Una vita senza sirene

I bambini israeliani imparano a distinguere la sirena che significa correre in un rifugio per salvarti e quella che significa fermarsi a riflettere su coloro che hanno sacrificato le loro vita per salvare la tua

Di Romi Sussman

Romi Sussman, autrice di questo articolo

Qualche sera fa eravamo seduti a tavola e si parlava del fatto che presto sarebbe stato Yom HaShoà, la Giornata della Memoria dell’Olocausto, e a scuola sarebbe suonata una sirena, come in tutto il resto del paese. E che una settimana dopo ne sarebbe suonata un’altra per Yom HaZikaron, la Giornata del Ricordo dei caduti per guerra e terrorismo.

Mio figlio di 12 anni ha iniziato a pensare alla parola sirena. Ne è seguita questa conversazione.

Z. – “Ci sono parole diverse in inglese per le sirene? Tipo, i miei cugini in America hanno parole diverse per le sirene?”
“No – ho detto io, intuendo dove stava andando a parare – Non credo. Sirena è solo sirena”.
Z. – “Un momento, noi abbiamo una parola per le sirene di emergenza (אזעקה) quando ci sono bombe e dobbiamo correre, e abbiamo una parola per le sirene commemorative (צפירה) quando dobbiamo stare fermi. Ci sono parole diverse come queste per le sirene, in America?”.
“No – ho risposto, constatando che non aveva menzionato il tipo di sirena che dovrebbe essere più ovvio – Semplicemente non hanno questi tipi di sirene. Non hanno bisogno di parole per indicarle. Non vengono regolarmente bombardati e non celebrano i memoriali come facciamo noi. Se sentono una sirena, è la sirena di un’ambulanza. Non gli capita un’occasione in cui sentono altri tipi di sirene”.

Yom HaZikaron 2021, a Tel Aviv

“Cosa? – ha replicato lui, con una risatina di incredulità – Cosa intendi?”.
Io: “Questo, che una sirena in America significa che sta arrivando un’ambulanza, o un camion dei pompieri o la polizia. Non ci sono altre sirene”.

E’ rimasto seduto, ammutolito.
Una vita senza sirene.
Mi sembrava di vedere le rotelle girare nella sua testa.
Da un lato, stava pensando, significa un mondo in cui non devi correre in un rifugio quando cadono bombe e razzi, non ti devi tuffare in un cespuglio mentre giochi nel campetto di basket pregando di non essere colpito da schegge, non ti ritrovi a tremare per ogni falso allarme quando sei a casa da solo e chiami i tuoi genitori in lacrime.
D’altra parte, gli diceva la sua logica, come puoi avere una vita senza sirene commemorative? Senza la consapevolezza che le tue radici ebraiche e sioniste sono passate attraverso il terrore e la profanazione, e attraverso la ricostruzione ad opera dei tuoi progenitori sopravvissuti alla Shoà. Senza sapere che la tua vita ebraica e sionista è stata costruita sulle spalle di coloro che hanno rischiato e perso la vita costruendo e difendendo il tuo paese. Senza fermarsi a riflettere e rendersi conto del fatto che il figlio del tuo vicino, il padre del tuo amico, il fratello del tuo preside hanno avuto la vita stroncata da terroristi votati alla missione di cancellare te e il tuo paese dalla faccia della terra.
“Bene – ha detto infine – è proprio strano. Come fanno a vivere in questo modo?”.

Sai com’è, si dice che gli eschimesi hanno tante parole diverse per indicare la neve.
Mi domando se altri paesi hanno parole specifiche per distinguere tra le varie sirene. E per essere sicuri di saper distinguere quando devi correre per mettere in salvo la tua vita, e quando invece devi fermarti due minuti in piedi, in silenzio, per dare valore alla tua vita e a quelli che hanno sacrificato la loro per rendere possibile la tua.

(Da: Times of Israel, 8.4.21)

Un allarme razzi palestinesi a Tel Aviv