Va fatto, per i soldati

Quando ero in quella cella siriana un solo pensiero mi teneva in vita

Da un articolo di Hezi Shai

image_2186Quando ero là, nella prigione siriana, un solo pensiero mi teneva in vita: la consapevolezza che il mio paese stava facendo di tutto pur di portarmi a casa e restituirmi alla mia famiglia e alla mia terra. A volte fantasticavo che si aprisse addirittura un buco nel pavimento e che ne uscissero i soldati venuti a salvarmi. Là, chiuso in quella cella siriana, mi tornavano alla mente le immagini dei nostri prigionieri di guerra che scendevano dall’aereo che li aveva riportati dall’Egitto, ricordavo gli sforzi fatti dallo Stato per riavere i corpi dei caduti, mi ripetevo più e più volte la storia della liberazione degli ostaggi a Entebbe. Anche nei momenti di peggiore disperazione sapevo che in quel preciso momento veniva fatto di tutto pur di scoprire cosa ne era stato di me, e che veniva fatto ogni possibile sforzo per riportarmi a casa vivo.
Ci furono momenti in cui pensai seriamente alla possibilità di togliermi la vita, così i miei aguzzini avrebbero avuto tra le mani un cadavere e non un soldato vivo. Ma sapevo che Israele avrebbe fatto di tutto per portare a casa anche solo il mio corpo, sapevo che non si sarebbe mai accontentato di dire “è disperso”.
Per questo sostengo lo scambio. Sono stato un prigioniero la cui famiglia per due anni si è sentita dire che ero morto: per questo sono convinto che lo scambio va fatto, nonostante il prezzo pesante della scarcerazione di un assassino come Samir Kuntar. Ogni soldato che va in guerra deve poter andare al combattimento con la precisa consapevolezza che lo Stato farà di tutto per riportarlo a casa, comunque vadano le cose. Questa consapevolezza deve essere impressa nella coscienza di ogni soldato, che deve sapere che può andare a combattere nella tranquilla certezza che verrà fatto di tutto per riportarlo a casa. Guai se invece nella mente dei nostri soldati dovesse imprimersi il caso di Ron Arad, della cui sorte purtroppo non sappiamo ancora nulla.
Sono lieto che avvenga lo scambio, e che finalmente le famiglie Goldwasser e Regev possano trovare un po’ di requie. Quando, il cielo non voglia, un soldato muore, degli ufficiali bussano alla porta della famiglia e le portano la tragica notizia. Qui abbiamo due famiglie che per due anni si sono trovate in una situazione tremenda, nell’attesa che bussassero alla loro porta. Avevamo il dovere di fare di tutto per porre fine al quel tormento.

(Da: YnetNews, 16.07.08)

Nella foto in alto: L’autore di questo articolo Hezi Shai, prigioniero dell’organizzazione terroristica filo-siriana FPLP-CG (Ahmad Jibril) dal 1982 al 1985