Drôle de guerre con i jihadisti?

Il mondo libero fatica a capire che si trova nel mezzo di uno scontro con le varie forme di islamismo, sebbene rivali fra loro

Di Zalman Shoval

Zalman Shoval, autore di questo articolo

Zalman Shoval, autore di questo articolo

Anche se non la si può chiamare “virtuale”, resta ancora difficile non notare gli aspetti ingannevoli della guerra contro il gruppo “Stato Islamico” (ISIS). La Turchia, per esempio, ha improvvisamente deciso di colpire i curdi – gli unici alleati efficaci degli Stati Uniti nella lotta contro l’ISIS – in quello che appare più che altro come una evidente manovra politica del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Il quale, dopo l’umiliante sconfitta alle elezioni dello scorso giugno, ha deciso di utilizzare l’ondata di nazionalismo turco-islamico diretta alla minoranza curda, il cui partito politica ha conseguito il successo elettorale che ha impedito al partito di Erdogan di trionfare, e ha messo in piedi un’azione militare. Per quanto lo riguarda, Erdogan vede la guerra contro lo “Stato Islamico” come uno sforzo limitato, niente più che uno strumento politico smussato.

Washington non può essere accusata di tenersi da parte nella campagna contro il gruppo terrorista jihadista. Tuttavia, benché la sua assistenza aerea ai curdi sia relativamente efficace, il suo coinvolgimento militare complessivo nella campagna è stato sinora inibito dalla riluttanza dell’amministrazione Obama a mettere “gli scarponi sul terreno”, nonché dalla complessa e controversa situazione politica creatasi a seguito dell’accordo nucleare con l’Iran, che comporta tutta una serie di implicazioni geopolitiche e strategiche sulla regione.

Questa foto, secondo fonti anti-ISIS irachene, ritrae donne vendute come schiavi sessuali a Mosul

Questa foto, secondo fonti anti-ISIS irachene, ritrae donne in vendita come schiave sessuali a Mosul

Il dibattito oggi a Washington è su quale dei gruppi terroristi sunniti – lo Stato Islamico o al-Qaeda – rappresenti la minaccia maggiore per gli Stati Uniti. Ma i ritrovati rapporti con l’Iran sembrano rendere più facile a Washington sminuire il ruolo di Teheran nella regione e nel terrorismo globale. In efftti, è sempre più difficile tacere l’impressione che l’accento posto sulla minaccia rappresentata dall’ISIS serva anche a giustificare lo sforzo degli Stati Uniti volto a promuovere legami più stretti con l’Iran, così come ogni potenziale collaborazione strategica e tattica con la Repubblica Islamica.

Washington, come la maggior parte dei paesi europei, si rifiuta di riconoscere il fatto che, nonostante le differenze e le rivalità tra le fazioni islamiste, siano esse sunnite o sciite a guida iraniana, il mondo libero si trova nel bel mezzo di uno scontro a lungo termine con tutte le varie forme di jihadismo islamista.

Combattenti curde anti-ISIS

Combattenti curde anti-ISIS

Il disgelo nei rapporti tra Washington e Teheran potrà fare ben poco per combattere il terrorismo globale e lo Stato Islamico. Gli elementi sunniti moderati della regione, che sono i tradizionali alleati degli Stati Uniti, sono furiosi per il riaccendersi di questo idillio, e potrebbero persino sabotare gli sforzi per arginare il terrorismo nel resto del mondo.

Come ha acutamente osservato David Brooks la scorsa settimana sul New York Times, “l’Iran è un regime fanatico, egemonico e pieno di odio. Chi pensa che il suo estremismo verrà attenuato da un paio di opportunità commerciali internazionali, davvero non ha memorizzato nulla degli ultimi quattro decenni di storia del Medio Oriente “.

(Da: Israel HaYom, 31.8.15)