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Il presidente della National Baptist Convention of America: “Ho imparato a non credere ai mass-media al 100%: è meglio che le persone vengano a vedere di persona”

Editoriale del Jerusalem Post

La delegazione della National Baptist Convention of America in visita questa settimana alla Casa per Bambini di famiglie a rischio "Neveh Michael”, della Fellowship of Christians and Jews, a Neve Pardes Hanna, presso Hadera.

La delegazione della National Baptist Convention of America in visita questa settimana alla Casa per Bambini di famiglie a rischio “Neveh Michael”, della Fellowship of Christians and Jews, a Neve Pardes Hanna, presso Hadera.

La scorsa settimana è giunta in Israele, per una missione d’istruzione, una delegazione di 26 membri selezionati della Missionary Union della National Baptist Convention of America, una chiesa formata prevalentemente da afro-americani. La delegazione è stata organizzata sotto il patrocinio della International Fellowship of Christians and Jews allo scopo di contribuire ad approfondire i rapporti ebraico-cristiani e il legame fra leader neri e Israele.

I pellegrini della National Baptist Convention of America non sono che una piccola parte dei turisti cristiani, che costituiscono più del 50% dei visitatori che ogni anno arrivano in Israele. Nel 2013 hanno ricevuto il visto turistico per Israele più di 3,5 milioni di persone. In America, la sola National Baptist Convention conta circa 3,5 milioni di membri, distribuiti in più di 8.000 chiese: si tratta della terza maggiore denominazione afro-americana negli Stati Uniti dopo la National Baptist Convention USA Inc. e la Church of God in Christ.

“Anche solo trovarsi in Israele, in Terra Santa, e camminare dove Gesù ha camminato, è di incredibile ispirazione” ha detto a JNS.org Barbara Wright, presidente della divisione femminile della National Baptist Convention of America.

La International Fellowship of Christians and Jews opera da 35 anni per costruire ponti tra cristiani ed ebrei. Lo scorso anno ha raccolto 138 milioni di dollari in aiuti umanitari per gli ebrei in Israele e in tutto il mondo, quasi interamente da donatori cristiani.

Turisti dall'India a Gerusalemme

Turisti indiani a Gerusalemme

Alla fine del 2015 la stragrande maggioranza dei turisti in Israele risulta composta da non ebrei. Non si tratta necessariamente di Battisti. L’India, ad esempio, è diventata una fonte importante di visitatori. Il ministro del turismo indiano Subodh Kant Sahai ha dichiarato nel 2012: “Quasi ogni indiano vuole venire a visitare Gerusalemme”. Nel 2015 la Federazione degli agenti di viaggio indiani ha tenuto in Israele la sua conferenza annuale. L’anno scorso circa 40.000 indiani hanno visitato il paese, una cifra che secondo le stime è destinata ad aumentare del 20% all’anno.

Ma certamente i Battisti hanno un feeling speciale per Israele. “Penso che gli afro-americani hanno conosciuto negli Stati Uniti una lotta per la vita come quella di ebrei e palestinesi”, dice il reverendo Samuel C. Tolbert Jr., presidente della National Baptist Convention of America. Il reverendo DeeDee Coleman, di Oak Park (Michigan), è a capo di una congregazione di 1.500 membri ed è stato in Israele almeno una dozzina di volte. “Quando sono andato in Israele per la prima volta, il viaggio ha cambiato la mia vita – dice Coleman – perché ora posso tenere in mano la Bibbia e predicarla in modo molto più chiaro, giacché sono stato nel paese e ho visto con i miei occhi”.

Leader comunitari della National Baptist Convention of America in visita al Muro Occidentale (“del Pianto”) a Gerusalemme

I leader comunitari della National Baptist Convention of America in visita al Muro Occidentale (“del Pianto”) a Gerusalemme

La realtà è il punto focale di questi pellegrinaggi, oltre al loro auspicato impatto spirituale. I partecipanti toccano con mano la realtà concreta di un paese che prima avevano conosciuto solo attraverso i racconti biblici o le distorte notizie dei mass-media. Molti partecipanti riconoscono d’aver tratto dal viaggio una più profonda conoscenza della situazione in Israele anche sul piano politico, e di essere quindi in grado di mettere in discussione le informazioni che ricevono stando a casa. “Ho imparato a non credere al cento per cento ai mass-media americani e al loro punto di vista su ciò che è veramente questa nazione – dice Tolbert – E’ meglio che le persone vengano a vedere di persona, così da conoscere un punto di vista totalmente diverso su Israele”. “Costoro sono quelli che riporteranno nelle loro congregazioni il messaggio da Israele – dice il reverendo Coleman – Ne hanno già parlato su Facebook e su Twitter, ora ne riferiranno di persona in America spiegando alla loro gente quello che hanno visto di reale”.

Vedere l’emozione dei visitatori cristiani in Terra Santa può aiutare gli israeliani a ridare calore al proprio attaccamento per il paese, e in particolare a Gerusalemme, di cui domenica si festeggia l’anniversario della riunificazione (dopo essere restata divisa per due decenni a causa dell’occupazione giordana della parte est). E, come dice il buon reverendo, “il popolo di Israele non si sente così solo quando i cristiani americani vengono a condividere un pezzo della loro vita”.

(Da: Jerusalem Post, 1.6.16)