Una sentenza “eterodossa”, i commenti sulla stampa israeliana

La sentenza della Corte Suprema sulle conversioni non ortodosse non riguarda molte persone, ma potrebbe rappresentare un terremoto politico

Veduta aerea della sede della Corte Suprema d’Israele, a Gerusalemme

La sentenza della Corte Suprema israeliana secondo cui coloro che si convertono all’ebraismo in Israele attraverso i movimenti Reform e Conservative devono essere riconosciuti come ebrei ai fini della Legge del Ritorno viene descritta dalla stampa del paese come una sentenza esplosiva che ribalta anni di temporeggiamenti durante i quali il Ministero dell’Interno si era rifiutato di fare un passo del genere e la Knesset non si era mai risolta a dirimere la questione sul piano legislativo.

Come prevedibile, la decisione della Corte viene celebrata dai non-ortodossi e deplorata dagli ultra-ortodossi. Soprattutto, a poche settimane dal ritorno di Israele alle urne, riverbera immediatamente sulla scena politica. Dal momento che gli ebrei “conservatori” e “riformati” costituiscono solo una piccola porzione della popolazione del paese, la maggior parte dei commenti non si concentra tanto sul carattere storico della sentenza, quanto sugli scontri che la circondano.

“Il numero di persone che bussano alle porte delle scuole di conversione non è enorme – nota Shmuel Rosner di Kan – Non è che ci siano lunghe code di non ebrei che non aspettavano altro che questo momento, e c’è da dubitare che ce ne saranno in futuro”. Rosner definisce la sentenza come una porzione di una più ampia lotta di potere, e versa acqua sull’entusiasmo di coloro che intendono festeggiarla: “Essa non toglierà lo ‘stigma’ dagli interessati” sottolinea. E aggiunge: “Esattamente come gli haredim, anche i riformati hanno la tendenza a battersi per i simboli più che sulla sostanza. Oggi hanno vinto, domani perderanno”.

Ha’aretz spiega che in media i movimenti Reform e Conservative in Israele convertono circa 300 persone all’anno. Di queste, il 90% ha già diritto alla cittadinanza secondo la Legge del Ritorno per la quale (a differenza della Halakha o normativa religiosa) è sufficiente che una persona abbia un nonno ebreo, da parte di padre o di madre, per ottenere la cittadinanza israeliana. Di fatto, solo una trentina di persone all’anno sono direttamente interessate dalla sentenza.

Il rabbino capo ashkenazita d’Israele David Lau (a sinistra) e il rabbino capo sefardita, Yitzhak Yosef

“È probabile che ben poco cambierà nella vita dei convertiti Reform e Conservative per via della sentenza di lunedì” concorda Haviv Rettig Gur di Times of Israel. Che però prosegue: “E’ Israele che cambierà. Riconoscendo per la prima volta queste conversioni fatte all’interno di Israele, lo Stato riconoscerà necessariamente in modo formale gli stessi movimenti Reform e Conservative, cioè le istituzioni che stanno praticando o hanno praticato tali conversioni. In secondo luogo, a soli 22 giorni dalle elezioni la sentenza promette di diventare un grido di battaglia sia per i religiosi ortodossi che per i laici liberali”.

Hen Artzi-Srour di Yedioth Ahronoth scrive che si tratta di una “lotta simbolica tra haredim ed ebrei riformati” che non appassionerà molte altre persone. “La vera domanda – osserva – è: su chi non avrà effetto? La sentenza è irrilevante per le centinaia di migliaia di persone, per lo più originarie dall’ex Unione Sovietica, che si sono trasferite in Israele in base alla Legge del Ritorno ma la cui ebraicità non viene pienamente riconosciuta dal Rabbinato. Per la maggior parte sono nate qui, la loro identità è totalmente ebraica, ma il loro status resta dubbio a causa di un sistema di conversione confuso, rigido e indegno”.

Sul sito kipa.co.il, il rabbino Yuval Cherlow, tra i fondatori di Tzohar (un’organizzazione israeliana di oltre 800 rabbini sionisti ortodossi che mira a colmare il divario tra ebrei religiosi e laici in Israele), spiega che la Corte Suprema non ha competenze in termini di Halakha, ma ha dovuto inserirsi in un vuoto legislativo. “Lo Stato d’Israele ha deciso che una delle componenti della sua identità è essere uno stato ebraico e dunque deve decidere chi è ebreo per le sue istituzioni – scrive Cherlow – Ma lo Stato si è sottratto a questa decisione e il sistema politico ha bloccato ogni tentativo di regolamentare una conversione halakhica ampia e condivisa”.

Dove si ritiene che la sentenza avrà maggiore effetto è nell’arena politica, specie in vista delle imminenti elezioni. David Horovitz di Times of Israel scrive che la sentenza “sferra contro il monopolio ortodosso sull’ebraismo un colpo molto più profondo rispetto alla diatriba sugli spazi di preghiera nel piazzale del Muro Occidentale (“del pianto”), ma la lotta non è certo finita. In un colpo solo, la sentenza della Corte riformula almeno parzialmente le elezioni del 23 marzo, che rimangono in gran parte un referendum sulla leadership e la persona di Benjamin Netanyahu, ma con la dimensione ora aggiunta dello scontro fra una destra ampiamente ortodossa, con la quale il laico Netanyahu è da tempo alleato, e la sinistra laica”.

Animata discussione fra un’ebrea del movimento Reform e un ebreo ultra-ortodosso sul piazzale del Muro Occidnetale (“del pianto”) a Gerusalemme

Infatti Israel HaYom, sostenitore del Likud, si getta nella mischia con un titolo in prima pagina che accusa di ingerenza la Corte e promette di ribaltarne la sentenza. In un editoriale per il giornale, Mati Tuchfeld scrive che la sentenza non consente ai politici di restare in disparte e suggerisce, pur non affermandolo apertamente, che essa costringerà i partiti di destra che non sostengono il primo ministro Netanyahu a scegliere da che parte stare: “Poiché il Likud e i partiti ultra-ortodossi Shas ed Ebraismo Unito della Torà sono ora visti come un fronte unico – scrive Tuchfeld – è chiaro che il campo anti-Netanyahu persegue il contrario: il liberalismo progressista e antireligioso. Pertanto, se siete anti-Netanyahu, siete intrinsecamente anti-haredim e viceversa”.

Anshel Pfeffer di Ha’aretz afferma che la sentenza rappresenta un “doppio mal di testa” per Netanyahu perché, anche se non farà cambiare opinione agli elettori, lo costringerà a scegliere tra gli ebrei della diaspora soprattutto americana (in gran parte Reform e Conservative) e i suoi indispensabili alleati di coalizione haredim. “Negli ultimi anni – nota Pfeffer – Netanyahu non ha perso occasione di accusare l’establishment giudiziario affermando che le indagini e le accuse contro di lui sono solo frutto di una ‘caccia alle streghe’. Questa volta, invece, dopo la sentenza della Corte Suprema è rimasto in silenzio. Dal suo punto di vista, è una situazione in cui ha da rimetterci comunque. In effetti, i giudici gli fanno un favore nel momento in cui prendono al posto suo l’unica decisione possibile. Ma gli haredim non gli premetteranno di tenersi fuori”.

Moshe Nissim, l’ex ministro incaricato di approntare una riforma di compromesso sulle leggi di conversione israeliane, ha affermato che la decisione di lunedì della Corte Suprema che legittima le conversioni non ortodosse praticate in Israele (il ministero degli Interni riconosce già queste conversioni se effettuate all’estero) era semplicemente inevitabile. Nissim è stato alla guida di una speciale commissione governativa che aveva proposto una revisione che avrebbe sottratto il sistema di conversioni in Israele al monopolio del Rabbinato, controllato dagli ultra-ortodossi, istituendo una apposita Authority ortodossa gestita dallo stato. Ma la proposta, formulata nel 2018, non è mai stata adottata dal governo a causa dell’opposizione dei partiti haredim e della destra nazional-religiosa. Gruppi non ortodossi presentarono petizioni contro lo status quo, il che spinse la Corte Suprema a sollecitare governo e parlamento affinché varassero una legislazione in materia, cosa che non è mai stata fatta e questo ha portando alla sentenza di lunedì. Parlando martedì all’emittente pubblica Kan, Nissim ha detto che coloro che sono contrari alla sentenza non possono che incolpare se stessi, poiché hanno rifiutato l’opportunità di riformare il meccanismo in modo ragionevole lasciando la questione nelle mani degli ultra-ortodossi. “Sono loro che hanno portato alla sentenza della Corte”, ha concluso Nissim.

(Da: Times of Israel, israele.net, 2.3.21)

 

(Da: Times of Israel, 2.3.21)