Un’oasi di stabilità, assennatezza e sviluppo nel Medio Oriente in preda alla follia autodistruttiva del fanatismo estremista

Ombre e luci alla vigilia del nuovo anno ebraico

Editoriale del Jerusalem Post

Un giovane immigrato dall’Ucraina al suo arrivo all’aeroporto Ben-Gurion lo scorso dicembre

Un giovane immigrato dall’Ucraina al suo arrivo all’aeroporto Ben-Gurion lo scorso dicembre

Gettando uno sguardo sul futuro in occasione di Rosh Hashanà, il Capodanno ebraico, i pessimisti hanno ottimi argomenti da mettere sul tavolo.

Ovviamente possono subito additare la questione Iran, che quasi certamente verrà a conclusione nei prossimi mesi. La vittoria di Barack Obama al Congresso Usa ha coinciso con uno sproloquio anti-israeliano e anti-americano su Twitter con cui la Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, dichiarava: “A Dio piacendo, entro i prossimi 25 anni non ci sarà più nessun regime sionista”. A scanso d’equivoci Khamenei ha anche aggiunto che, fino al giorno della scomparsa di Israele dalla carta geografica, “non ci sarà un solo momento di serenità per i sionisti”.

L’accordo sul nucleare, che di fatto trasforma la Repubblica Islamica in uno stato internazionalmente riconosciuto sulla soglia dell’atomica, aumenterà la nefasta influenza dell’Iran in tutta la regione. Il che ci porta dritti a un altro motivo di pessimismo: l’estrema instabilità del Medio Oriente. Che si creda o meno alla tradizione che vede il Signore sedere in giudizio nel giorno del Capodanno ebraico, difficile non interpretare come un segno infausto l’eccezionale tempesta di sabbia e polvere che da giorni soffia proprio dalla Siria e dall’Iraq ammantando il paese in un’opprimente foschia gialla. Ma vi è un altro segno infausto che origina da questa regione: la crisi dei migranti che travolge il continente europeo. I profughi in fuga da luoghi come Siria, Iraq e Libia sono il risultato di una serie di sviluppi. Ma sono soprattutto la testimonianza del totale fallimento dei movimenti nazionalisti arabi, incapaci di creare stati-nazione fattibili, stabili e credibili (pessimo presagio per chi auspica di crearne di nuovi).

La tempesta di sabbia dei giorni scorsi in Via Jaffa, a Gerusalemme

La tempesta di sabbia dei giorni scorsi in Via Jaffa, a Gerusalemme

Il collasso in Medio Oriente è stato anche precipitato da anni di calante influenza americana. L’ordine regionale in gran parte garantito dagli Stati Uniti si è pericolosamente deteriorato sotto la custodia di Obama. E non c’è motivo per aspettarsi che tale processo di deterioramento sia destinato a fermarsi presto.

Eppure in questo Rosh Hashanà ci sono anche un paio di buone ragioni per essere ottimisti. Caos e guerre civili infuriano in vaste aree del Medio Oriente, è vero, ma lo stato ebraico è e rimane un’oasi: non solo un’oasi di stabilità politica e di equilibrio mentale, ma anche di fiorente innovazione.

L’anno trascorso è stato per l’aliya (l’immigrazione ebraica) un anno record come non si vedeva da un decennio. Quasi 30.000 nuovi immigrati hanno scelto di lasciare i paesi dove vivevano per trovare casa in Israele: chi fuggendo dall’Ucraina della guerra civile, della crisi economica e dell’antisemitismo, chi dalla Francia dell’antisemitismo e della stagnazione economica. A quanto è dato vedere, il ritmo dell’aliya non dovrebbe rallentare nel prossimo anno.

Ma Israele non è solo un rifugio per ebrei profughi. E’ diventato anche destinazione d’eccellenza per i talenti che vogliono realizzare il loro potenziale. Come ha scritto la scorsa settimana il Wall Street Journal in un articolo di prima pagina dedicato agli espatriati francesi verso lo stato ebraico, “Israele è diventato terra d’approdo esattamente per quel tipo di talenti di cui la seconda maggiore economia della zona euro avrebbe bisogno: giovani imprenditori tecnologici alle prime armi”. Il reportage spiega come la cultura e l’ambiente aziendali israeliani incoraggino la creatività mentre l’economia francese è soffocata da un’opaca burocrazia; come questa impedisca il processo per tentativi ed errori punendo gli imprenditori che falliscono e come in Francia i migliori e più brillanti siano incoraggiati a entrare nell’amministrazione pubblica anziché instradare i loro talenti nel settore delle imprese. Quando la scorsa settimana il ministro dell’economia francese Emmanuel Macron ha visitato il Technion, l’istituto israeliano di tecnologia, pochi dei tanti studenti francesi con cui ha parlato prendevano in considerazione un ritorno al loro luogo di nascita.

Va anche ricordato che i legami con l’America, il più importante alleato di Israele, rimangono forti. Come ha osservato in una recente intervista al Jerusalem Post Abraham Foxman, già direttore della Anti-Defamation League, parlare di una spaccatura tra Israele e Stati Uniti è molto esagerato. Nonostante il disaccordo intorno all’affare Iran, i due paesi continueranno a cooperare. E l’amministrazione Obama ha già promesso un aumento degli aiuti militari, nel quadro dei suoi sforzi per rassicurare lo stato ebraico sull’impegno per una sua durevole sicurezza.

Il nuovo anno ebraico, come i precedenti, presenterà molte sfide sia per gli ebrei che per i non ebrei e ci sono molte ragioni per essere pessimisti. Ma bisogna anche essere consapevoli dei tanti sviluppi positivi che offrono motivo di speranza.

(Da: Jerusalem Post, 12.9.15)