Uno stress test per l’islam moderato

Il musulmano che condanna i terroristi islamisti e reclama di non essere confuso con i tagliagole va ascoltato con rispetto. Poi va interpellato sul tema: gli ebrei e lo stato ebraico, cioè Israele

Di Marco Paganoni

Manifestazione di musulmani a Londra. Sul cartello: “Hitler, avevi ragione”

Sono tempi grami. Talvolta si sente la mancanza di una bussola politica e morale. Ha scritto Stefano Montefiori sul Corriere della Sera: “Due posizioni, ugualmente ideologiche, si sono ormai cristallizzate: un campo tende a sminuire il ruolo dell’islam, connotato in modo sbrigativo come ‘religione di pace’; l’altro individua nel Corano i germi di una inevitabile violenza e accusa di cecità e sottomissione chiunque provi a distinguere tra musulmani e fondamentalisti predestinati al terrorismo”. Mica facile raccapezzarsi. E’ chiaro che l’islamismo jihadista ha dichiarato guerra alla nostra civiltà, e non solo con il terrorismo. E’ anche chiaro che non siamo né vogliamo essere in guerra con un miliardo e mezzo di musulmani, oltretutto diversi e divisi fra loro almeno quanto lo sono tutte le altre grandi comunità religiose.

Per questo l’Occidente accoglie con un senso di sollievo ogni segnale di “moderazione”, ogni gesto di integrazione, ogni condanna del terrorismo che proviene dall’interno della galassia islamica. Senza che ciò riesca a dissipare tutti i dubbi: vera moderazione o dissimulazione? Sincera condanna o calcolato espediente? Magari esistesse una cartina di tornasole. Eppure alcune indicazioni si possono trovare.

Manifestazione di musulmani a New York. Sul cartello grande: “Non riconosco Israele”. Sul cartello in alto: “Palestina dal fiume al mare”

Un’organizzazione islamica, un imam, un intellettuale musulmano che tiene conferenze e rilascia interviste, un qualunque musulmano che rivendica il carattere pacifico del suo islam, che si indigna per i crimini dei terroristi islamisti, che condanna e prende le distanze, che legittimamente reclama di non essere confuso con i tagliagole e giustamente esige di non essere costretto a discolparsi dopo ogni attentato, va ascoltato con rispetto. Poi va interpellato sul tema: gli ebrei e lo stato ebraico, cioè Israele.

Un esempio? Sulaiman Hijazi, per anni portavoce della comunità musulmana di Cagliari, intervistato ai primi di agosto da L’Unione Sarda. Hijazi parla di convivenza consolidata, di comunità islamica pacifica, di ottimi indici di integrazione sociale, di rispetto delle leggi del paese; condanna l’estremismo e sconfessa senza mezzi termini il terrorismo. Dice: “Chi studia l’islam sa che queste persone che si fanno esplodere non sono musulmani. Il fatto che si chiamino Mohammed non significa che siano fedeli all’islam”. Musica per le orecchie di ogni occidentale. Poi però arriva la domanda, non si sa quanto ingenua, della giornalista: “Teme più l’Isis o Israele?”. E la risposta è secca: “Israele, perché da settant’anni occupa terre non sue e ci tiene segregati come animali”. Si badi: “settant’anni”, cioè da quando Israele è nato. E poi, “segregati come animali”: più che una risposta, un travaso di bile. E stiamo parlando di un esponente musulmano che ha partecipato all’iniziativa di preghiera congiunta in memoria di padre Jacques Hamel, trucidato sull’altare della chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray lo scorso luglio.

Manifestazione di musulmani in Califormnia. Sul cartello: “Tutto ciò che riguarda Israele è illegale”

Un altro caso esemplare è stata la petizione firmata a fine luglio sul Journal du Dimanche da quaranta personalità islamiche francesi che denunciavano il fondamentalismo islamista, lamentando persino la debolezza delle istituzioni musulmane nel trattenere gli estremisti dall’usare la violenza in nome dell’islam. La petizione si apriva con un elenco dei recenti attentati terroristici in Francia, da Charlie Hebdo al Bataclan a Nizza: dimenticando, però, l’uccisione di quattro ebrei nel supermercato kasher di Parigi nel 2015 e l’assassinio di tre bambini ebrei e un rabbino a Tolosa nel 2012.

Ecco lo stress test per l’islam moderato. Se, non appena si citano Israele e gli ebrei, i toni si alterano e sgorga automatica la condanna, la demonizzazione, la propensione a credere e rilanciare le calunnie più inverosimili e infamanti, ad alimentare le teorie del complotto, a fomentare le più esagitate manifestazioni di piazza, a sogghignare compiaciuti per le vignette più truci traboccanti stereotipi antiebraici, ecco che lì alligna la mentalità dell’estremismo fondamentalista e intollerante, dell’odio incline alla violenza, del terrorismo che disumanizza. E tutte le altre chiacchiere – come suol dirsi – stanno a zero.

Insomma, il rispetto per gli ebrei e per i loro diritti – compreso quello di definirsi popolo e autodeterminarsi in uno stato nazionale indipendente – come il rispetto per i diritti delle donne e dei gay: in fondo non occorre molto di più per capire con chi si ha a che fare. Ed è bene saperlo non per proteggere Israele, che sa difendersi da sé. Ma per proteggere noi stessi.

(Da: informazionecorretta.com, 18.9.16)

Manifestazione di musulmani a Londra. Sullo striscione: “Israele è il cancro, la jihad è la risposta!!!”