I guasti dell’etnocentrismo benevolo

Mai illudersi che le società non-democratiche siano pronte ad adottare i valori del mondo libero.

Di Yoram Ettinger

image_3674Alla vigilia della visita del presidente Barack Obama in Medio Oriente vale la pena esaminare i danni che sono stati causati ai vitali interessi economici e di sicurezza degli Stati Uniti da quello che potremmo chiamare “etnocentrismo benevolo”.
La tormentata storia delle relazioni internazionali ha più e più volte dimostrato che i leader del Mondo Libero – che rappresentano un minoranza sul piano mondiale – non dovrebbero mai illudersi che basti offrire adeguati incentivi economici e diplomatici perché la maggior parte delle società non-democratiche abbandonino la loro secolare scala di valori optando per il dialogo invece dello scontro, per la pace invece della guerra, per la tolleranza invece del fanatismo, per la libertà invece dell’oppressione. I leader del Mondo Libero non dovrebbero dare per scontato che basilari valori democratici come la sacralità della vita umana, la libertà dell’individuo, il diritto di perseguire la propria felicità, la coesistenza pacifica e la convinzione che gli esseri umani sono creati tutti eguali, possano essere automaticamente adottati dalla maggior parte delle culture non-democratiche. La maggior parte delle società non-democratiche considera questi valori delle minacce mortali.
Ad esempio, nel 1967 il primo ministro britannico Harold Wilson decise di introdurre l’autodeterminazione ad Aden (Yemen del Sud): una decisione dettata in parte dalla politica degli Stati Uniti, che volevano espellere la Gran Bretagna dall’Arabia e dal Golfo, e in parte dalla sommossa anti-britannica nello Yemen meridionale. Tuttavia, anziché promuovere l’autodeterminazione, la politica britannica e americana finì per trasformare lo Yemen del Sud e del Nord in una grande piattaforma del terrorismo islamico e internazionale, destabilizzando ulteriormente la penisola Arabica e compromettendo democrazia e vitali interessi britannici e americani.
Nel 1978 il presidente americano Jimmy Carter fece pressione sullo Scià di Persia perché accelerasse l’ampliamento delle libertà civili e tollerasse le attività dell’ayatollah Khomeini e di altri elementi anti-Scià. Carter mise al corrente i militari iraniani del suo disprezzo per lo Scià, che era il più importante e fedele alleato degli Stati Uniti nel Golfo Persico, innescando uno spostamento pro-Khomeini dei generali iraniani e finendo col trasformare l’Iran in uno dei più convinti nemici dell’America nel mondo.
Nel 1989-90 la disgregazione dell’Unione Sovietica fu male interpretata dal presidente George H.W. Bush (padre) e dal segretario di stato James Baker come l’avvento di un “nuovo ordine mondiale” in competizione per la democrazia e la generazione di “dividendi della pace”. Invece, il “nuovo disordine mondiale” che ne scaturì aprì la strada all’invasione irachena del Kuwait, alla corsa dell’Iran alle armi nucleari, alla proliferazione/esplosione del terrorismo islamista in tutto il mondo compreso il suolo stesso degli Stati Uniti.
Nel 1993 il presidente Bill Clinton seguì il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e l’allora ministro degli esteri Shimon Peres nell’abbracciare Yasser Arafat come nuovo araldo di pace, raccomandandolo per il Premio Nobel della Pace, e nel considerare il “processo di Oslo” come la strada maestra per un Medio Oriente più pacifico, più prospero, più libero e più stabile. Invece da Oslo scaturì un’ondata senza precedenti di terrorismo, indottrinamento all’odio e violazione degli accordi del tutto coerente con 1.400 anni di un mondo arabo privo di pace interna, di rispetto degli accordi, di libertà e democrazia.
Nel 2003 la democratizzazione dell’Iraq era la prima delle priorità del presidente George W. Bush (figlio), il quale dava per scontato che, in una società violenta, potessero tenersi elezioni “libere” che conducessero alla democrazia. Da allora, invece, l’Iraq è sconvolto da un terrorismo senza eguali che ha accelerato la disgregazione del paese e ha trasformato Baghdad in un satellite dell’Iran e nella principale condotta per le forniture militare al regime di Assad.
Nel 2011, la turbolenta “piazza araba” è stata percepita del Mondo Libero come una “primavera araba”, una “marcia per la democrazia”, una rivoluzione della “gioventù di Facebook”, una sorta di reincarnazione dei movimenti di Martin Luther King e del Mahatma Gandhi. Nel 2013 appare ormai evidente che la sismica “piazza araba” sta conoscendo un burrascoso “inverno arabo”, pericolosamente sbilanciato dalla guida di soggetti canaglieschi che sono meno conosciuti, meno prevedibili, più infidi, più violenti e più minacciosi verso gli Stati Uniti e il Mondo Libero.
Nel 2013 il Mondo Libero preferisce, con l’Iran, l’ingaggio economico e diplomatico anziché quello militare. L’illusione che gli ayatollah siano sensibili alle sanzioni economiche e ai valori democratici del negoziato, dell’osservanza degli accordi, della coesistenza pacifica e della promozione delle libertà civili sfida il buon senso e i dati di realtà, come dimostra il caso della Corea del Nord. Il che ha garantito all’Iran più tempo per sviluppare/acquisire capacità nucleari, cosa che può risultare devastante per gli interessi economici e di sicurezza nazionale dell’America e del Mondo Libero.
L’esercizio di questa sorta di “etnocentrismo benevolo” – che attribuisce la propria scala di valori democratici alle società non-democratiche – viene costantemente interpretato dalle società non-democratiche come un chiaro segno di debolezza e di declino. Il che corrode la capacità deterrente dell’Occidente in un mondo che vede crescere l’ostilità verso i valori occidentali, aggrava anziché risolvere i conflitti regionali, e mette a repentaglio vitali interessi economici e di sicurezza del Mondo Libero.

(Da: Israel HaYom, 1.3.13)

Nella foto in alto: Yoram Ettinger, autore di questo articolo