Una spia d’allarme le bandiere palestinesi sventolate sabato sera a Tel Aviv
Ancora sulla legge dello Stato nazionale del popolo ebraico, per un dibattito scevro da errori e disinformazione

Bandiere palestinesi sabato scorso in piazza Rabin, a Tel Aviv, durante la manifestazione dell’Alto Comitato Arabo di Monitoraggio contro la legge sullo Stato nazionale del popolo ebraico
«Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non avrebbe potuto chiedere di meglio – scrive l’editoriale del Jerusalem Post (13.8.18) – Dal suo punto di vista, le bandiere palestinesi sventolate in piazza Rabin a Tel Aviv la sera di sabato scorso dicono tutto. Solo una minoranza dei circa 20.000 partecipanti alla manifestazione ha issato i colori del nazionalismo palestinese, ma sapevano bene che avrebbero attirato tutta l’attenzione. Allo stesso modo, mentre la maggior parte degli slogan erano appelli all’eguaglianza o contro il governo, il mantra che naturalmente è riecheggiato più forte è stato il minaccioso: “Con il sangue e lo spirito, libereremo la Palestina”. Evidentemente l’appello che gli organizzatori dicono d’aver fatto ai partecipanti di non sventolare bandiere palestinesi è stato ignorato». In effetti, le direttive postate in arabo della parlamentare arabo-israeliana Hanin Zoabi prima del raduno, dicevano che non ci dovevano essere bandiere israeliane e che non ci sarebbero stati “slogan diversi da quelli approvati dal Comitato organizzatore”. E aggiungeva: “Sfidare la legge sullo stato nazionale senza sfidare l’ideologia sionista sarebbe inutile. Facciamo in modo che la manifestazione abbia successo contro la legge, e poi lavoriamo insieme per farne una parte dell’azione contro il sionismo”. «Netanyahu – prosegue il Jerusalem Post – ha immediatamente reagito su Twitter alle immagini in arrivo da piazza Rabin: “Non c’è migliore dimostrazione della necessità di questa legge. Molti di quei dimostranti vogliono abrogare la Legge del Ritorno, cancellare l’inno nazionale, ammainare la nostra bandiera, abolire Israele e i diritti nazionali del popolo ebraico e, come ha detto il loro portavoce, trasformarlo in uno stato palestinese”. Introducendo la riunione di governo domenica mattina, Netanyahu ha aggiunto: “Noi siamo orgogliosi del nostro Stato, della nostra bandiera e del nostro inno nazionale. Israele è uno stato ebraico e democratico. I diritti individuali dei suoi cittadini sono ancorati molto bene nelle sue Leggi Fondamentali. Ora è più chiaro che mai quanto fosse necessaria anche una legge sullo Stato nazionale del popolo ebraico”.
E’ difficile non mettere a confronto la manifestazione di sabato scorso con quella del sabato precedente, organizzata principalmente dalla comunità drusa d’Israele. Là, innumerevoli bandiere israeliane sventolavano orgogliose a fianco dei colori drusi (che non rappresentano una rivendicazione nazionale) e l’evento si è concluso con l’inno nazionale israeliano, la Hatikvà. Entrambe le manifestazioni esprimevano sinceri sentimenti di discriminazione che la nuova legge sullo Stato nazionale ha suscitato, in particolare per la questione dell’ebraico come lingua ufficiale rispetto all’arabo cui viene assegnato “solo” uno status speciale. Ma tra le due manifestazioni c’era una differenza sostanziale e molto evidente. Mentre i manifestanti drusi si identificano chiaramente come leali cittadini dello Stato d’Israele e la maggior parte di loro presta servizio con onore e sacrificio nelle Forze di Difesa israeliane, sembra che la maggior parte dei manifestanti arabi chiedesse tutt’altro, e cioè uno stato palestinese al posto di quello ebraico o, nel migliore dei casi, uno stato arabo-ebraico bi-nazionale. Il sito della manifestazione era un messaggio in se stesso. Le bandiere palestinesi non sono state issate in una città araba israeliana come Umm el-Fahm o Sakhnin, e nemmeno in una città mista come Haifa. Sono state sventolate a Tel Aviv, nel cuore dello stato laico d’Israele. Gli slogan non chiedevano di modificare la legge dello Stato nazionale o di annullarla a favore della trasformazione in legge della Dichiarazione di Indipendenza. Gli slogan negavano l’esistenza stessa di Israele come stato ebraico e il diritto del popolo ebraico ad avere uno stato nazionale. Non è stata una manifestazione di solidarietà con lo Stato e per il suo miglioramento, come quella dei drusi. E’ stata una manifestazione contro l’entità e l’impresa sionista.

Celebrazione della “nakba” nella città arabo-israeliana di Nazareth, con la consueta mappa della Palestina: Israele è cancellato dalla carta geografica
La protesta è stata organizzata dall’Alto Comitato Arabo di Monitoraggio, un’organizzazione-ombrello non governativa che si è auto-assegnata il compito di coordinare la rappresentanza della comunità araba di Israele. Erano presenti diversi parlamentari arabi, come Ayman Odeh, Ahmad Tibi e Yousef Jabareen, dimostrando ancora una volta che i rappresentanti arabi alla Knesset non sempre servono al meglio gli interessi del pubblico che dicono di rappresentare. Jabareen, che all’inizio di quest’anno ha presentato una contro-proposta di legge chiamata “Legge sullo stato nazionale palestinese”, ha invocato la completa abolizione della nuova legge sullo Stato nazionale ebraico. “Aggiungere la parola eguaglianza non salverebbe questa legge – ha detto Jabareen – In qualunque forma, essa semina razzismo e coloro che si accontenterebbero di emendarla non vogliono fare altro che camuffarla”.
I cittadini arabi costituiscono circa il 20% della popolazione d’Israele e hanno goduto di pieni diritti di cittadinanza sia prima che dopo l’approvazione della legge sullo Stato nazionale. La manifestazione non mirava a conseguire obiettivi socio-economici come il miglioramento degli abitazioni, dell’istruzione, del lavoro o delle infrastrutture nel settore arabo. Mirava a negare il diritto alla maggioranza ebraica di affermare che Israele è lo Stato nazionale del popolo ebraico. L’appello a trasformare Israele in uno “stato di tutti i suoi cittadini” sembra innocente e politicamente corretto, ma il vero significato sottostante – nemmeno tanto implicito – è la cancellazione dell’unico Stato nazionale ebraico del mondo.
La legge sullo Stato nazionale definisce la bandiera a strisce bianche e blu con la stella di Davide come la bandiera israeliana. Nonostante tutta la retorica dei giorni scorsi, anche dopo che la legge è stata approvata, in Israele non è illegale sventolare la bandiera palestinese. “Ma – come ha commentato il leader di Yesh Atid, Yair Lapid – sarebbe interessante sapere cosa succederebbe se qualcuno tentasse di marciare nel centro di Ramallah sventolando la bandiera israeliana”. Israele era e resta una solida democrazia. Le bandiere palestinesi sventolate alla manifestazione di sabato sera erano altrettante spie d’allarme per lo Stato nazionale del popolo ebraico.» (Da: Jerusalem Post, Israel HaYom, 13.8.18)
Scrive Sara Greenberg: «In quanto consigliera del primo ministro Benjamin Netanyahu, parte del mio lavoro è ascoltare ciò che le persone in tutto il mondo hanno da dire. Molto di ciò che ho sentito dai critici della Legge Fondamentale “Israele, Stato nazionale del popolo ebraico” è frutto di errori o disinformazione. Le accuse circa gli effetti della nuova legge sulla democrazia israeliana non hanno alcun collegamento con il reale contenuto e il contesto della legge. La nuova Legge Fondamentale è stata approvata per colmare un vuoto costituzionale. Israele, come il Regno Unito, non ha una Costituzione scritta e fa affidamento su una serie di Leggi Fondamentali. Le costituzioni e le leggi costituzionali hanno generalmente un triplice scopo: definire l’identità di un paese, stabilire regole per la separazione dei poteri, proteggere i diritti individuali. Israele ha già Leggi Fondamentali volte a proteggere le libertà individuali (come la Legge Fondamentale “Libertà e dignità umana”) e per definire i vari rami del governo (come la Legge Fondamentale “La Knesset”). Fino ad alcune settimane fa, in Israele mancava una Legge Fondamentale che definisse identità e intenti dello Stato. Mentre la natura aperta, libera e democratica di Israele era già sancita dalla legge, non esisteva alcuna base legale per garantire che Israele continuasse a essere uno stato ebraico. Durante il dibattito di sette anni sui contenuti della nuova legge, si era registrato un ampio consenso sul fatto che fosse necessaria una Legge Fondamentale per definire l’identità del paese e garantire che principi fondamentali come la Legge del Ritorno (che riconosce il diritto di immigrazione degli ebrei) o l’uso del calendario ebraico non potessero essere cancellati a colpi di sentenze dal sistema giudiziario.
La nuova Legge Fondamentale, tuttavia, non contraddice né sostituisce le Leggi Fondamentali che proteggono e garantiscono i diritti individuali di tutti i cittadini indipendentemente da etnia, religione o genere. Molti critici della nuova legge ritengono che essa vìoli la libertà religiosa. Sbagliano. La legge si riferisce solo ai diritti nazionali del popolo ebraico e non affronta questioni religiose né prescrive una religione ufficiale. In questo senso, Israele è più liberale rispetto ai ben sette paesi europei che prevedendo una religione ufficiale di stato, tra cui Regno Unito, Polonia e Grecia.
La nuova legge non intacca nessun singolo diritto né garanzia di alcuna minoranza. In realtà, riafferma l’impegno di Israele nei confronti delle minoranze. Ad esempio, la maggior parte delle nazioni e la maggior parte delle democrazie liberali prevedono una sola lingua ufficiale, quella principalmente parlata nel paese. Israele è l’unico paese al mondo in cui l’ebraico è la lingua principale, e quindi la Legge Fondamentale definisce l’ebraico come la lingua ufficiale dello stato. Ma per la prima volta la nuova legge sancisce anche costituzionalmente l’arabo come una lingua dotata di “status speciale” e afferma che “lo status goduto alla lingua araba prima che questa legge entrasse in vigore non sarà intaccato”. Il che smentisce categoricamente i travisamenti della legge secondo cui essa modificherebbe lo status della lingua araba. Essa va anzi ben al di là di ciò che molte democrazie liberali prevedono per le lingue minoritarie [ad es., la Costituzione italiana si limita ad affermare, all’art. 6, che “la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”]. L’arabo continuerà a comparire sui segnali stradali, sui documenti ufficiali, sulla valuta e su molti altri simboli della sovranità dello Stato di Israele.
In una democrazia forte e vibrante, con una stampa libera e aperta, non sorprende che vi sia un vivace dibattito su una nuova Legge Fondamentale. Nel mezzo del dibattito, però, è importante che non vadano perse la storia e la verità che stanno dietro alla legge sullo Stato nazionale del popolo ebraico. Ognuno di noi è tenuto ad ascoltare e garantire che le discussioni siano radicate nei fatti.» (Da: Jerusalem Post, 6.8.18)
Scrive Roger M. Kaye (su Times of Israel, 7.8.18): «Vorrei ricordare ai detrattori della nuova legge che Israele, con o senza di essa, riconosce diritti uguali a tutti i suoi cittadini. Cosa che lo distingue nettamente da un’altra ben nota democrazia, gli Stati Uniti d’America, che mantiene due classi di cittadini: a una sono concessi tutti i diritti e privilegi della piena cittadinanza; l’altra invece non ha pieno accesso al “sogno americano”. Diamo un’occhiata ad alcuni dei presidenti di Israele. Chaim Herzog nacque a Belfast; Moshe Katsav nacque a Yazd, in Iran, col nome di Musa Qassab; Shimon Peres nacque come Szymon Perski a Wiszniew, in Polonia. Tutti questi presidenti sono nati fuori da Israele: erano immigrati. Ma Israele riconobbe fin dall’inizio piena eguaglianza a tutti i cittadini del paese. Alla vigilia del voto delle Nazioni Unite per il piano di spartizione, nell’autunno del 1947, David Ben-Gurion dichiarò: “Ogni cittadino, ebreo arabo o altro, può essere eletto presidente dello Stato”. “Qualsiasi cittadino” significa esattamente questo: chiunque abbia la cittadinanza israeliana. Negli Stati Uniti, invece, non esiste tale eguaglianza. La Costituzione degli Stati Uniti è chiara: solo i cittadini nati negli Stati Uniti hanno diritto a ricoprire la carica di presidente o vice presidente. Un immigrato, anche se è arrivato quando avevano pochi giorni di vita, non ha questo diritto. Un famoso immigrato era ad esempio Henry Kissinger, che divenne Segretario di stato e Consigliere per la sicurezza nazionale con i presidenti Richard Nixon e Gerald Ford. Vinse anche il premio Nobel, ma non avrebbe mai potuto raggiungere la presidenza, anche se aveva solo 15 anni quando era diventato cittadino americano. In tema di presidenti, non dimentichiamo il caso di Moshe Katsav, l’ottavo presidente di Israele. Nel marzo 2009 Katsav, sotto processo per reati sessuali nel tribunale distrettuale di Tel Aviv, venne giudicato da una corte di tre giudici presieduta da George Karra, un arabo israeliano. Katsav venne condannato a sette anni di reclusione: il presidente d’Israele mandato in carcere da un giudice arabo israeliano. Non riesco a pensare a un esempio migliore di uguali diritti per tutti i cittadini.
Nel Regno Unito non c’è bisogno di una legge sullo Stato nazionale che specifichi la religione del paese: infatti la religione ufficiale dell’Inghilterra è il cristianesimo praticato dalla Chiesa Anglicana d’Inghilterra. La bandiera nazionale della Gran Bretagna non lascia spazio a dubbi. E’ composta da ben tre croci cristiane: la Croce di San Giorgio (patrono d’Inghilterra), la Croce di San Patrizio (patrono d’Irlanda) e la Croce di Sant’Andrea (patrono della Scozia). Nella bandiera britannica non vi è alcun simbolo che rappresenti gli indù, i sikh, i buddisti, i mussulmani e nemmeno gli ebrei. Né c’è bisogno di una legge sullo Stato nazionale che specifichi la lingua del paese: la lingua ufficiale dell’Inghilterra è l’inglese. Altre religioni e lingue sono tollerate, ma non c’è alcun dubbio sulla natura dello Stato. Basta il fatto che la Regina detiene il titolo di “Difensore della Fede”, non di “Difensore delle Fedi”. E non c’è bisogno di una legge sullo Stato nazionale che specifichi le festività ufficiali del paese. Le uniche festività ufficiali sono le festività cristiane: il Venerdì Santo, la Pasqua, il giorno di Natale. Sebbene la presenza ebraica in Inghilterra si possa far risalire al periodo della conquista normanna del 1066, lo Yom Kippur non è una festa ufficiale nel Regno Unito. Sta ai datori di lavoro concedere il permesso ai propri dipendenti ebrei per il giorno di Kippur, se lo ritengono opportuno. Non hanno alcun obbligo legale di farlo, e si sente di molti casi in cui, infatti, non lo fanno.» Laddove la legge israeliana sullo Stato nazionale prevede espressamente: “Coloro che non sono ebrei hanno diritto di rispettare i loro giorni di riposo e le loro festività”.
Scrive Ariel Bolstein (su Israel HaYom, 8.8.18): «Gli oppositori che descrivono la nuova legge israeliana sullo Stato nazionale come anti-democratica e dannosa per le minoranze sostengono spesso che essa costituisca un’eccezione rispetto a quella che è considerata la norma in tutti gli altri paesi civili. In realtà, è vero il contrario. Sono molti i paesi che si proclamano “stati nazionali” e questa dichiarazione compare di solito nel preambolo della loro Costituzione o in uno dei suoi primi articoli. Sebbene numerose minoranze vivano in Slovenia, la Costituzione di questo paese stabilisce il diritto all’autodeterminazione del popolo sloveno. Vale la pena notare che la Slovenia è stata accolta nell’Unione Europea dopo che aveva adottato questa sua Costituzione. Altri paesi vanno oltre, dichiarandosi espressamente gli stati di un popolo o persino di una religione. Le prime righe della costituzione irlandese menzionano la fedeltà a Gesù Cristo. Come possono i cittadini irlandesi non cristiani convivere con questa formula della loro Costituzione? A quanto pare, le minoranze irlandesi accettano i valori della maggioranza e il suo diritto all’autodeterminazione. La Costituzione della Danimarca è ancora più categorica: l’articolo 4 definisce il paese come cristiano-luterano. Naturalmente in Danimarca vi sono minoranze, tra cui ebrei, musulmani e cristiani di altre denominazioni, ma per qualche ragione il diritto della maggioranza di plasmare la propria sede nazionale come meglio crede non viene messo in discussione.
Definire Israele come Stato nazionale del popolo ebraico non inficia i diritti individuali dei cittadini dello stato. In realtà, Israele è un modello di protezione di questi diritti, specialmente per quanto riguarda le minoranze. In Israele, ad esempio, sarebbe impensabile impedire alle minoranze di vestirsi come prescrive la loro religione. Nell’Europa illuminata, invece, si riscontra questo tipo di violazione della libertà di religione. Nei giorni scorsi la Danimarca ha iniziato ad applicare il divieto del niqab. Divieti simili sono già in vigore in paesi come la Francia e il Belgio. La legge israeliana sullo Stato nazionale stabilisce che i non ebrei “hanno il diritto di onorare i loro giorni di riposo e le loro festività”. Tale diritto è garantito anche a tutte le minoranze in Europa? Sicuramente no. Lo stesso vale per i diritti linguistici: anche se milioni di cittadini francesi parlano arabo e milioni di cittadini tedeschi parlano turco, a queste lingue non è riconosciuto alcun status ufficiale in quei paesi. Israele, invece, garantisce i diritti della minoranza araba alla sua lingua e cultura, destinando risorse a tale scopo e gestendo persino un intero sistema educativo nella lingua della minoranza. Israele non è solo l’unica democrazia in Medio Oriente. In realtà è un paese più libero di molti suoi amici europei. Le disposizioni della legge sullo Stato nazionale non solo non sono anomale, ma in realtà sono più democratiche e più favorevoli alle minoranze rispetto a molte leggi comparabili nel “vecchio mondo”, dove per qualche motivo si sentono comunque in diritto di predicare libertà e moralità agli israeliani.»
La nuova legge andrebbe letta con attenzione, prima di criticarla.
Sottolinea ad esempio Zalman Shoval (su Jerusalem Post, 9.8.18): «La nazione ebraica non comprende solo gli ebrei che vivono in Israele, ma anche gli ebrei in tutto il mondo. La legge impiega il termine che usava Theodor Herzl “Stato del popolo ebraico“, e non “stato ebraico“, poiché le connotazioni religiose di quest’ultimo termine vengono sfruttate dai nemici del sionismo e di Israele per muovere false accuse sulla supposta discriminazione contro le altre religioni presenti fra i cittadini d’Israele, e soprattutto per negare l’identità nazionale degli ebrei, e quindi il loro diritto a uno stato.»
Osserva Asher Cohen (su Israel HaYom, 12.8.18): «Esaminiamo il testo della legge. L’Articolo 1 fa un uso preciso delle parole. Al punto a) recita: “La Terra d’Israele (Eretz Israel) è la patria storica del popolo ebraico nella quale è sorto lo Stato di Israele”. Al punto b) dice: “Lo Stato d’Israele (Medinat Israel) è lo Stato nazionale del popolo ebraico, nel quale esso esercita il suo diritto naturale, storico, culturale e religioso all’autodeterminazione”. E al punto c), si legge: “L’esercizio del diritto all’autodeterminazione nazionale nello Stato di Israele (Medinat Israel) è esclusivo per il popolo ebraico”. Dunque è chiaro che la legge non proclama quel diritto esclusivo su tutta la terra storica di Israele, ma solo nel moderno Stato di Israele. La legge sullo Stato nazionale definisce chiaramente ed esplicitamente lo Stato di Israele come la sede nazionale del popolo ebraico, non la Terra di Israele che è vista come la patria storica del popolo ebraico.» Come ha scritto Evelyn Gordon, la nuova legge “non impedisce la possibilità che gli arabi palestinesi esercitino l’autodeterminazione in Cisgiordania e Gaza, che non fanno parte dello Stato d’Israele. L’unica cosa che proibisce è che sorga uno stato arabo all’interno dei confini di Israele: un divieto che può essere problematico solo per chi mira a sostituire Israele con un ulteriore stato arabo”.
Scrive Dror Eydar (su Israel HaYom, 10.8.18) «Chi sostiene che la nuova legge sullo Stato nazionale andrebbe sostituita tout court con il testo della Dichiarazione di Indipendenza, forse non ha letto nemmeno questa. La Dichiarazione d’Indipendenza riporta il termine “ebraico” 20 volte in varie reiterazioni. I “diritti” del popolo ebraico vi appaiono nove volte. Dopodiché prosegue garantendo “completa eguaglianza dei diritti sociali e politici a tutti gli abitanti indipendentemente da religione, razza o sesso”», diritti già previsti da altre Leggi Fondamentali vigenti in Israele. Tanto da generare il paradosso, sottolineato da Eugene Kontorovich (Jerusalem Post, 12.8.18), della petizione inoltrata alla Corte Suprema “che si richiama alla Legge Fondamentale che garantisce l’eguaglianza, per sostenere che con questa legge non viene costituzionalmente garantita l’eguaglianza…”. Prosegue Kontorovich: «La gente parla in generale di eguaglianza, ma nessuno che dica cosa significa veramente. Significa, per esempio, che l’esenzione degli arabi israeliani dal servizio militare obbligatorio è anticostituzionale?».
Gli fa eco Nave Dromi (su Ha’aretz, 13.8.18): «È molto facile usare nei discorsi pubblici una parola come eguaglianza, così carica di connotazioni progressiste e liberali. Ma cosa succederà quando queste minoranze chiederanno ai laburisti e alla sinistra sionista di esercitare i loro eguali diritti nazionali? Fino a che punto saranno disposti a spingersi in nome dell’eguaglianza? Accetteranno di cambiare bandiera e inno nazionale? L’eguaglianza di diritti umani e civili c’è già. Se è un altro tipo di eguaglianza che intendono, ad esempio l’eguaglianza nazionale, è meglio dirlo chiaramente affinché tutti i cittadini, maggioranza e minoranze, ne traggano le conseguenze.» Aggiunge Kontorovich: «Israele giustamente non si mette sullo stesso piano dei regimi vicini. Ma sappiamo che la legge costituzionale adottata dall’Autorità Palestinese dichiara il proprio esclusivo carattere arabo-palestinese, con l’arabo come unica lingua ufficiale e l’islam come religione ufficiale”».
«Ricordiamoci – ha affermato lo storico Martin Kramer (Times of Israel, 13.8.18) – che lo stato ebraico sorse non per privilegiare gli ebrei, ma per proteggerli. Deve essere un rifugio sicuro per il popolo ebraico, perché altrove si è dimostrato che era straordinariamente vulnerabile. La gente tende a dimenticare la storia: Israele, come idea e come progetto, era ed è lo Stato nazionale del popolo ebraico.»