Una pugnala a israeliani e palestinesi

Stando al rapporto Goldstone, il diritto internazionale impone la resa di fronte ai terroristi

di Aharon Leshno Ya'ar

image_2621Dal discorso tenuto il 29 settembre dall’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite di Ginevra, Aharon Leshno Ya’ar, di fronte al Consiglio Onu per i Diritti Umani all’atto della presentazione ufficiale del rapporto Goldstone:

Cinque anni fa, con un eccezionale gesto di pace, Israele sgomberava dalla striscia di Gaza tutti i suoi soldati e più di 8.000 civili. I paesi membri del Consiglio Onu per i Diritti Umani applaudivano questa misura senza precedenti: ci dissero in termini inequivocabili che, nello scenario da incubo che il terrorismo si radicasse nel territorio appena sgomberato, essi avrebbero lealmente sostenuto il nostro naturale diritto all’autodifesa.
Cinque anni più tardi le serre che avevamo lasciato a Gaza erano ormai tutte saccheggiate e vandalizzate da Hamas, più di 8.000 razzi e obici di mortaio erano stati lanciati sulle scuole e gli asili di Sderot e di altre località israeliane, un’incessante flusso di armi ed esplosivi veniva contrabbandato da paesi sponsor come l’Iran dentro striscia di Gaza attraverso i tunnel sotto i confini.
I pressanti appelli di Israele alla comunità internazionale restavano senza risposta; intanto i nostri tentativi di prolungare un fragile cessate il fuoco si scontravano con sempre nuovi e crescenti attacchi di missili da parte di Hamas. E la gittata degli ordigni aumentava: ora anche Ashkelon e Beersheba erano nel mirino; un milione di cittadini israeliani era costretto a vivere tenendosi costantemente a pochi secondi dai rifugi antiaerei.
La decisione di lanciare una controffensiva militare non è mai facile. Lo è ancora meno quando si deve affrontare un nemico che intenzionalmente schiera le sue forze nelle aree più densamente abitate e lancia i suoi razzi dai cortili di scuole e moschee affollate. Si tratta di sfide nuove e terribili, e noi abbiamo cercato di farvi fronte in modo responsabile e umano.
Tuttavia, quando lanciavamo milioni di volantini e facevamo migliaia di telefonate per avvertire in anticipo i civili delle nostre operazioni, abbiamo dovuto assistere alla deliberata e cinica tattica di Hamas che approfittava dei nostri preavvertimenti per mandare donne e bambini sui tetti delle postazioni terroriste e delle fabbriche di armi. In questi casi interrompevamo le missioni, lasciando sfuggire i terroristi. In altri termini, Israele tutelava i civili palestinesi che Hamas metteva deliberatamente in pericolo.
Alle prese con questi dilemmi, abbiamo cercato la consulenza di altri paesi. Noi non possediamo certo tutte le risposte giuste, ma perlomeno ci siamo sforzati di porre le giuste domande. E nelle discussioni fra ufficiali incaricati di garantire la sicurezza dei loro civili, abbiamo potuto ascoltare sincere espressioni di ammirazione per il nostro autocontrollo. Ad esempio il colonnello Richard Kemp, intervistato sulla condotta di Israele a Gaza, ha risposto: “Non penso che vi sia mai stato un momento, nella storia della guerra, in cui un esercito abbia fatto più sforzi per ridurre la vittime civili e la morte di innocenti di quanti ne ha fatti l’esercito israeliano a Gaza”.
Tuttavia, nelle intricati condizioni della guerra urbana, che vi siano anche delle vittime civili è tragicamente inevitabile. Così come vi possono essere casi in cui dei soldati non si attengono sempre agli standard che ci aspettiamo da loro. Il vero test di una vera democrazia è come affronta questi casi. Dopo l’operazione a Gaza, Israele ha avviato più di cento diverse inchieste su questioni operative come i danni ad alcuni centri Onu e impianti medici o specifiche denunce di asserita condotta riprovevole. Di tutte queste inchieste, 23 sono già sfociate in procedimenti penali. Ed è un lavoro che continua.
Israele si adopera per far fronte a tutte le ardue problematiche che sorgono dall’attività dei terroristi all’interno di centri civili. Ma queste problematiche e questi dilemmi non sembrano preoccupare gli autori del vergognoso rapporto presentato al Consiglio Onu per i Diritti Umani.
Come tanti altri paesi, Israele non poteva sottoscrivere una risoluzione rivolta solo contro una delle parti in conflitto, e che istituiva ben quattro separati meccanismi volti alla condanna di Israele e neanche uno per esaminare Hamas.
Come molti delle eminenti personalità che hanno respinto l’invito a presiedere una commissione di indagine con un mandato prevenuto, abbiamo contestato una missione che, per dirla con le parole di Mary Robinson, era “guidata dall’agenda politica, non dai diritti umani”.
Israele ha cooperato con decine di inchieste e indagini di enti internazionali sui fatti di Gaza, ma si è rifiutato di collaborare con questa missione. Una decisione che trova conferma nel rapporto presentato al Consiglio.
Si tratta di un rapporto nel quale il diritto all’autodifesa non è menzionato, nel quale il traffico di armi verso Gaza attraverso decine e decine di tunnel non merita nemmeno una parola. Un rapporto basato su testimonianze pre-filmate di palestinesi, nessuno dei quali è stato interrogato sulle attività terroristiche di Hamas né sul suo abuso di civili, ospedali e moschee per i suoi attacchi terroristici. Un rapporto che dà credito ad ogni insinuazione e diceria contro Israele, senza prendere nemmeno in considerazioni le esplicite e dirette ammissioni di colpa degli stessi capi di Hamas. Come ha rivelato lo stesso giudice Goldstone in una lettera aperta, “noi non ci siamo occupati dei problemi della condotta di operazioni militari in aree civili, abbiamo evitato di doverlo fare negli incidenti che abbiamo deciso di indagare”.
Gli autori di questa “indagine sui fatti” si sono ben poco preoccupati di indagare i fatti. Il rapporto è nato nel quadro di una campagna politica e rappresenta un’aggressione politica contro Israele e contro ogni paese costretto a confrontarsi con le minacce del terrorismo. Le sue raccomandazioni sono pienamente in linea con i suoi scopi politici di parte.
A differenza dei terroristi di Hamas che festeggiano apertamente ogni civile ucciso, Israele considera una tragedia ogni vittima civile e si impegna ad esaminare a fondo ogni accusa di violazione: non per via di questo rapporto, ma nonostante questo rapporto.
Che sia chiaro: questo rapporto non contribuirà minimamente a rendere la vita meno difficile per coloro che vivono a Sderot e a Gaza, a Kiryat Shmona e a Jenin. Anzi, fornendo supporto e giustificazione alle ciniche tattiche dei terroristi, esso rappresenta una pugnala alla schiena sia degli israeliani e che dei palestinesi moderati.
Purtroppo questo rapporto, che sostiene di rappresentare il diritto internazionale e invece di fatto ne rappresenta una contraffazione al servizio di scopi politici, potrà soltanto indebolire lo status delle leggi internazionali nei futuri conflitti. Ai paesi che in ogni parte del mondo devono affrontare le minacce terroristiche, questo rapporto invia un messaggio inquietante, e giuridicamente infondato, secondo cui il diritto internazionale non ha da offrire loro nessuna risposta efficace, contribuendo in questo modo ad erodere la volontà degli stati di attenervisi. Allo stesso tempo, il rapporto invia ai gruppi terroristi un messaggio, ancora più inquietante, secondo cui la loro cinica tattica di sfruttare le sofferenze dei civili per i loro scopi politici in realtà funziona e porta vantaggi.
Infine, ed è forse la cosa più importante, noi vogliamo trovare il modo di vivere in pace con i nostri vicini. Ed ecco la questione di fondo che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha posto all’Assemblea Generale dell’Onu la settimana scorsa: “Le stesse Nazioni Unite che hanno acclamato Israele quando lasciava la striscia di Gaza e che promettevano di appoggiare il nostro diritto all’autodifesa ci accusano ora di crimini di guerra? E per cosa? Per aver agito in modo responsabile, esercitando il nostro diritto di legittima difesa? Israele si è difeso a buon diritto contro l’aggressione terroristica. Questo rapporto prevenuto e ingiusto costituisce un chiaro test per ogni governo: siete a fianco di Israele o a fianco dei terroristi? Giacché, se a Israele si intende chiedere di assumersi altri rischi per la pace, noi oggi dobbiamo essere sicuri che voi domani sarete al nostro fianco. Solo se potremo confidare di poterci difendere, potremo assumerci ulteriori rischi in nome della pace”.

(Da: Jerusalem Post, 30.09.09)

Nella foto in alto: l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite di Ginevra, Aharon Leshno Ya’ar