Una Palestina Judenrein?

L’idea di comunità ebraiche sotto sovranità palestinese viene rifiutata come assurda, il che di per sé dice molto del futuro stato di Palestina

Alcuni commenti dalla stampa israeliana

“Una domanda semplice: se una soluzione a due Stati significa una Palestina senza città e villaggi ebraici, questo significa che anche villaggi e città palestinesi dentro Israele dovranno essere sradicati ed espulsi?”

Scrive l’editoriale del Jerusalem Post: «Fonti vicine al primo ministro Benjamin Netanyahu hanno scatenato polemiche quando hanno affermato che Israele avrebbe insistito che nel futuro stato palestinese siano autorizzati a rimanere sotto sovranità palestinese, se lo desiderano, gli israeliani che oggi vivono in Giudea e Samaria (Cisgiordania). Diversi alleati della coalizione di governo ed esponenti dello stesso partito di Netanyahu si sono affrettati a respingere seccamente l’idea. Anche i palestinesi si sono precipitati a respingere l’ipotesi con altrettanta durezza. In realtà, non è la prima volta che questo tema viene sollevato fra le parti. La possibilità di lasciare gli insediamenti israeliani sotto il controllo palestinese venne dibattuta prima del disimpegno dalla striscia di Gaza, nel 2005. Nel 2006 l’allora primo ministro Ehud Olmert, mentre soppesava un ritiro unilaterale da ulteriori porzioni della Cisgiordania eufemisticamente chiamato “riallineamento”, ebbe a dichiarare che “tutti gli israeliani che vivono nei territori che saranno sgomberati dovranno decidere se vivere in uno stato ebraico o in uno stato palestinese”. Nell’agosto 2013, durante un incontro con un gruppo di parlamentari del Meretz, alla domanda di Ha’aretz se avrebbe consentito a insediamenti ebraici di rimanere sotto sovranità palestinese, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) rispose: “Questi sono dettagli che devono essere discussi. Ogni argomento è oggetto di negoziato: bisogna tenere la mente aperta”. Tuttavia, un mese prima, durante un discorso in arabo tenuto in Egitto, lo stesso Abu Mazen aveva detto qualcosa di molto diverso: “Nella soluzione definitiva non vedremo la presenza di un solo israeliano sulla nostra terra, né civile né militare”. Per correggere la devastante impressione che i palestinesi vogliano fare di Giudea e Samaria l’unico posto al mondo ufficialmente Judenrein (il termine tedesco per dire “ripulito da ogni presenza ebraica”), alcuni esponenti palestinesi, come Hanan Ashrawi, hanno cercato con poco successo di fare una distinzione tra i “coloni”, che dovrebbero andarsene, ed eventuali futuri immigrati ebrei in “Palestina”, cui verrebbe consentito di richiedere la cittadinanza palestinese. Tutti i sostenitori della soluzione a due Stati vorrebbero idealmente veder nascere uno stato palestinese accanto ad Israele abbastanza pluralista e democratico da poter integrare una minoranza ebraica, così come lo stato d’Israele è capace di incorporare una cospicua minoranza araba. Sarebbe uno stato palestinese ben più stabile e pacifico delle autocrazie e delle repubbliche islamiste che sembrano la norma in questa regione. Purtroppo non è così. È del tutto evidente che qualunque israeliano lasciato sotto sovranità palestinese sarebbe una persona in pericolo. La questione che si pone, dunque, è quanto sia fattibile una soluzione a due Stati se Israele sarà comunque costretto a evacuare decine di migliaia di ebrei, compresi quelli più ideologicamente contrari al compromesso territoriale. Per garantire che Israele rimanga quello che è, cioè l’unico stato al mondo con una solida maggioranza ebraica, è necessario promuovere la soluzione a due Stati. Ma a quale prezzo? Qui sta il paradosso. Se i palestinesi fossero veramente interessati alla pace, dovrebbero essere pronti ad assorbire una minoranza ebraica. Se invece non sono disposti a integrare nemmeno un ebreo, allora forse non sono realisticamente interessati alla pace a due Stati. In queste circostanze, non sarà facile convincere la maggioranza degli israeliani che valga la pena pagare il prezzo per la soluzione a due Stati». (Da: Jerusalem Post, 28.1.14)

Riferisce Adiv Sterman, su Times of Israel: «L’eventualità di lasciare coloni israeliani sotto controllo palestinese in Cisgiordania “non è un’idea cattiva né irrealistica”, ha detto martedì l’ex capo dei laburisti, la parlamentare Shelly Yachimovich. Parlando a Israel Radio, Yachimovich ha dichiarato che il piano potrebbe anzi favorire i colloqui di pace, in quanto non comporterebbe una vasta operazione di sgombero di cittadini israeliani dalle loro case. Yachimovich ha aggiunto che un concetto del genere era già stato presentato alla dirigenza dell’Autorità Palestinese. “Non capisco l’indignazione espressa da esponenti palestinesi – ha detto Yachimovich – L’idea è stata sollevata in passato ed è stata discussa con i negoziatori palestinesi, che al momento non sembravano ritenerla una proposta tanto drammatica”».

L’editoriale di Ha’aretz critica Netanyahu per aver annebbiato la politica israeliana. «L’opinione pubblica israeliana, i palestinesi e la comunità internazionale devono poter sapere qual è la vera posizione del primo ministro israeliano. Se non può o non vuole condurre negoziati con franchezza e serietà, che lo dica ora perché infrangere tardivamente un’illusione può comportare un alto prezzo sul piano della sicurezza e dell’economia».

Herb Keinon

Herb Keinon

Scrive Herb Keinon, su Jerusalem Post: «In realtà c’è poco di nuovo. Netanyahu non ha mai detto che un accordo significherà sradicare gli insediamenti ed evacuare i cittadini ebrei che vi abitano. Non ha mai approvato il modello secondo cui ogni e qualunque territorio sgomberato da Israele debba diventare completamente privo di ebrei. Anzi, nel suo entourage hanno sempre detto che considera questa posizione come immorale. Perché, dicono infatti, Israele può avere una minoranza araba di circa il 20% mentre il futuro stato palestinese deve essere privo di qualunque presenza ebraica? Netanyahu aveva già accennato a questo tema nel suo discorso al Congresso Usa del 2011. “Lo status degli insediamenti – disse in quell’occasione – sarà deciso solo nei negoziati, ma dobbiamo anche essere onesti. Dico oggi una cosa che dovrebbero dire pubblicamente tutti coloro che vogliono sul serio la pace: in qualunque accordo di pace vero e proprio, in qualunque accordo di pace che ponga fine al conflitto, alcune colonie finiranno al di là dei confini di Israele”.» (Da: Jerusalem Post, 28.1.14)

Sarah Hirschhorn

Sarah Hirschhorn

Scrive Sara Hirschhorn su Ha’aretz: «Mentre è raro che io mi trovi d’accordo con Netanyahu sulle politiche israeliane, si dà forse il caso che questo scenario non solo sia nell’interesse della democrazia israeliana, ma che sia anche doveroso per il futuro stato di Palestina. È chiaro che la comunità internazionale non dovrebbe accettare una sovranità palestinese che giustifichi di essere judenrein (come tanti altri stati arabi e/o musulmani) dal momento che anche la Palestina, come Israele, dovrebbe essere ideologicamente impegnata a diventare una democrazia multietnica in Medio Oriente». (Da: Ha’aretz, 28.1.14)

Scrive Shimon Shiffer, su YnetNews: «Ho un amico, un palestinese che vive nel villaggio di Issawiya, sulle pendici orientali del Monte Scopus. Ogni volta che viene pubblicata una notizia circa le proposte sollevate nell’ambito dei negoziati sulla possibilità di dividere Gerusalemme e istituire la capitale della Palestina nella parte orientale della città, il mio amico mi telefona in preda al panico: “È vero? Vivremo sotto sovranità palestinese senza garanzie, senza pensione, senza il servizio sanitario nazionale? Noi non vogliamo vivere nella ‘democrazia’ palestinese”. Ogni volta mi affretto a calmarlo: “Non ti preoccupare, è un’altra idea folle che non produrrà nulla”. Suggerisco di calmarsi anche agli israeliani che vivono al di fuori dei grandi blocchi di insediamenti in Giudea e Samaria. L’idea che possano restare sotto il governo palestinese come parte di un accordo definitivo è tanto fantasiosa quanto l’idea che un governo israeliano possa accettare di spaccare in due Gerusalemme. I collaboratori del premier spiegano che Netanyahu ha già proposto in passato che gli insediamenti isolati possano restare nel territorio sovrano dello stato palestinese. Se ai coloni non piace, spiegano, potranno trasferirsi nei grandi blocchi di insediamenti annessi a Israele. Questo è ciò che Netanyahu intendeva quando a Davos lo scorso fine settimana ha detto che non ha alcuna intenzione di sfrattare un singolo israeliano o una sola comunità israeliana. Sembra logico? Sì, ma soprattutto cinico. Netanyahu in questo modo sta spingendo i coloni nell’angolo e nello stesso tempo ha sfidato la parte palestinese a scoprirsi, sapendo che avrebbe immediatamente respinto tale prospettiva». (Da: YnetNews, 28.1.14)

Scrive Nadav Eyal, su Ma’ariv: «Se Abu Mazen fosse abbastanza intelligente avrebbe semplicemente detto “okay”, per poi stare a vedere gli israeliani friggere per la sorte da incubo riservata ai coloni in Cisgiordania un minuto dopo che le Forze di Difesa israeliane se ne fossero andate. Che dico un minuto? Tre secondi dopo. Anche Naftali Bennett (il leader di Bayit Yehudi che ha subito criticato la proposta) sa che Netanyahu sta bluffando e che nessun primo ministro israeliano potrebbe mai abbandonare le comunità israeliane sotto sovranità palestinese». (Da: Ma’ariv, 28.1.14)

Dan Margalit

Dan Margalit

Scrive Dan Margalit, su Israel HaYom: «I palestinesi avrebbero potuto semplicemente dire “va bene” facendo fare al primo ministro israeliano la parte di quello che fa solo trucchetti. Ma – chissà perché – non è accaduto. Abu Mazen e i suoi hanno ruggito un immediato “no”, con abbondanza di punti esclamativi: a nessun ebreo verrà mai permesso vivere in territorio palestinese. Non sbaglia chi pensa che Netanyahu ha voluto mettere in difficoltà Abu Mazen. E non sbaglia nemmeno chi aggiunge che voleva anche verificare le reazioni in Israele, fra i palestinesi, gli americani e gli europei. In un modo o nell’altro, comunque, i vantaggi della mossa hanno superato i danni, e si possono riassumere nel seguente concetto: ora in ogni capitale del mondo ci si rende conto che Netanyahu sta seriamente considerando l’idea di mantenere alcuni insediamenti nella Palestina». (Da: Israel HaYom, 28.1.14)

Scrive Yoaz Hendel su Yediot Aharonot: «Esistono teorie che non possono essere realizzate e che tuttavia riescono a impossessarsi del dibattito di un’intera nazione. Come l’idea di lasciare delle comunità ebraiche dentro lo stato palestinese. Nessuno vuole davvero che questo accada, nessuno sa come potrebbe funzionare e tuttavia la discussione politica ha assunto vita propria. Anche gli arabi israeliani e gli abitanti di Gerusalemme est hanno espresso la loro netta opposizione all’idea di essere posti sotto sovranità palestinese. Ciò che hanno in comune gli arabi israeliani, gli abitanti di Gerusalemme est e i coloni israeliani in Cisgiordania è una totale mancanza di fiducia nel futuro stato palestinese. Nessuno di loro vuole viverci, nemmeno a livello di ipotesi. Difficile dargli torto». (Da: Yediot Aharonot, 28.1.14)

Michael Freund

Michael Freund

Scrive Michael Freund, su Jerusalem Post: «In sostanza, i palestinesi sono pronti ad appendere un grande cartello all’ingresso nel loro agognato paese: “Non sono ammessi ebrei”. Dunque Netanyahu ha abilmente smascherato il vero volto del nazionalismo palestinese. Il desiderio palestinese di creare un’entità monolitica, uno stato privo di ebrei, smentisce le loro pretese aspirazioni democratiche e rivela l’odio e l’intolleranza che allignano nei loro cuori. Se l’idea stessa che degli ebrei vivano tra loro è inaccettabile, questo cosa ci dice del tipo di stato che sarebbe la “Palestina”? Conosciamo tutti la risposta: qualsiasi futuro stato palestinese sarà un ennesimo bastione di autocrazia, criminalità e oppressione in Medio Oriente. Chi sostiene l’espulsione di tutti gli ebrei da luoghi come Hebron, Shilo e Beit El è un potenziale autore di pulizia etnica. In nome di una dubbia pace, i sostenitori di tale idea sono disposti a tollerare la discriminazione e deportazione di un’intera comunità etnica o religiosa. Si provi soltanto a immaginare l’indignazione che si scatenerebbe se un importante esponente israeliano dovesse suggerire che gli arabi israeliani vengano fisicamente rimossi dalle loro case e spediti nel nascente stato palestinese. Eppure, per qualche ragione, la comunità internazionale e molti opinionisti, anche israeliani, non esitano ad abbracciare questa doppia morale, nonostante l’evidente ipocrisia su cui si basa. Ma una pace basata su immoralità e ingiustizia è una pace che non può e non deve durare. E cosa vi sarebbe di più immorale e ingiusto che la creazione di una Palestina da apartheid, esiliando tutti i suoi ebrei dalle loro case? (Da: Jerusalem Post, 28.1.14)