d’Israele – appaiono insormontabili. E questo non soltanto perché gli aspetti tecnici della suddivisione di Gerusalemme, una città condivisa da arabi ed ebrei, sarebbero “l’incubo di qualunque cartografo”, per dirla con le parole di un giornalista palestinese; e non solo perché è impossibile istituire uno stato palestinese senza smantellare importanti insediamenti ebraici in Cisgiordania.

Il vero ostacolo alla pace è l’intransigenza della leadership politica palestinese. Mentre Israele ha approvato, all’inizio di questa settimana, la scelta dolorosa e altamente impopolare di scarcerare altri 104 terroristi dell’epoca pre-Oslo compresi molti responsabili della morte di uomini, donne e bambini innocenti, i leader palestinesi rimangono invece energicamente contrari ai negoziati.

Ovvio che sia risolutamente contraria a qualsiasi negoziato diretto con Israele un’organizzazione terrorista e antisemita come Hamas, che persegue la distruzione di Israele e la restaurazione del califfato, e che continua a godere di un forte sostegno da parte dei palestinesi da quando ha vinto le elezioni parlamentari del gennaio 2006. Ma il fatto è che anche le formazioni politiche “pragmatiche” hanno espresso netta disapprovazione al rinnovo delle trattative con Israele. Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp), il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (Fdlp), l’Iniziativa Nazionale Palestinese di Mustafa Barghouti, il Partito del Popolo Palestinese (comunisti), tutte componenti dell’Olp capeggiata dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), hanno preso posizione contro la disponibilità di Abu Mazen a sedersi al tavolo delle trattative con Israele. Persino all’interno della sua stessa fazione Fatah, Abu Mazen non ha trovato sostegno. Come ha osservato Khaled Abu Toameh, corrispondente del Jerusalem Post per gli affari palestinesi, “tra i palestinesi non si riesce a trovare un solo individuo o gruppo o movimento che abbia accolto con favore l’annuncio del Segretario di Stato Usa John Kerry sulla ripresa dei colloqui di pace”.

Lo stesso Abu Mazen, anziché prodigarsi per convincere il suo popolo che è finalmente arrivato il momento della pace e della riconciliazione con Israele, è indaffarato a rilasciare dichiarazioni ostili. Questa settimana, mentre si trovava in Egitto, ha dichiarato che qualsiasi Stato palestinese sarà judenrein: “Nella soluzione definitiva – ha detto – non si dovrà vedere un solo israeliano, civile o militare, sulle nostre terre”.

La maggior parte degli israeliani è perfettamente consapevole della necessità di arrivare a un accordo globale con i palestinesi, non solo né soprattutto per il desiderio di normalizzare i rapporti con una comunità internazionale contraria all’“occupazione” israeliana, quanto innanzitutto per la volontà di preservare e garantire il carattere ebraico e democratico dello Stato d’Israele. Ma il conflitto potrà essere risolto solo attraverso la disponibilità al dialogo e al compromesso, qualità gravemente carenti sul versante palestinese.

(Da. Jerusalem Post, 31.7.13)