Crudeltà incredibile

Le nazioni arabe si frantumano per etnie, tribù, confessioni. E si uccide con insostenibile leggerezza.

Di Boaz Bismuth

image_3742Sembra che il presidente siriano Bashar al-Assad stia riuscendo a sopravvivere all’escalation della guerra civile che imperversa nel suo paese, e che sia persino riuscito ad avere la meglio a Damasco e ad Aleppo. Ma il presidente siriano ha già capito che, se anche riuscirà a preservare il suo regime, dovrà accontentarsi di un paese diviso, con interi territori al di fuori del suo controllo.
La Siria è già un paese diviso. Più di 80.000 persone sono state uccise da quando, nel marzo 2011, è scoppiato il sanguinoso conflitto, e più di un milione e mezzo di persone hanno abbandonato le loro case frammentando di fatto la Siria, naturalmente in modo non ufficiale, fra curdi, drusi, sunniti, cristiani e alawiti.
Il fenomeno della cantonizzazione sembra diffondersi a macchia d’olio nel mondo arabo: Libano, Iraq, Yemen, e anche la vicina Giordania non ne è immune. Questa disgregazione del mondo arabo, sia essa geografica, etnica, culturale o religiosa, non è l’unica cosa che sta emergendo con chiara evidenza da quando sono scoppiati i disordini arabi. La “primavera araba” avrebbe dovuto essere la prova che ciò che è un bene per l’Occidente – la democrazia – lo è anche nel mondo arabo, e invece tutto quello che ci rimane sono le immagini agghiaccianti della incredibile crudeltà di questi nostri vicini.
La Siria si è rivelata il peggiore di tutti. Il dominio del Baath istituito da Hafez al-Assad doveva promuovere in teoria una repubblica che facesse svanire le differenze settarie a favore di un’unica “madre Siria”. Ma non è accaduto. Il senso di lealtà e di appartenenza, in Siria, non è legato alla bandiera nazionale: il che aiuta a spiegare l’insostenibile leggerezza con cui si uccide, da entrambe le parti. Le notizie dell’uso di armi chimiche contro i civili da parte di Assad e dei massacri di forze ribelli, così come degli scempi altrettanto spietati ad opera dei ribelli, sbalordiscono l’Occidente. Ma il mondo arabo non sembra scosso più di tanto. Come mai?
Scrive Basil Hussein, che vive in Iraq, nel suo libro “Una nazione di odio e sangue”: “E’ difficile negare il fatto che il livello di odio nelle società arabe sta crescendo. Ed esiste una vera industria che ha trasformato l’odio in un’arte. Sono rimasto impressionato, e probabilmente molte persone intelligenti sono rimaste scioccate come me, per il livello di animosità, odio e rancore che esiste nell’arena politica, religiosa e culturale, ad ogni livello, tanto che la moderazione è diventata una colpa, la voce della saggezza è diventata tradimento, l’odio esasperato è diventato una cosa buona e una cosa desiderabile scambiarselo a vicenda. Davvero siamo diventati una nazione di sangue – spiega Basil Hussein – Questo è sunnita e quello è sciita, questo è curdo e quello è arabo, questo è musulmano e quello è cristiano, questo è druso e quello è berbero, questo è copto e quello e nubiano, questo ha una regolare cittadinanza e quello no, questo vive in città e quello è beduino, questo è infedele e quello qualcos’altro, questo è bianco e quello è nero… ma ciò che conta è ‘uccidere, uccidere’ perché spargendo sangue si entra in paradiso”.
È ben difficile parlare di un sentimento di unità nel mondo arabo. La bandiera rappresenterà pure qualcosa nelle partire di calcio, ma al di là di istruzione ed economia, i leader arabi non sono riusciti a creare un quadro legittimo di governo, il che ha indirettamente contribuito alla barbarie cui assistiamo oggi.
Tarek Heggy, un intellettuale liberal egiziano, ha scritto un saggio molto duro dal titolo “Mentalità araba” in cui si scaglia contro “le carenze della mentalità araba” che, dice, derivano da tre fattori principali: “Il clima repressivo che prevale in tutte le società arabe, un sistema educativo arretrato rimasto molto indietro rispetto ai sistemi educativi moderni, e un apparato di mass-media gestito da coloro che sono responsabili del clima politico repressivo e al servizio dei loro interessi”. Secondo Tarek Heggy, la società araba è afflitta da limitata tolleranza per l’altro, limitata tolleranza per la critica e una virtuale assenza di auto-critica; nonché dal mancato apprezzamento del valore del legame che tiene assieme gli esseri umani, che è la loro comune umanità. Per la maggior parte delle persone di questa regione, i soli legami che contano sono etnici, tribali, confessionali, nonostante l’umanità sia il più celebrato denominatore comune di tutti quanti”.
Non è chiaro, continua Heggy, quale sia il senso di un’identità nazionale nel mondo arabo: in altre parole, sono costretti a condividere la terra con coloro che essi percepiscono come “diversi”, e l’assenza di tolleranza rende impossibile parlare di un qualunque sentimento condiviso. In mancanza di sentimento, in mancanza di un denominatore comune, tutto ciò che resta è il sangue, un bagno di sangue.

(Da: Israel HaYom, 19.5.13)