In Medio Oriente l’autodeterminazione di un popolo non arabo è sempre una sfida molto difficile e i curdi lo sanno

L’Occidente ha un debito morale verso i curdi che hanno combattuto l’ISIS con grande coraggio e incarnano un esempio di cultura della tolleranza così raro in Medio Oriente

Di Akil Marceau

Akil Marceau, autore di questo articolo

Nessun ricercatore o politico serio mette in dubbio il fatto che i curdi sono una popolazione autoctona del Medio Oriente che vive nelle proprie terre ancestrali da molto tempo prima che nella regione venissero creati gli stati nazionali riconosciuti dall’Onu.

Il referendum che le autorità curde irachene hanno programmato per il 25 settembre ha suscitato ostilità da parte di molti paesi della regione. Solo i leader israeliani hanno apertamente espresso sostegno al referendum e al diritto dei curdi di determinare la creazione di uno stato curdo. Questo referendum costringe tutti noi, popoli e stati della regione, a fare i conti con il vero test. Qui non si tratta soltanto della secessione e creazione di una nuova entità statale. Si tratta essenzialmente della sfida di creare un’autentica coesistenza in questa regione.

C’era da aspettarsi la reazione ostile dell’Iran e della Turchia. Questi due paesi temono la futura creazione di un stato curdo e le ripercussioni sulle “loro” popolazioni curde. La Siria, il quarto paese in cui i curdi sono il più importante gruppo etnico di minoranza, al momento è ovviamente fuori dai giochi. Abbastanza sconvolgenti sono gli altri stati arabi, quelli che sono sempre pronti a citare risoluzioni Onu, trattati internazionali e principi universali quando invocano la creazione di uno stato (arabo) palestinese, ma guarda caso dimenticano tutti quei testi e principi, e se ne stanno egregiamente zitti, quando si tratta dell’aspirazione all’indipendenza dei curdi (che non sono arabi).

E che dire del silenzio dall’Occidente che anzi, quando si esprime, caldeggia il rinvio – non si sa a quando – del referendum curdo? E’ lo stesso Occidente che deve così tanto ai curdi per la guerra contro il terrorismo e per lo sradicamento della minaccia dell’ISIS nella regione e nel mondo in generale. L’ISIS è considerato una delle peggiori minacce terroristiche con cui Medio Oriente e Occidente hanno dovuto fare i conti negli ultimi anni. I curdi non solo sono stati solo la prima linea di difesa contro quella barbarie. Hanno anche accolto migliaia di cristiani e centinaia di migliaia di arabi in fuga dal terrore e dalla persecuzione: un prezioso esempio di tolleranza che merita d’essere preservato, in una regione infestata dal fanatismo etnico e religioso.

Curdi iracheni con bandiere curde e israeliane durante una manifestazione pro-referendum, sabato scorso a Erbil, capitale della regione autonoma curda nell’Iraq settentrionale

Molti stati del Medio Oriente hanno cinicamente usato e sfruttato la presenza dell’ISIS. Sono riusciti ad approfittare strategicamente dalla connessa lotta di potere tra l’Occidente, da un lato, e il regime siriano, con i suoi alleati Russia e Iran, dall’altro. Il regime siriano non ha esitato a utilizzare armi chimiche e bombardamenti indiscriminati su quasi tutte le città controllate dai ribelli anti-regime ad eccezione guarda caso di Raqqa, la capitale dell’ISIS. La cinica strategia di prendere di mira in modo selettivo le località ISIS consentendo ai suoi miliziani di riposizionarsi in aree sotto il loro controllo dà oggi i suoi frutti. Il recente accordo tra ISIS e Hezbollah è stato manifestamente consentito dal regime di Assad: i miliziani ISIS sono stati apertamente scortati dal confine libanese attraverso territori controllati dal regime di Damasco verso luoghi sicuri al confine con l’Iraq. Anche altri stati hanno tratto vantaggi agendo con lo stesso cinismo. Il caso dell’accordo multimiliardario (in euro) sui profughi fra Turchia e Unione Europea è solo un esempio. Inutile aggiungere quanto l’Iran abbia rafforzato il suo controllo su Siria e Libano. E’ una tetra partita geopolitica in cui tutti gli stati cercano di mettersi fuori gioco l’un l’altro, mentre più nessuno, dentro e fuori la regione, ritiene che sia suo interesse propugnare un cambiamento del regime e la dipartita di Assad.

Meritano davvero, i curdi, di essere abbandonati ancora una volta al loro destino, ora che il lavoro sporco è quasi fatto, perché si sono rifiutati di prendere parte a questo gioco cinico e hanno coraggiosamente combattuto a fianco della coalizione occidentale, difendendo i nostri valori condivisi? Da parte dell’Occidente sarebbe un calcolo ingenuo e una logica perdente a breve termine. L’Occidente è in debito morale nei confronti dei curdi. Proteggere la cultura della tolleranza e la prospettiva di coesistenza messe in campo dai curdi richiede attenzione e incoraggiamento. Il sostegno dell’Occidente alle aspirazioni curde porterebbe a una maggiore stabilità nella regione e rafforzerebbe questa cultura della coesistenza pacifica: che è il vero antidoto a ISIS, al-Qaeda e derivati vari. I leader curdi sono pienamente consapevoli che la strada verso l’autodeterminazione e la creazione di uno stato non arabo, in questa regione, è e sarà sempre una grande sfida. L’esempio evidente è Israele. Anche allora non ci fu un solo stato, tutt’attorno, che fosse disposto a tollerare la sua nascita.

(Da: Ha’aretz, 19.9.17)