Vittoria di Pirro di Abu Mazen su Hamas

Hamas sembra piegarsi alle sanzioni di Ramallah, ma intanto riallaccia i legami con l’Iran: i jihadisti di Gaza hanno una strategia a lungo termine?

Di Alex Benjamin

Alex Benjamin, autore di questo articolo

“Mio padre mi ha insegnato molte cose, qui, in questa stanza. Mi ha insegnato: gli amici tienteli stretti… ma i nemici, anche più stretti”. Così Michael Corleone in Il padrino – Parte seconda (1974).

Dopo settimane di colloqui capeggiati dall’Egitto su disposizione dei paesi della Lega Araba e ben poche fumate bianche da mostrare loro, noi dell’EIPA (Europe Israel Public Affairs) siamo rimasti sorpresi come tutti alla notizia di lunedì. Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, ha dichiarato che l’organizzazione è pronta a parlare di riconciliazione con il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) senza porre precondizioni, e che sarebbe stato “sciolto” il Comitato di Dirigenza sulla striscia di Gaza, una richiesta chiave di Abu Mazen. Un fulmine a ciel sereno. Almeno fino a lunedì, solo per accettare di sedersi a discutere di un accordo di riconciliazione Hamas esigeva che Abu Mazen annullasse innanzitutto la serie di sanzioni che ha adottato contro la striscia di Gaza. E Hamas, com’è noto, non è avvezza a retrocedere sulle sue pretese.

Quali sanzioni? Beh, bisogna ricordare che Abu Mazen all’inizio di maggio ha drasticamente tagliato in modo unilaterale le forniture di elettricità a Gaza (garantite attraverso Israele) e per buona misura ha ridotto gli stipendi di decine di migliaia di “dipendenti pubblici” di Hamas. La manovra costituiva un tentativo neanche tanto sottile di forzare la dissoluzione del Comitato che Hamas usa per governare il territorio in aperta sfida al governo di Abu Mazen. Una tattica brutale che sembra aver funzionato, almeno sulla carta.

Abu Mazen: “Sono lieto di annunciare che i negoziati sono fruttuosi e possiamo raggiungere un accordo in qualunque momento” – “Con Israele?” – “No, con Hamas”

L’estate, la stagione tradizionalmente preferita da Hamas per cercare di seminare cruentemente il panico in Israele con i lanci di razzi e le incursioni attraverso i tunnel terroristici, è invece trascorsa come una delle più tranquille da molti anni a questa parte. Naturalmente questa “calma” non ha impedito a Hamas di continuare a diffondere le sue grottesche dichiarazioni che glorificano ogni attentato all’arma bianca ed esortano a violente vendette per una crisi interamente inventata e montata a tavolino circa i presunti piani israeliani di impadronirsi delle moschee sul Monte del Tempio a Gerusalemme.

E tuttavia, quest’ultima mossa appare senza precedenti e sembra consegnare ad Abu Mazen una preziosa vittoria sui suoi rivali. Ma è davvero così?

Breve riepilogo dei fatti. Le due fazioni palestinesi rivali sono entrate in collisione nel 2007 quando Hamas ha violentemente cacciato da Gaza le forze leali ad Abu Mazen. Fu uno scontro sanguinoso e immorale, con rappresaglie e contro rappresaglie di orrenda violenza culminate nell’uccisione di capi di Fatah a Gaza gettati dai tetti delle case. In perfetto stile mafioso. Da allora, i ripetuti tentativi da parte di molti soggetti terzi di riconciliare le due parti sono tutti falliti.

Ecco perché noi dell’EIPA rimaniamo molto diffidenti. Può darsi che Abu Mazen abbia studiato attentamente il manuale della famiglia Corleone per i suoi rapporti con Hamas, e che la sua iniziativa abbia riportato qualche successo. Ma noi pensiamo che potrebbe invece trattarsi di una mossa strategica da parte di Hamas. La faida tra le due famiglie è troppo profonda.

Yahya Sanwar, durante un comizio a Khan Younis (striscia di Gaza meridionale)

Vale la pena di notare l’elemento chiave di tutto questo: nello stesso momento in cui parla di negoziati per la riconciliazione, la dirigenza di Hamas tiene un occhio fisso a nord dove vede i benefici che riceve Hezbollah in denaro sonante, e si muove sotto ai radar (tranne quelli dei servizi israeliani, per fortuna) verso un significativo ravvicinamento all’Iran. Seppellire temporaneamente l’ascia di guerra con l’Autorità Palestinese le dà lo spazio, per non dire i mezzi, per continuare su questa strada.

Altro breve riepilogo dei fatti. Torniamo a febbraio quando Hamas, con la nomina del suo nuovo ufficio politico, che è il suo organismo dirigente, si è data nuovi capi. La fulminea ascesa del terrorista Yahya Sinwar alla posizione di capo di Hamas a Gaza, e l’elezione di alcuni membri dell’asse filo-Iran come Saleh al-Arouri, hanno segnalato l’inizio di un disgelo nei rapporti fra Hamas e Teheran. Sinwar è anche una delle persone più vicine a Mohammed Deif, capo dell’ala militare di Hamas, il cui interesse dichiarato è quello di assicurarsi l’aiuto iraniano e di imitare Hezbollah per entrare nelle scellerate grazie dell’Iran.

Su come andrà a finire tutto questo si possono fare solo congetture, ma possiamo dire che la dinamica politica e militante palestinese è sicuramente in movimento verso sviluppi potenzialmente ancora più pericolosi. Quindi la dirigenza dell’Autorità Palestinese a Ramallah, oltre a congratularsi con se stessa, dovrebbe fare attenzione a non peccare di superbia. Quelli di Hamas non solo sono abili a fare il gioco lungo, ma a differenza dell’Autorità Palestinese sembrano anche avere una strategia a lungo termine.

Dietro a tutto questo alligna l’Iran. A quanto pare, il regime di Teheran allunga uno dei suoi molti ammorbanti tentacoli e alza la posta in gioco in uno scacchiere mediorientale pericoloso e febbricitante, e cioè quella polveriera che è la striscia di Gaza. C’è abbastanza materia di riflessione per qualunque pezzo grosso dell’Unione Europea che fosse tentato di precipitarsi a celebrare quest’ultima mossa di Hamas.

(Da: Times of Israel, 12.9.17)