Wieseltier

Dinanzi a un sole-mango ferito nel tramonto. Una raccolta di poesie di Meir Wieseltier in traduzione italiana

Dinanzi a un sole-mango ferito nel tramonto.

image_368Dinanzi a un sole-mango ferito nel tramonto.
Una raccolta di poesie di Meir Wieseltier in traduzione italiana.
A proposito di: Meir Wieseltier, Lontano dall’alzabandiera, pref. di Enrico Testa, trad. di Ariel Rathaus, testo a fronte ebraico, Edizioni San Marco dei Giustiniani, Genova 2003, pp. 141, 15 €.

«Questo mondo è pieno di tumuli
e di resti di palazzi sepolti. Di piccole
finestre delicate piene di terra. Non sono i sogni
a tradirci, prima ancora
siamo noi a tradire loro, a svegliarci
travestiti da pratici mostri, ricchi di senno.»
[Da Lettere, in Lontano dall’alzabandiera, p. 69]

Nel 2003 la Casa Editrice San Marco dei Giustiniani, di Genova, ha stampato una raccolta delle poesie dello scrittore israeliano Meir Wieseltier. È un libro che è passato ingiustamente inosservato, ma che meriterebbe invece attenzione. In questo volume curatissimo nella veste grafica, le traduzioni di Ariel Rathaus sono poste a fronte del testo originale ebraico, realizzando in questo modo il sogno di tanti lettori: lasciare aperta la possibilità di leggere una traduzione di ottimo livello, ma anche di perdersi tra i segni delle lettere ebraiche, e forse anche dei suoni e dei ritmi di questa lingua così diversa dall’italiano. Lontano dall’alzabandiera è stato pubblicato all’interno di una collana, Il mare che unisce, che ha un catalogo molto interessante: pubblica infatti anche altri autori ebrei, come Edmond Jabès e Rose Ausländer, accanto ad altri poeti del Mediterraneo, compreso il grande poeta arabo Mahmud Darwish (per chi lo desideri, si può consultare il sito www.sanmarcodeigiustiniani.it).
Meir Wieseltier è uno dei poeti più importanti della generazione che ha seguito quella di Yehuda Amichai. È nato a Mosca nel 1941 e dopo un’infanzia in Siberia e in Europa, si è stabilito con la famiglia in Israele. Ha ricevuto il Premio Bialik nel 1995 e il Premio di Israele nel 2000. Alcune sue poesie sono state musicate dal cantautore Shlomo Gronikh.
Per chi è abituato a leggere poesia, la sua opera è come un pugno nello stomaco. La poesia è in lui un dialogo con la realtà e con il lettore: in un mondo dominato dalle ideologie essa può essere menzognera, come la lingua stessa, va messa quindi alla prova, materialmente, fisicamente, con tutta la forza possibile. Si veda la poesia, senza titolo, a p. 21: «Prendi questi versi, e non leggere / usa a questo libro violenza: / sputaci sopra, schiaccialo / pizzicalo, prendilo a calci. // Getta in mare questo libro / per vedere se sa nuotare. / Mettilo sulla fiamma del gas / per vedere se regge il fuoco. / Inchiodalo, segalo / per vedere se fa resistenza. // Questo libro è un cencio di carta / ha lettere come mosche, e tu / cencio di carne, che mangi polvere e grondi sangue, / lo guardi gli occhi vuoti in dormiveglia.» Non è un caso che il ritornello della poesia Ballata sia «ho ucciso una mosca con le poesie di Cummings». Essendo le lettere ebraiche simile a mosche, esse possono trasformarsi nell’oggetto più quotidiano, come uno straccio, un «cencio», qualcosa che può essere strizzato, oppure usato per schiacciare le stesse mosche. Sicuramente il libro non è niente di sacro, e il poeta non è un profeta. Il poeta sembra piuttosto “carne e sangue”, un uomo visceralmente e profondamente furente di rabbia. È forse seguendo questo filo che questa raccolta comprende poesie violentemente politiche, segnate da un’ira che si trasforma in ironia dissacratoria. Si veda la bellissima poesia Sigillato in una bottiglia, che si apre con una iscrizione: «Leggendo “Fiume di farfalla” / Antologia della giovane / poesia siriana e libanese / a cura di Sasson Somekh» e prosegue: «Questa sponda orientale del Mediterraneo / è ardua per i poeti / ardua per la parola misurata. / Siamo popoli miserevoli, bramosi delle nostre giuste ragioni. / I nostri slogan giocano la sera nella brezza marina, / Le nostre armi sono già pronte. // I nostri politici si affrettano a dirci / culla della Civiltà. Gerusalemme, Tiro, Sidone, / Damasco culla. Siamo ricchi di profeti. / Siamo la lenta retroguardia di una lunga carovana storica. / Che sono queste bende sudice ai nostri polsi? / Perché abbiamo labbra screpolate, e come infatti sputiamo? / (Fratello Shawki Abi-Shakra, fratello Muhammad Al-Marut, / non dire culla ma veleno, / Damasco, Tel Aviv, Beirut, il nostro fresco veleno) // Questa sponda orientale del Mediterraneo fa soffiare / una lieve brezza la sera. Da Latakia ad Ashdod / questo bacino orientale del Mediterraneo si riempie / di querula estate e di cocomeri. / Poi è notte, come il panno nero di vecchie macchine fotografiche. / (Tutto nobile e vecchio, su questa riva leggendaria; / gioite o pensionati / americani o tedeschi – / qui troverà ciò che cerca ogni amante d’esotismo / ben digeribile, senza impegni, a condizioni / relativamente vantaggiose). // È ora della musica notturna, col suo onanistico sogno collettivo. / O altrimenti detto: una torta di crema densa e pessimo marzapane, a tre strati / per il cinquemilasettecentesimo trentesimo quarto / compleanno del mondo.» (pp. 40-43).
Questo esempio può forse bastare a far comprendere quanto Wieseltier sia uno scrittore anti-romantico per definizione, anti-ideologico, demistificatore, e quanto la sua poesia coinvolga il lettore con argomenti concreti, con parole chiare e dure, bloccando la strada a sogni e fughe dalla realtà, a facili manipolazioni. Questo è per lui il fine della poesia, una volta che essa abbia lottato e vinto contro la tentazione alla menzogna: risvegliare il lettore, infondergli nuova vitalità, un rinnovato interesse per il mondo. Nella sua lingua semplice, quotidiana, nel ritmo scorrevole dei suoi versi, il poeta incanala la sua rabbia e giunge ad un risultato di grande forza espressiva, di grande impegno morale.

Prendi questi versi
Prendi questi versi, e non leggere
usa a questo libro violenza:
sputaci sopra, schiaccialo
pizzicalo, prendilo a calci.

Getta in mare questo libro
per vedere se sa nuotare.
Mettilo sulla fiamma del gas
per vedere se regge il fuoco.
Inchiodalo, segalo
per vedere se fa resistenza.

Questo libro è un cencio di carta
ha lettere come mosche, e tu
cencio di carne, che mangi polvere e grondi sangue,
lo guardi gli occhi vuoti in dormiveglia.

Concetti, 1. La vista è il senso più protetto
La vista è il senso più protetto
contro il sensibile. Non come il fragile orecchio,
o le narici, o il palato. Il chiasso assorda
le orecchie, il puzzo dà il capogiro, la vampa ustiona il palato.
Ma l’occhio non si squarcia alla vista del corpo massacrato. Sorvola
sull’orrore come una mano
che accarezza un gatto
distrattamente.

[Da Meir Wieseltier, Lontano dall’alzabandiera, pref. di Enrico Testa, trad. di Ariel Rathaus, testo a fronte ebraico, Edizioni San Marco dei Giustiniani, Genova 2003, pp. 141, 15 €, pp. 21 e 79, su gentile concessione delle Edizioni San Marco dei Giustiniani di Genova
e-mail: info@sanmarcodeigiustiniani.it
www.sanmarcodeigiustiniani.it]