Votare contro Israele o contro il terrorismo

Quali sarebbero le conseguenze di un’altra risoluzione sbilanciata che individua Israele come unica parte da biasimare e condannare?

Editoriale del Jerusalem Post

L’autobus colpito nell’attentato di lunedì scorso a Gerusalemme (20 feriti)

Vi sono attualmente almeno due proposte di risoluzione ostili a Israele che potrebbero essere sottoposte al voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, forse già venerdì prossimo quando il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) sarà a New York per la cerimonia della firma dell’accordo sul clima raggiunto a Parigi lo scorso dicembre. E questa volta c’è la reale preoccupazione, a Gerusalemme, che gli Stati Uniti possano non fare ricorso al potere di veto per bloccare le risoluzioni.

Secondo la proposta di risoluzione palestinese, il Consiglio di Sicurezza dovrebbe dichiararsi contrario a ogni attività edilizia ebraica in Cisgiordania. Secondo la proposta avanzata da Parigi, il Consiglio di Sicurezza dovrebbe imporre a Israele i parametri di una soluzione a due stati. Entrambe le proposte di risoluzione sono controproducenti per la pace, giacché gettano su Israele tutta la colpa del perpetuarsi del conflitto ignorando le intransigenze e le aggressioni palestinesi, e minano il principio basilare secondo cui israeliani e palestinesi possono sperare di risolvere le loro divergenze solo attraverso il dialogo aperto e le trattative, e non attraverso azioni unilaterali imposte da soggetti esterni.

Anche se le risoluzioni proposte non farebbero nulla per promuovere la pace ed anzi servirebbero solo a rafforzare l’intransigenza palestinese e a incoraggiare il terrorismo palestinese, vi è un crescente timore che gli Stati Uniti possano permettere l’approvazione di una o di entrambe, il giorno in cui venissero messe ai voti. Dal 2014 la composizione del Consiglio di sicurezza è cambiata in senso sfavorevole a Israele, per cui gli Stati Uniti restano l’unico membro che potrebbe bloccare queste risoluzioni. Ma per far questo il presidente Barack Obama dovrebbe prendere una chiara posizione, mentre vi sono segnali che fanno pensare che sia riluttante a farlo. In un discorso lunedì a Washington davanti al gruppo “pacifista” ebraico “J Street”, il vicepresidente americano Joe Biden ha sostenuto che gli Stati Uniti hanno il dovere di spingere Israele verso la soluzione a due stati per porre fine al conflitto (come se Israele fosse l’unico ostacolo; come se un accordo si possa imporre dall’esterno).

Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e, sotto, il capo di Hamas Khaled Mashal. Alle loro spalle, la consueta mappa delle rivendicazioni territoriali palestinesi: Israele è cancellato dalla carta geografica

Se Obama dovesse consentire il passaggio delle risoluzioni, non devierebbe dalle politiche di precedenti presidenti degli Stati Uniti. Dal 1967 a oggi un presidente americano su due ha permesso o addirittura votato a favore di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che rimproverano Israele per le attività edilizie ebraiche in Giudea, Samaria e striscia di Gaza o per il modo in cui Israele combatte il terrorismo palestinese. Tuttavia c’è da chiedersi se i membri dell’amministrazione Obama abbiano preso seriamente in considerazione le conseguenze negative che comporterebbe un’altra risoluzione sbilanciata che individua Israele come unica parte da biasimare e condannare. Essa non farebbe che rafforzare ulteriormente l’intransigenza palestinese: se la pressione internazionale può essere mobilitata contro Israele, perché mai i palestinesi dovrebbero accettare di sedersi al tavolo dei negoziati dove verrà chiesto loro di accettare concessioni e compromessi? Infatti si rifiutano di farlo.

L’eventuale approvazione di risoluzioni che ignorano totalmente l’ondata di terrorismo palestinese – sei mesi di “intifada dei coltelli” culminata nell’attentato esplosivo di lunedì su un autobus  di Gerusalemme e nella scoperta di un nuovo tunnel per infiltrazioni terroristiche fatto da Hamas col cemento destinato a usi civili – non farebbe che incoraggiare ulteriormente l’opzione per il terrorismo. Quelle risoluzioni, infatti, sottintendono che il terrorismo palestinese è giustificato dalle posizioni di Israele e fanno intendere ai palestinesi che possono star certi che non pagheranno alcun prezzo da parte della comunità internazionale per il loro persistente ricorso alla violenza.

Gli Stati Uniti dovrebbero invece insistere affinché il Consiglio di Sicurezza adotti una risoluzione critica verso i comportamenti palestinesi che minano la pace: la situazione di cronica corruzione e violazione dei diritti umani nell’Autorità Palestinese; l’ampio sostegno fra i palestinesi per Hamas, un’organizzazione terroristica apertamente antisemita che rifiuta il diritto ad esistere di Israele; l’insanabile spaccatura della dirigenza palestinese fra Cisgiordania e Gaza; l’incessante istigazione all’odio e la glorificazione dei terroristi sponsorizzate dalla stessa Autorità Palestinese; i continui rifiuti delle più avanzate offerte di compromesso negoziale.

Certo, non è facile prendere una posizione controcorrente nelle sedi internazionali. Obama può sempre giustificare il non ricorso al veto sostenendo di fare quello che crede sia meglio per Israele. Ma ignorare il terrorismo e l’intransigenza palestinese non farà che incoraggiare altro terrorismo e altra intransigenza, allontanando più che mai la pace. Ed è difficile pensare che questo sia quanto di meglio per Israele e per i palestinesi.

(Da: Jerusalem Post, 20.4.16)