Verità, la prima vittima dei conflitti

Ben due premier israeliani, Barak e Olmert, hanno avanzato invano proposte di soluzione che riconoscevano il legame con Gerusalemme sia degli israeliani che dei palestinesi

Di Kenneth Bandler

Kenneth Bandler, autore di questo articolo

Kenneth Bandler, autore di questo articolo

Nel corso degli anni, i negoziatori di pace israeliani e palestinesi hanno sempre considerato Gerusalemme una delle ultime questioni da affrontare perché il complesso mix di politica e religione che essa comporta suscita passioni troppo profonde. E come si vede in questi giorni, tali passioni possono diventare pericolose, con conseguenze letali.

Due primi ministri israeliani, Ehud Barak e Ehud Olmert, hanno avanzato creative proposte di soluzione che riconoscevano il legame con Gerusalemme sia degli israeliani che dei palestinesi. Ma i leader palestinesi hanno disdegnato quelle proposte, che prevedevano forme di condivisione della Città Vecchia e del complesso del Monte del Tempio, respingendo i piani di pace complessivi che avrebbero potuto risolvere il conflitto nel 2000, nel 2001 e nel 2008.

Al contrario i leader palestinesi, sostenuti da paesi arabi e musulmani tra i quali anche l’Egitto e la Giordania, i due paesi arabi che hanno firmato trattati di pace con Israele, hanno costantemente divulgato il mito dei complotti israeliani sul Monte del Tempio, alimentando una narrazione in malafede che rifiuta di prendere atto di qualunque legame ebraico con il luogo più sacro luogo dell’ebraismo, il Muro Occidentale (“del pianto”), e nega persino il fatto che migliaia di anni fa siano esistiti in quel luogo due successivi Templi ebraici.

E’ proprio vero che la verità è la prima vittima dei conflitti.

Dall'alto: La secolare sinagoga di Hurva prima del 1948; la stessa sinagoga durante l’occupazione giordana di Gerusalemme Vecchia (1948-1967); l’arco in memoria della sinagoga, eretto dopo la riunificazione della città nel 1967; la sinagoga quasi completamente ricostruita (luglio 2009).

Dall’alto: La secolare sinagoga di Hurva prima del 1948; la stessa sinagoga durante l’occupazione giordana di Gerusalemme Vecchia (1948-1967); l’arco in memoria della sinagoga, eretto dopo la riunificazione della città nel 1967; la sinagoga quasi completamente ricostruita (luglio 2009).

Su Gerusalemme, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e gli altri leader palestinesi hanno sostanzialmente assassinato la verità, facendone un ennesimo “martire” al servizio della “causa palestinese”. E quel che è peggio, gran parte dei mass-media e molti leader mondiali si rendono complici di questo crimine. Il Segretario di stato americano John Kerry chiede “chiarezza” sullo status del Monte del Tempio, come se ci fosse qualcosa di poco chiaro. La Francia mira a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che mandi osservatori internazionali “a proteggere” il Monte del Tempio. Il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon condanna “gli estremisti” di entrambe le parti, mettendo sullo stesso piano le reazioni difensive israeliane con le aggressioni dei terroristi palestinesi.

I leader mondiali dovrebbero invece parlare in modo chiaro, forte e inequivocabile a sostegno del consolidato impegno di Israele, a parole e coi fatti, a tutela dello status quo sul Monte del Tempio. Dal 1948 al 1967, quando era la Giordania che controllava la Città Vecchia e i Luoghi Santi di Gerusalemme, agli ebrei venne vietato qualunque accesso al Muro Occidentale e le secolari sinagoghe ebraiche sistematicamente distrutte.

Oggi le ripetute riaffermazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a sostegno della politica israeliana di protezione di tutti i siti religiosi, con la garanzia di accesso alle moschee musulmane, vengono soffocate da una marea di ininterrotta e dirompente ostilità.

Una delle poche voci ragionevoli è stata quella della Direttrice generale dell’Unesco, Irina Bokova, che ha avvertito che la pretesa palestinese di dichiarare il Muro Occidentale “parte integrante” della moschea di al-Aqsa, e dunque esclusivamente islamico, poteva essere vista come una alterazione dello status quo e “fomentare ulteriormente le tensioni”. Il riferimento al Muro Occidentale è stato rimosso all’ultimo momento dal testo della risoluzione, ma il Consiglio esecutivo dell’Unesco ha comunque adottato la scorsa settimana un testo che condanna Israele per i presunti “tentativi di infrangere lo status quo” sul Monte del Tempio. Solo sei paesi sui 58 membri del Consiglio – Stati Uniti, Gran Bretagna, Repubblica Ceca, Estonia, Germania e Paesi Bassi – hanno votato “no”. Francia e Italia si sono schierati tra i 25 astenuti, mentre 26 paesi hanno votato a favore del provvedimento, dando così il loro concreto impulso alla implacabile campagna palestinese volta a delegittimare lo stato di Israele.

Abu Mazen ha preso la calcolata decisione di spingere Gerusalemme in primo piano con una combinazione di violenza e di appelli all’intervento delle Nazioni Unite perché faccia pressioni su Israele. Pressioni a che scopo? Israele, dopo tutto, continua a invitare Abu Mazen a tornare ai negoziati di pace bilaterali e diretti che lui diserta sin dall’aprile 2014.

Caratterizzare i giovani palestinesi responsabili dell’ondata di attacchi contro cittadini israeliani come isolati individui che agiscono in maniera indipendente è un’altra sfacciata bugia messa in circolazione dai leader palestinesi, che non si assumono alcuna responsabilità per le violenze che hanno ispirato. Abu Mazen ha aperto il suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso 30 settembre con un invito ad agire per difendere non solo al-Aqsa, ma l’intero Haram al-Sharif, termine arabo per il Monte del Tempio, contro i presunti complotti israeliani. Già prima di andare a New York aveva incoraggiato i manifestanti palestinesi a difendere il sito contro gli ebrei che profanano il Monte del Tempio con i loro “piedi sozzi”. “La retorica incendiaria di Abu Mazen, dei funzionari dell’Autorità Palestinese e dei mass-media palestinesi – ha scritto il reporter arabo-israeliano Khaled Abu Toameh in un articolo per Gatestone Institute – è stata più che sufficiente per spingere qualsiasi palestinese a uccidere gli ebrei per la strada”.

Alle Nazioni Unite, Abu Mazen ha annunciato che l’Autorità Palestinese non avrebbe più rispettato gli accordi firmati con Israele, e ha esortato le Nazioni Unite “a garantire una protezione internazionale per il popolo palestinese”. Tutto, pur di ottenere risultati senza negoziare né firmare una pace definiva con Israele.

La questione di Gerusalemme, come tutte le altre questioni in sospeso, può e deve essere risolta tramite negoziati bilaterali diretti tra Israele e Autorità Palestinese. Ma prima di tutto, per rimettere in pista il processo di pace i dirigenti palestinesi devono smetterla con la loro istigazione e glorificazione della violenza.

(Da: Jerusalem Post, 26.10.15)