Una palestinese che rifiuta l’odio in cui è stata cresciuta, un musulmano che serve da volontario nelle forze armate israeliane

Testimonianze da una realtà assai più sfaccettata di come viene descritta da propagandisti e osservatori faziosi

Sandra Solomon

Una palestinese, fra l’altro nipote di uno dei fondatori del movimento Fatah, ha recentemente dichiarato la sua inequivocabile condanna degli attacchi terroristici condotti da palestinesi contro israeliani, e ha menzionato come causa principale dei continui attentati l’educazione alla violenza cui sono sottoposti i giovani palestinesi.

Sandra Solomon, palestinese nata col nome di Fida 39 anni fa a Ramallah, convertita al cristianesimo da più di dieci anni, condanna senza mezzi termini il recente attentato perpetrato a Halamish che ha visto un terrorista fare irruzione in un’abitazione di ebrei riuniti per una cena festiva e uccidere tre membri della famiglia Salomon. “Il terrorista palestinese che un venerdì sera ha trucidato una famiglia a Halamish – si chiede Solomon – dove ha preso l’idea di entrare in un’abitazione scelta a caso e uccidere quelli che vi si trovano? I giovani palestinesi che compiono attacchi sono già stati massacrati, sul piano psicologico, dall’istruzione che viene loro impartita”.

Sandra Solomon è la nipote di un esponente di Fatah, Sahar Habash, a suo tempo stretto confidente del capo dell’Olp e dell’Autorità Palestinese Yasser Arafat. “Da bambina sono stata allevata nell’odio verso Israele – racconta Solomon durante una visita in Israele – La cosa più importante, per noi, era la liberazione della moschea di al-Aqsa, la liberazione di Gerusalemme e la distruzione dello stato di Israele. Guardavamo in televisione la seconda intifada – spiega la palestinese, rievocando la sua infanzia fra Giordania e Arabia Saudita – Dopo ogni grande attentato terroristico, comprese le stragi in cui restavano uccisi bambini, si festeggiava distribuendo dolci e caramelle. Secondo l’educazione che mi è stata data, le uniche vittime sono i palestinesi, gli oppressi in questo conflitto, e i sionisti sono solo degli occupanti criminali che si sono presi la nostra terra”.

Sandra Solomon nel video girato ai primi di agosto fra i graffiti di Ramallah

Il cambiamento nella vita di Salomone, e la sua decisione di abbandonare la cultura dell’odio che le era stata instillata, non è avvenuto dalla sera alla mattina. All’origine c’è stata la sua scelta di convertirsi al cristianesimo perché radicalmente contraria al trattamento delle donne e alla loro oppressione che vedeva nell’islam, e per la mancanza di libertà di espressione che in esso si subisce. Dopo essere riuscita a divorziare dal marito che era stata costretta a sposare quando era rimasta incinta, se ne è andata in Canada con il bambino, e da allora vive a Toronto. “Quando ho detto alla mia famiglia, in Giordania, che mi ero convertita, mia sorella ha gettato in strada la valigia e mi ha buttato fuori di casa” dice Solomon, aggiungendo che da allora è ostracizzato dalla famiglia come una reietta: “Lo so. Se sapessero esattamente dove sono in questo momento, sicuramente mi ucciderebbero”.

Vivendo in Canada, Solomon è venuta è conoscenza di molte informazioni sugli ebrei e sulla storia del popolo ebraico di cui non aveva mai saputo nulla. “Ho iniziato a leggere la Bibbia ebraica. Mi sono resa conto che, molto tempo prima di Maometto e dell’islam, gli ebrei vivevano nella regione. La forza della verità mi ha cambiato”.

Ai primi di agosto Solomon è stata a Ramallah, dove tra l’altro ha filmato le innumerevoli scritte che inneggiano alla violenza e al martirio. E dice di essere rimasta colpita dall’ipocrisia della società palestinese che sostiene di boicottare le merci israeliane, e poi usa diffusamente telefoni e medicinali prodotti da Israele. (Da: YnetNews, 10.8.17)

Samal Ziyad, cittadino israeliano arabo musulmano, volontario nelle Forze di Difesa israeliane

Lo chiameremo Samal Ziyad, perché il suo vero nome è meglio non pubblicarlo. Cittadino israeliano della comunità araba e di religione musulmana, è uno dei pochi arabi musulmani che prestano servizio volontariamente nelle Forze di Difesa israeliane: una scelta che suscita una forte opposizione nella società araba e rischi di aggressioni personali. Arruolato in un’unità combattente di fanteria, Ziyad ha prestato servizio nel pieno dell’ondata di attentati iniziata nel 2015.

In realtà Ziyad non ha paura di essere identificato, anche se ha già dovuto subire insulti e anatemi da parte di musulmani contrari alla sua scelta. “Sin da quando ero piccolo mio padre mi ha insegnato che Israele è anche il nostro paese – dice a YnetNews – In casa nostra c’era sempre una bandiera israeliana”.

In certi casi particolari le Forze di Difesa israeliane consentono ai soldati musulmani o ebrei ultra-ortodossi di rientrare a casa in licenza in abiti civili per non essere esposti alla riprovazione, talvolta aggressiva, delle loro rispettive comunità. Ma Ziyad non ha nemmeno preso in considerazione questa opzione. Quando torna al suo villaggio, nel nord di Israele, indossa con orgoglio la sua uniforme, come i suoi commilitoni porta a tracolla il suo mitra Tavor e non nasconde il tatuaggio sul suo braccio che recita: “Lunga vita a Israele”. “Non ho paura – dice – anche se ho già ricevuto reazioni negative. A tutti rispondo che Israele è il mio paese e che difenderlo significa difendere me stesso e la mia famiglia. Ho ricevuto commenti ostili su Facebook, ma li ignoro o li elimino”.

Ziyad ha già chiesto al suo comandante di metterlo in lista per un corso ufficiali, in modo da poter avanzare nella carriera militare. “E’ un soldato notevole e un ottimo combattente” dice di lui Shai Sharaf, vice comandante della sua brigata, e fa notare che Ziyad continua a prestare servizio nell’unità combattente nonostante sia spostato e con figli.

A partire dal 2015, l’unità di Ziyad ha ottenuto significativi risultati operativi sventando una serie di attentati terroristici, sia esplosivi che all’arma bianca, nella zona a cavallo fra la città palestinese di Jenin e la regione israeliana di Gilboa. (Da: YnetNews, 25.11.15)