Insospettabili amici lontani

Nei paesi dove imperversano davvero oppressione e miseria è più facile che la discussione sia esente dal terzomondismo che domina fra i privilegiati, intrappolati nei sensi di colpa

Di Annika Hernroth-Rothstein

Annika Hernroth-Rothstein, autrice di questo articolo

Oreste era un insegnante in una scuola privata, quando ancora ne esistevano. Ora lavora presso l’Hotel Nacional, a L’Avana, offrendo ai turisti come me acqua, caffè e occasionalmente qualche prezioso consiglio. Durante una di queste chiacchierate, vede la Stella di David che porto al collo e mi chiede se vengo da Israele. Alla mia prudente risposta “sì, in un certo senso”, estrae un tovagliolino di carta e inizia a disegnare qualcosa, invitandomi a guardare: “Questa è Gaza, giusto? E questo è Israele”. Oreste indica il tovagliolino e io non dico niente, sapendo per esperienza che questo genere di conversazioni possono finire in molti modi. Così si china in avanti e aggiunge con entusiasmo, rimarcando ogni parola: “Guarda, lo so che, a causa della politica, il mio governo dice che Israele è il male e la Palestina è il bene, ma io ero un insegnante e ho letto molto. So tutto di Fatah e Hamas, e so esattamente quanto Gaza sia vicina a Israele. E so che se sei un civile e vivi qui, e Hamas lancia razzi su di voi, il vostro paese deve difendersi”.

In un centro commerciale di Ramallah

Rido con autentica sorpresa e gli chiedo come sia riuscito a resistere alla linea imposta dal suo governo. E lui mi racconta che una volta ha visto alla tv governativa cubana un filmato di soldati israeliani che entravano nella casa di una famiglia palestinese, e quello che ha visto lo ha profondamente colpito, ma non nel senso che i programmatori avrebbero voluto. “Quella famiglia, quei palestinesi – mi spiega – avevano una bella casa, avevano bei mobili, un forno a microonde, un televisore e, fuori, era parcheggiata un’auto nuova. Ha idea di cosa darei, io, per possedere un forno a microonde o un televisore?”. Oreste indica con un gesto l’ambiente in cui ci troviamo e dice che i comfort di questo hotel non rappresentano la Cuba che lui conosce, per cui fa fatica a credere alla propaganda che dipinge Israele come un oppressore dei palestinesi, che li costringe a vivere nello squallore e nella miseria nel loro tesso paese. “Forse – continua – è più facile spacciare queste bugie a voi che siete ricchi e non sapete cosa significa realmente essere poveri e non avere davvero nulla. Voi pensate che quella sia la povertà, e vi sentite in colpa per le cose che avete. Io so cos’è l’oppressione e so cosa vuol dire essere poveri, quindi è molto meno facile imbrogliarmi”.

Il nuovo centro commerciale di Gaza

Sono rimasta molto colpita dalle parole di Oreste: non solo perché hanno smentito ciò che banalmente mi aspettavo, ma anche perché mi hanno insegnato qualcosa sul privilegio e su come esso influenzi il nostro modo di vedere i conflitti e il resto del mondo. Non il privilegio dei bianchi o dei maschi, ma il buon vecchio privilegio, quello che ha a che fare con il ceto sociale e la democrazia. Per noi che siamo della parte del mondo beneficiata da lussi come la libertà e la pancia piena, è facile essere imbrigliati con i sensi di colpa e confondere la verità coi nostri sentimenti. Per Oreste, è tutto più semplice: non avere nulla rende molto più chiaro tutto ciò che vedi attorno. Il suo governo gli dice che Israele è un oppressore e che i palestinesi sono ridotti in miseria, ma agli occhi di Oreste è chiarissimo che questo non corrisponde alla verità.

E’ bello incontrare persone così in posti nuovi e inaspettati, e forse è ancora più bello vedere smentiti i propri pregiudizi. Il mio istinto è sempre quello di stare sulla difensiva, pronta ad affrontare un dibattito in cui sarò chiamata a dimostrare le ragioni e i valori di Israele davanti ad ascoltatori ostili. Questa volta sono stato colta di sorpresa, e il mio privilegio è stato messo in luce in maniera del tutto inaspettata, dimostrandomi che non sono priva di pregiudizi e condiscendenza.

La mia conversazione con Oreste mi ha insegnato che Israele può trovare persone più amichevoli nei paesi dove si conoscono le vere privazioni, giacché è più probabile che siano esenti dall’orientalismo e dal terzomondismo che sembrano sempre dominare il dibattito. Il relativismo morale è un lusso, qualcosa con cui ci si può trastullare la mente quando sono soddisfatti tutti i bisogni e i desideri. Quando invece il male e la sofferenza sono dentro casa tua, hai poca pazienza per questi giochini auto-indulgenti.

(Da: Israel HaYom, 20.3.17)

Mercato dell’auto a Beitunia, 3 km a ovest di Ramallah