Unantica ferita

37 anni fa l'impiccagione di nove ebrei a Baghdad venne trasformata dal regime in una festa di piazza.

image_935Trentasette anni fa Haviva Hanuka se ne stava chiusa in casa col televisore spento mentre decine di migliaia di iracheni affollavano esultanti Piazza Liberazione, a Baghdad, per assistere all’impiccagione di suo fratello Naim.
Naim, insieme ad altri tredici iracheni, di cui nove ebrei, era stato dichiarato colpevole di alto tradimento da un tribunale a porte chiuse che li aveva accusati di spionaggio per conto di Israele e Stati Uniti.
Mercoledì scorso Hanuka ha acceso il televisore, nella sua casa di Givatayim (Israele), per vedere l’uomo che ha messo a morte suo fratello seduto alla sbarra, davanti a una corte che potrebbe condannarlo a morte. Quando Saddam Hussein si è alzato per dichiararsi innocente, Hanuka ha provato un senso di soddisfazione. “E’ come se ora fosse sotto processo per l’assassinio di mio fratello – dice la donna, nativa di Bassora – E’ molto probabile che il processo contro mio fratello si sia tenuto molto vicino, o addirittura nello stesso luogo dove ora si svolge quello a Saddam”.
Per questa cinquantenne madre di tre figli, il processo a Saddam contribuisce a lenire il dolore di un’antica ferita. “Il processo rappresenta la chiusura di un ciclo – dice – Chiusura che è iniziata quando Saddam venne catturato dalle forze americane, nascosto in modo umiliante dentro a un buco”.
Il dolore iniziò nel 1967. All’indomani della devastante sconfitta degli eserciti arabi nella guerra dei sei giorni, i cinquemila ebrei che ancora vivevano in Iraq patirono crescenti forme di oppressione da parte di un governo che li accusava di doppia lealtà. Alla famiglia di Hanuka e agli altri ebrei venne proibito di lasciare il paese. La situazione divenne molto peggiore l’anno seguente quando, con un colpo di stato militare incruento, salirono al potere i ba’athisti guidati da Ahmed Hassan al-Bakr e Saddam Hussein. Nel giro di pochi mesi le forze di sicurezza al comando di Saddam rastrellarono una quantità di persone con l’accusa di spionaggio. Quattordici di queste vennero condannate a morte . La loro pubblica esecuzione per impiccagione venne trasformata in una festa popolare, con autobus e treni gratuiti. Ma molti videro in quelle morti una sorta di vendetta collettiva per l’umiliante sconfitta delle truppe arabe, oltre che una intimidatoria dimostrazione di forza da parte del nuovo regime.
Mesi dopo l’esecuzione, un gruppo di avvocati e giuristi ebrei diede vita alla International Association of Jewish Lawyers and Jurists (IAJLJ) con lo scopo di aiutare gli ebrei ingiustamente trascinati in tribunale. Il primo atto ufficiale dell’associazione fu la pubblicazione di una netta condanna delle esecuzioni di ebrei senza appropriato processo. Hadassa Ben-Itto era a quel tempo una giovane avvocatessa israeliana nonché uno dei primi soci della IAJLJ. Oggi che è un giudice in pensione a Tel Aviv e ne è la presidente onoraria, ha guardato l’inizio del processo a Saddam in televisione. “Saddam Hussein è uno dei peggiori malfattori del mondo – commenta – Mi auguro che si prenda quello che si merita”.
Hanuka dice di sperare che suo fratello fosse davvero colpevole di spionaggio. “Se oggi mi dite che fece qualcosa per Israele, io dico: molto bene – spiega – Almeno la sua morte sarebbe servita a qualcosa”. Naim, ricorda la sorella, era un vero sionista: “Una volta parlammo di una anziana ebra che era deceduta, e lui mi disse: è triste, perché l’anima di un ebreo non può riposare finché non è sepolto in Terra d’Israele”. Il grande sogno di Naim era di fare l’aliya (immigrazione in Israele). “Era arrabbiato, furibondo, e soffriva perché era costretto a restare in Iraq”.
Fino alla metà del XX secolo, l’Iraq aveva una grande e benestante comunità ebraica. Tuttavia, dopo la guerra d’indipendenza di Israele, la maggior parte degli ebrei iracheni – circa 120mila – lasciò il paese, sia per convinzione sionista sia per paura di rappresaglie. I genitori di Hanuka scelsero di restare e vi rimasero intrappolati per lunghi anni.
Durante la guerra del 1967 Naim soffriva molto, ricorda ancora la sorella. “Una volta, mentre studiava per il suo esame di immatricolazione, entrai nella sua stanza e lo sorpresi che stava letteralmente mordendo una cintura per la frustrazione. Gli chiesi: cosa stai facendo? E lui: I miei cugini e i miei zii vengono uccisi in Israele e io sono qui a studiare. L’anno dopo vennero a prenderlo”.
La morte dei nove ebrei marcò l’inizio di un regime di assoluto terrore che successivamente, nel giro di pochi anni, avrebbe visto la scomparsa di decine di ebrei. Alcuni sarebbero ricomprarsi solo dentro a delle scatole, col corpo fatto a pezzi. Altri vennero trovati dai famigliari all’obitorio. Di altri ancora non si seppe più nulla. “E’ spaventoso pensare a che mostro sia Saddam – dice Hanuka – Hanno così tanto da giudicare sul suo conto. Ma pensare che mio fratello era nelle sue mani e dovette subire le sue torture è ancora una tortura per me”. Il suo più grande timore, dice, “è che possa venire liberato, magari con un attentato suicida che lo faccia fuggire”.
Solo la morte di Saddam potrà chiudere il ciclo, per Hanuka: “Finché non finirà la sua vita, questa storia non sarà finita”, dice. E aggiunge: “C’è un detto, in arabo: ogni cane ha il suo giorno. Ecco, il giorno di Saddam è arrivato”.

(Da: Jerusalem Post, 20.10.05)

Nella foto in alto: Due dei 14 iracheni impiccati sulla pubblica piazza a Baghdad nel 1969.