Vento di libertà, uragano di fanatismo

Se le potenze occidentali non cambiano politica, il risultato può essere un disastro geostrategico.

Di Ari Shavit

image_3070La grande rivoluzione araba promette molto porta con sé grandi promesse. Come ogni grande ribellione contro la tirannia, suscita solidarietà, entusiasmo e speranza. Nonostante il terribile massacro in Libia, senza dubbio il 2011 potrebbe essere il 1989 del Medio Oriente. Forse addirittura il 1789 del Medio Oriente. Il dispotismo arabo laico sta crollando davanti ai nostri occhi. Il gigante arabo si sta svegliando dal coma. Un intero ordine del mondo decadente degradato e corrotto si sta sgretolando. Milioni di persone oppresse provano per la prima volta un senso di liberazione.
Ma la grande rivoluzione araba porta con sé anche grandi pericoli. Negli ultimi dieci anni gli Stati Uniti hanno smantellato l’Iraq, hanno smontato l’Egitto, hanno perso la Turchia. Così facendo, hanno distrutto il cuscinetto sunnita contro l’Iran. In questi giorni Washington lascia che si smantelli il Bahrain, che vacilli la Giordania e che rischi l’Arabia Saudita, facendo in questo modo dell’Iran la prima potenza della regione. Se la politica americana non cambia, il risultato potrebbe essere un disastro geostrategico.
Sotto l’insegna della “democratizzazione”, i musulmani sciiti si impadroniranno di un considerevole numero di stati arabi del Golfo Persico. Sotto l’insegna della “liberazione”, gli estremisti si impadroniranno di una considerevole parte del mondo arabo. La pace fra Israele e palestinesi e fra Israele e Siria diventerà impossibile. I trattati di pace israelo-egiziano ed israelo-giordano svaniranno. Forze islamiste, neo-nasseriane e neo-ottomane plasmeranno il nuovo Medio Oriente. E la rivoluzione del 2011 potrebbe fare la fine della rivoluzione francese del 1789, con un Napoleone pronto a prenderne il controllo, ad approfittarne e a trasformarla in una lunga sequela di guerre sanguinose.
Il cambiamento nel mondo arabo avrebbe dovuto innescarsi in un’altra epoca, uno o due decenni fa. Il cambiamento nel mondo arabo avrebbe dovuto generarsi in modo diverso, con le riforme e non con le rivolte. Ma ormai è tropo tardi, non si può tornare indietro; la rivoluzione è in pieno svolgimento. Ecco perché gli americani hanno ragione di voler stare dalla parte giusta della storia. Gli americani fanno bene a schierarsi dalla parte delle masse che reclamano i loro diritti. Ma gli americani sbagliano quando iniziano col lasciar rovesciare i regimi dei loro alleati. Gli americani sbagliano quando con le loro mani lastricano la strada alla vittoria della Fratellanza Musulmana e dell’Iran.
C’è un solo modo per uscire da questo “comma 22”. Passare dalla difensiva all’offensiva. Barack Obama è pronto ad essere il nuovo George Bush? David Cameron è pronto ad essere il nuovo Tony Blair? Hillary Clinton è pronta ad mettere in atto la piattaforma dei neoconservatori? Buona fortuna, dunque, ma a condizione che non lo si faccia soltanto nel cortile di casa dell’occidente. Che non lo si faccia soltanto in Tunisia, in Egitto, nello Yemen e nel Bahrain. Che lo si faccia insieme a un energico intervento umanitario in Libia. E che lo si faccia anche in Iran.
Si prenda il vento di libertà che spira dalle piazze del Cairo e lo si faccia arrivare alle piazze di Tehran. Si prendano le rivolte di Google, Facebook e Twitter e le si faccia arrivare dagli ayatollah. Si favorisca la caduta di Mahmoud Ahmadinejad come si è favorita quella di Hosni Mubarak. Si contrastino il fascismo religioso sciita e la follia di Muammar Gheddafi con la stessa determinazione con cui si sono contrastate le dittature filo-occidentali. Solo in questo modo si potranno affermare i valori democratici dell’occidente insieme ai suoi interessi strategici. Solo in questo modo si potrà aprire la strada alla libertà senza infiammare il fanatismo e senza scatenare la guerra.
Per tre settimane la gran parte dei mass-media occidentali ci ha detto che la rivoluzione di piazza Tahrir era la rivoluzione senza volto della generazione di Google. Ma il 18 febbraio 2011, quando un milione e passa di egiziani hanno celebrato la loro liberazione nella piazza centrale del Cairo, è saltato fuori che il volto della rivoluzione era quello del fanatico sceicco Yusuf al-Qaradawi. Se le potenze occidentali non si ravvedono in fretta, potrebbero scoprire che il volto del nuovo Medio Oriente è quello di al-Qaradawi, del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, dell’ayatollah Ali Khamenei: il volto di coloro che stanno cercando di trasformare il vento del cambiamento che soffia su tutto il Medio Oriente in un violento uragano di fanatismo.

(Da: Ha’aretz, 24.2.11)

Nella foto in alto: Ari Shavit, autore di questo articolo