Israele sta ancora pagando il prezzo del ritiro dal Libano

Fu di fatto la prima vittoria sul terreno dei nemici d’Israele guidati dall’Iran.

Da un articolo di Yaakov Katz

image_2834Dieci anni fa, il 24 maggio 2000, le Forze di Difesa israeliane completavano il ritiro unilaterale dal Libano meridionale. Quest’anno, il 24 maggio, qualcuno potrebbe dire che le Forze di Difesa israeliane sono impegnate a pagare il prezzo per quel ritiro precipitoso, visto che ben quaranta consigli locali stanno conducendo una delle più vaste esercitazioni di difesa civile passiva organizzate in Israele, per prepararsi alla prossima guerra con Hezbollah.
Allora, nel 2000, furono pochissimi i politici e gli ufficiali che si pronunciarono contro il ritiro. All’epoca l’opinione generale era, e pare essere ancora oggi, che Ehud Barak avesse fatto la mossa giusta tirando fuori di Israele dal Libano e ponendo fine a diciotto anni di gravosa presenza delle Forze di Difesa israeliane nella fascia di sicurezza in territorio libanese lungo la frontiera con Israele.
Quelli che allora erano contrari al ritiro prevedevano ciò che in effetti finì per accadere. Essi non si opponevano tanto al ritiro in se stesso, quanto al modo in cui venne fatto: unilateralmente (cioè senza alcun accordo con la controparte), in fretta e di notte. Israele, sostengono i critici, venne così percepito come in fuga dal Libano a causa delle perdite militari subite, regalando in pratica all’Iran e al suo principale mandatario Hezbollah la loro prima vittoria nella guerra tuttora in corso fra Israele e l’asse del male guidato da Tehran.
Il prezzo del ritiro fatto in quel modo venne pagato a stretto giro già nell’ottobre 2000, quando tre soldati israeliani vennero sequestrati sul Monte Dov e i loro corpi senza vita restituiti soltanto tre anni dopo. La politica israeliana di autocontrollo – o “contenimento” come venne chiamata più tardi – permise a Hezbollah di continuare a sviluppare, a ridosso della frontiera d’Israele, il suo esercito e il suo arsenale di razzi che più tardi avrebbe sfoggiato contro Israele nella seconda guerra in Libano del 2006.
Indipendentemente da chi abbia ragione su ciò che doveva accadere dieci anni fa, il dato di fatto è che oggi Israele si trova ad affrontare in Libano una minaccia sempre crescente. Oggi Hezbollah dispone di decine di migliaia di razzi in più di quanti ne possedesse nel 2000 e nel 2006. Nel 2000 non aveva un solo razzo in grado di colpire Tel Aviv, oggi ne ha centinaia.
La ragion d’essere di Hezbollah prima del ritiro del 2000 era quella di combattere contro l’“occupazione” israeliana. Dopo il ritiro di Israele, benché Hezbollah continui a sostenere di combattere contro la presenza delle Forze di Difesa israeliane in due fazzoletti di terra come le Fattorie Sheba (semmai siriane, e non libanesi) e nella metà nord del villaggio di Ghajar (i cui abitanti peraltro non vogliono passare al Libano), in realtà se continua ad esistere è solo perché così vogliono Siria e Iran. Sia l’una che l’altro sono i protettori e i principali sostenitori di Hezbollah. I missili Scud recentemente forniti a Hezbollah provengono dalla Siria. I missili M600 sono stati prodotti in Siria su progetti iraniani. Le vaste esercitazioni di difesa civile in corso in questi giorni in Israele non si basano su scenari di minacce che potrebbero concretizzarsi in futuro: hanno piuttosto lo scopo di preparare la popolazione ad affrontare minacce già oggi presenti incombenti. Tutti i peggiori nemici di Israele, dall’Iran alla Siria a Hezbollah a Hamas, nell’ultimo anno hanno significativamente incrementato la produzione e l’approvvigionamento di missili a lunga gittata capaci di colpire il centro del paese e Tel Aviv. Secondo tutte la valutazioni, se domani dovesse scoppiare una guerra Israele finirebbe sotto una pioggia di missili senza precedenti, per lo più diretti su Tel Aviv.
Nelle scorse settimane si è fatto un gran parlare della possibilità che si riaccenda il conflitto con Hezbollah prima della fine dell’estate. La scintilla potrebbe essere uno di questi scenari: Hezbollah attacca Israele come rappresaglia dopo un raid sugli impianti nucleari iraniani; oppure Hezbollah riesce a mettere a segno la sospirata vendetta per l’uccisione del suo comandante terrorista Imad Mughniyeh nel 2008 (avvenuta a Damasco, ma automaticamente attribuita a Israele); oppure Israele decide di attaccare l’ennesimo convoglio di rifornimenti di armi pesanti, come sembra che stesse per fare il mese scorso quando la Siria stava trasferendo missili Scud a Hezbollah.
Allo stato attuale, comunque, nessuna delle parti sembra essere interessata a una ripresa del conflitto. Israele preferisce la calma, in particolare ora che ha appena riavviato i colloqui di pace (indiretti) coi palestinesi. A Hezbollah interessa continuare la corsa al riarmo e contemporaneamente rafforzare il suo potere politico a Beirut.

(Da: Jerusalem Post, 25.5.10)