Verso la formula “terra senza in cambio la pace”?

La politica di Abu Mazen, assecondata dai parlamenti europei, mira ad affossare la 242 per imporre a Israele un ritiro senza trattative e senza la fine del conflitto

By Yehuda Ben-Meir

Yehuda Ben-Meir, autore di questo articolo

Yehuda Ben-Meir, autore di questo articolo

Nel giugno 1967 Israele conseguì il più grande dei suoi successi militari. Tre mesi più tardi, con l’adozione della risoluzione 242 da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Israele conseguì anche un successo diplomatico di prima grandezza.

Contrariamente al 1956, quando gli era stato ingiunto di ritirarsi da tutti i territori che aveva conquistato nella Campagna del Sinai senza una pace, senza un accordo e senza nemmeno il riconoscimento da parte degli stati arabi, questa volta la comunità internazionale convenne che qualsiasi ritiro di Israele dal territorio catturato nella guerra dei sei giorni sarebbe stato attuato soltanto nel quadro di un accordo che stabilisse “una pace giusta e duratura” tra Israele e i suoi vicini.

La risoluzione 242 si basa sul principio terra in cambio di pace e l’intenzione dei suoi autori era che, nel quadro di un accordo di pace, Israele si sarebbe ritirato dalla gran parte dei territori che aveva conquistato. Certo, benché la risoluzione non facesse riferimento a “tutti” i territori, già nel 1969 il Piano Rogers presentato dal presidente degli Stati Uniti Richard Nixon parlava di modifiche minori e marginali alle linee del 1967, e lo stesso avrebbe poi fatto il piano Reagan del 1982.

Tuttavia, l’affermazione del principio che non vi sarebbe stato nessun ritiro senza una fine concordata del conflitto e un accordo di pace, e che i confini definitivi – “sicuri e riconosciuti” – sarebbero stati stabiliti solo attraverso i negoziati, costituì un successo di un’importanza senza precedenti per Israele.

Nell’incontro di lunedì a Roma il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il segretario di stato usa John Kerry hanno discusso dei tentativi palestinesi di affossare la 242.

Dopo l’incontro di lunedì a Roma con il Segretario di Stato Usa John Kerry, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che Israele si aspetta da Washington che si attenga alla posizione tenuta da 47 anni, da quando cioè la risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza ha stabilito che qualsiasi soluzione al conflitto dovrà emergere da negoziati fra le parti. Netanyahu ha ribadito che Israele non intende accettare diktat imposti dall’esterno contro le sue vitali esigenze di sicurezza.

La richiesta, sempre ribadita da ogni governo israeliano, che non vi sia alcun ritiro dalla Cisgiordania senza un accordo che ponga fine al conflitto sulla base di negoziati diretti tra le parti, venne dunque incorporata nel principio fondamentale che sta alla base della risoluzione 242.

La volontà delle democrazie occidentali, guidate dagli Stati Uniti, di sostenere questo principio con determinazione e coerenza derivava dalla convinzione che Israele vuole la pace, e che la sua popolazione vuole porre fine al conflitto ed è disposta a fare concessioni di vasta portata pure di conseguire la fine del conflitto.

Oggi il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas sta guidando un movimento il cui obiettivo è quello di ribaltare questo principio, sostituendo in effetti la risoluzione 242 con una nuova risoluzione che imponga a Israele una soluzione senza trattative e senza la fine del conflitto.

Purtroppo, questa mossa sta prendendo forza. E’ impossibile ignorare il fatto che, uno dopo l’altro, i parlamenti dell’Europa occidentale stanno adottato a larga maggioranza delle mozioni che chiedono il riconoscimento unilaterale dello “Stato di Palestina”. C’è stato dunque un cambiamento in peggio nell’atmosfera generale, e la posizione diplomatica di Israele subisce una grave erosione.

La ragione principale di ciò è la crescente percezione in tutto il mondo che Israele sia la parte che non vuole la pace. … Se Israele non riuscirà a convincere i suoi amici all’estero che desidera davvero la pace anche a prezzo di concessioni dolorose, e che è e rimane fedele ai valori di libertà, giustizia e uguaglianza che sono condivisi dal mondo democratico, allora rischierà un grave tracollo diplomatico.

(Da: Ha’aretz, 15.12.14)