Una sguardo indietro, uno sguardo avanti

Trattative opache, Medio Oriente caotico, America tentennante: Israele ha bisogno di una politica di governo coerente e accorta

Editoriale del Jerusalem Post

Shimon Peres

Shimon Peres

Nel suo messaggio dello scorso agosto per Rosh Hashanà (il Capodanno ebraico), il presidente Shimon Peres ha parlato con la consueta passione e schiettezza della situazione difficile che Israele si trova ad affrontare. “Stiamo attraversando un periodo burrascoso – ha poi concluso – ma non c’è ragione di perdere la speranza e la fiducia. Credo davvero che da questa situazione così complicata possiamo trarre la speranza di un anno migliore per tutta l’umanità, per il popolo ebraico, per le vostre famiglie, per ciascuno di noi”. Il messaggio di Peres confermava i problemi che Israele deve affrontare anno dopo anno: un Medio Oriente caotico ed estremista ai nostri confini, la minaccia iraniana, il sempre instabile processo di pace con l’Olp.

John Kerry

John Kerry

L’anno trascorso ha visto più di una mezza dozzina di viaggi nella regione del Segretario di stato Usa John Kerry per lavorare a un accordo tra Israele e palestinesi. Nel solo mese di aprile Kerry ha fatto tre di questi viaggi. Il 2014 inizia con un ennesimo scampolo della sua diplomazia della spola. La maggior parte di questo lavoro, e delle trattative in corso, è rimasta opaca. La versione che viene presentata è che Kerry sta “soccorrendo” o “salvando” i colloqui di pace. Il 15 dicembre ha dichiarato: “Sono personalmente incoraggiato dal fatto che questioni molto difficili stanno cominciando a prendere forma nei termini di varie opzioni, che potranno essere o meno a disposizione dei leader per una scelta che contribuisca a una soluzione”. Opaco, appunto. Attualmente il dibattito verte attorno a una “dichiarazione-quadro di principi” che dovrebbe essere presto svelata. Vedremo.

Tzipi Livni

Tzipi Livni

Su questo, uno dei temi principali nel 2013 è stata l’incapacità del governo israeliano di parlare con voce univoca. La Ministra della giustizia Tzipi Livni ha detto in una recente conferenza che “gli insediamenti non contribuiscono alla sicurezza di Israele, ma la danneggiano”. Paventando un boicottaggio soprattutto europeo, ha definito il conflitto “il soffitto di vetro” che blocca la crescita dell’economia israeliana. Più o meno nello stesso momento il Ministro della difesa Moshe Ya’alon affermava che la dirigenza palestinese non è un valido interlocutore per la pace e che alcuni in Occidente sono ossessionati dalla soluzione del conflitto israelo-palestinese come se fosse la soluzione a tutti i problemi del Medio Oriente. Nel frattempo alcuni parlamentari del Likud guidati da Miri Regev cercavano di far approvare un disegno di legge volto ad annettere la Valle del Giordano vista come la “cintura di sicurezza” d’Israele sul confine orientale. Tutto questo lo scorso anno ha dato all’opinione pubblica la sensazione che il governo non avesse una politica chiara. Il trionfale ritorno in novembre di Avigdor Liberman al ministero degli esteri, dopo che era stato scagionato dalle accuse di corruzione, avrebbe potuto portare un po’ di coerenza nella coalizione, ma per ora non sembra aver lasciato la sua impronta sulla politica del paese. L’auspicio è che nei prossimi mesi il governo sia in grado di formulare una chiara visione e una coerente politica regionale.

Bahar al-Assad

Bahar al-Assad

Nel 2013 la politica estera e l’influenza americane in Medio Oriente sono apparse una volta di più tentennanti e indebolite. Lo si è visto su più fronti, in particolare sulla questione nucleare iraniana. La firma di un accordo interinale lo scorso novembre sembra aver dato agli iraniani più tempo per sviluppare i loro impianti nucleari, mentre l’Occidente ha ottenuto in cambio ben poco. Il negoziatore nucleare iraniano ha dichiarato alla stampa il 31 dicembre che “sulla base delle conclusioni dei colloqui con le delegazioni di esperti, l’attuazione degli accordi di Ginevra inizierà alla fine di gennaio”. Staremo a vedere. Intanto i sauditi accusano gli Stati Uniti d’aver abdicato alla loro responsabilità nel confronto con Teheran. A Riad hanno minacciato di “andare avanti da soli”, il che lascia intravedere la possibilità che il 2014 possa essere l’anno in cui sauditi e israeliani si ritroveranno a collaborare sulla questione iraniana.

Un altro aspetto della esitante politica americana è stata la decisione a settembre del presidente Barack Obama di cancellare i piani di attacco aereo contro il regime siriano, nonostante il dimostrato uso di armi chimiche sulla popolazione civile. Il processo di smantellamento dell’arsenale di armi chimiche di Damasco è in corso, ma è già in ritardo sulla tabella di marcia. Nel 2014 si vedrà se la scelta di Obama è stata saggia.

Abdel Fattah al-Sisi

L’anno scorso la rivoluzione egiziana iniziata nel gennaio 2011 è bruscamente terminata quando Mohamed Morsi è stato rovesciato, il 3 luglio, e al paese è stato imposto un regime militare. L’esercito sembra godere di ampio sostegno a causa del diffuso disprezzo per i Fratelli Musulmani: il regime ha messo fuori legge la Fratellanza e il generale Abdel Fattah al-Sisi emerge come l’uomo forte del paese. Intanto, l’ orrenda guerra civile siriana continua a infuriare e tende a straripare sempre più su in Libano e Turchia, mentre omicidi e caos minacciano lo stesso Libano, la Libia e la Tunisia. In Turchia, scandali per corruzione e lotte intestine al partito di governo stanno mettendo a dura prova la presa di ferro del primo ministro Recep Tayyip Erdogan.

Lo scorso anno Israele è riuscito a preservarsi dal conflitto, ma sul finire de 2013 il terrorismo ha rialzato la testa. Il governo di Gerusalemme ha scarcerato altri detenuti condannati per reati di sangue contro la sicurezza, e ha condotto negoziati di pace con l’Autorità Palestinese. Mantenere il polso degli sviluppi in Israele e nei territori sarà essenziale per avere un 2014 passabilmente pacifico e sicuro.

(Da: Jerusalem Post, 1.1.14)