Yehuda Amichai

In Memoriam

image_148Yehuda Amichai, in memoriam
Ariel Rathaus

Si e’ spento a Gerusalemme il 22 settembre scorso Yehuda Amichai, considerato uno dei maggiori poeti israeliani della seconda meta’ del Novecento e, a detta di molti, il piu’ rappresentativo e il piu’ profondamente radicato nella realta’ israeliana, anche se la sua poesia, come ogni altra grande manifestazione letteraria, sa aprirsi ad accenti universali che valicano certamente i confini di una cultura settoriale o nazionale.
Amichai, morto all’eta’ di settantasei anni, era nato a Wuerzburg (Germania) nel 1924.
Emigrato in giovanissima eta’, a seguito delle persecuzioni hitleriane, nella Palestina del Mandato britannico, si stabili’ con la famiglia a Gerusalemme e ricevette un’educazione ebraica ortodossa, consona con le convinzioni religiose dei genitori.
Durante la seconda guerra mondiale si arruolo’ nell’esercito inglese, e nella guerra d’Indipendenza d’Israele (1948-49) combatte’ nelle file del Palmach (gruppi d’assalto), nella zona di Ashdod.
Dell’esperienza bellica resteranno poi dolorose e umanissime tracce nella sua poesia, e anzi si puo’ dire che la capacita’ di Amichai di rielaborare in un linguaggio poetico diretto e anti-retorico il dramma della guerra, da sempre al centro della coscienza collettiva israeliana, gli abbia consentito di imporsi a cerchie sempre piu’ vaste di lettori.
Altra indubbia ragione della popolarita’ di Amichai e’ nei registri quotidiani e a volte colloquiali a cui ricorre, e piu’ in generale nella terrena concretezza della sua poesia.
Quando inizio’ a pubblicare versi (negli anni Quaranta, ma il primo libro, “Achshav u-veyamim acherim” [“Ora e in altri giorni”] e’ del 1955), la poesia israeliana era ancora saldamente ancorata a un linguaggio di stampo prettamente letterario, poco sensibile alla realta’ linguistica dell’ebraico contemporaneo del nuovo Stato d’Israele.
Amichai, con altri giovani poeti di allora (fra cui spiccava soprattutto Natan Zach), ha contribuito in maniera decisiva a cio’ che e’ stata acutamente definita la “democratizzazione” della poesia ebraica, vale a dire l’adozione di una gamma espressiva piu’ variegata, in cui lingua e immagini della vita d’ogni giorno svolgono un ruolo di primaria importanza.
Ma questa apertura al contemporaneo non ha comportato, in lui, un taglio netto con le fonti tradizionali della cultura e della lingua ebraica: allusioni bibliche, linguistiche o tematiche sono state in tutto l’arco della sua attivita’ materia fondamentale del suo poetare, cosi’ come situazioni e immagini della vita ebraica tradizionale hanno sempre proficuamente arricchito la sua ispirazione.
Anche in tale sintesi, spesso ironica, di israelianita’ e di ebraicita’, di cultura laica e memoria religiosa, e’ da ricercare il segreto della sua popolarita’.
Quest’ebreo di famiglia tradizionale, che ha abbandonato in gioventu’ la pratica religiosa e si e’ fatto interprete dello spirito innovativo dei pionieri laici, e’ anche stranamente rimasto fedele al Dio della sua infanzia: fedelta’ certamente vissuta conflittualmente, come perenne “lotta con l’angelo”, come desiderio di negazione intriso di un senso di struggente nostalgia del divino, ma non per questo meno reale e sincera.
In cio’ il poeta ha espresso mirabilmente una dicotomia e una dialettica della coscienza ebraica che lo pongono al centro dell’odierna cultura israeliana, puro e distante dalle meschine diatribe fra religiosi e laici, al di la’ delle fazioni, delle beghe ideologiche e partitiche che troppo spesso si sostituiscono al vero dibattito culturale sull’ebraismo in Israele.
Questa leggibilita’, questa disponibilita’ a parlare a laici e religiosi, in un linguaggio non ermetico che fa presa sui problemi generali piu’ scottanti della realta’ israeliana (senza mai rinunciare a quello che la poesia ha di piu’ prezioso: la testimonianza di un destino individuale, irripetibile), ha contribuito a consolidare negli anni la fama letteraria del poeta, in Israele e all’estero (diverse volte si e’ parlato di una sua candidatura al Nobel).
Fra le tappe piu’ notevoli di questo processo possiamo ricordare la pubblicazione di due ampie e fortunate raccolte: “Shirim 1948-1962″ [“Poesie 1948-1962″] (1963), e “Achshav ba-raash” [“Adesso nel rumore”] (1968).
E, nel 1981, l’assegnazione del piu’ prestigioso premio letterario israeliano, il “Pras Israel” [“Israel Prize”].
L’ultima raccolta pubblicata, che segna un intensificarsi del problematico dialogo (o diverbio) del poeta con Dio, e’ “Patuach, sagur, patuach” (“Aperto, chiuso, aperto”) del 1998.
Amichai ha sempre rifiutato lo scomodo e pomposo titolo di “poeta nazionale” che molti hanno cercato di conferirgli, rivendicando viceversa le ragioni piu’ intime e personali della sua poesia (che e’ in gran parte poesia d’amore, in cui talora echeggiano toni d’acceso erotismo).
Tuttavia in qualche modo questa consacrazione appare confermata dall’interesse del vasto ed eterogeneo pubblico di lettori che il poeta, come si e’ gia’ accennato, ha saputo conquistarsi, pubblico che nella sua poesia individua una voce capace di dar forma ai sogni, alle speranze e alle disillusioni dell’intera societa’ israeliana.
Di quest’interesse e’ testimonianza la folla accorsa a rendere l’estremo omaggio alla salma del poeta, esposta nella piazza del Municipio di Gerusalemme: una folla di giovani e anziani, accademici e gente comune, laici e religiosi, molti dei quali leggevano in silenzio, prima di separarsi da Amichai, i versi delle sue poesie che per decenni hanno espresso con ineguagliata pregnanza l’anima d’Israele.