L’ostilità verso la Balfour dimostra che l’ostilità contro lo stato ebraico è la stessa di cento anni fa

Secondo Netanyahu la radice del conflitto è l'opposizione palestinese alla sovranità ebraica entro qualunque confine, e i primi a dargli ragione sono proprio i palestinesi

Di David Horovitz

David Horovitz, autore di questo articolo

David Horovitz, autore di questo articolo

Ben custodito e visibile solo con un permesso speciale, giace alla British Library l’originale della Dichiarazione di Balfour, la lettera d’intenti – breve ma di enorme risonanza – con cui un secolo fa il ministro degli esteri del governo britannico Arthur James Balfour voleva far rivivere la sovranità ebraica in Terra Santa. In un’elegante cartella tenuta sotto chiave è conservata anche una prima bozza della Dichiarazione, una versione che venne fatta circolare fra vari funzionari perché esprimessero le loro valutazioni ed eventuali proposte di modifica prima che il testo definitivo venisse diramato il 2 novembre 1917.

Anche dopo aver stabilito la legittimità delle aspirazioni sioniste – e aver valutato il loro potenziale vantaggio per gli interessi britannici – gli inglesi, come dimostrano le varie bozze della Dichiarazione, riconoscevano le speculari sensibilità e le potenziali ripercussioni della loro decisione di “vedere con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”. Sin dall’inizio, gli inglesi cercarono di quadrare il cerchio: ripristinare uno stato ebraico nell’unico luogo al mondo in cui il popolo ebraico fosse mai stato sovrano, ma farlo preservando i diritti delle altre comunità che vivono in Terra Santa. Questo sforzo di realizzare i diritti sovrani degli ebrei ma al contempo legittimare le rivendicazioni dei popoli arabi venne mantenuto quando la Gran Bretagna pose fine al suo Mandato e le Nazioni Unite, nel 1947, raccomandarono la spartizione del paese: un rinato stato ebraico accanto a un inedito stato arabo palestinese.

La Dichiarazione Balfour del 1917, poi incorporata nel mandato della Società delle Nazioni sulla Palestina

La Dichiarazione Balfour del 1917, poi incorporata nel Mandato della Società delle Nazioni sulla Palestina: “Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e farà del suo meglio per facilitare il raggiungimento di questo obiettivo, restando chiaramente inteso che nulla deve essere fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle esistenti comunità non ebraiche in Palestina, o i diritti e lo status politico goduti dagli ebrei in ogni altro paese”.

Il mondo arabo si oppose alla Dichiarazione Balfour sin dal primo giorno, così come si oppose sin dal primo giorno al piano di spartizione delle Nazioni Unite e nel 1948 cercò di distruggere lo stato di Israele appena fondato.

Sebbene l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina sia teoricamente venuta a patti con l’esistenza di Israele pre-‘67 quando Yasser Arafat, un quarto di secolo fa, aderì insieme a Yitzhak Rabin allo sventurato processo di Oslo, ecco che oggi quella stessa Olp proclama che la Dichiarazione Balfour rappresenta un criminale “progetto colonialista” e lancia ufficialmente una campagna della durata di un anno per “ricordare a tutto il mondo, e alla Gran Bretagna in particolare, che devono fare i conti con la loro responsabilità storica ed espiare il grande crimine commesso contro il popolo palestinese”.

Pochi mesi fa, l’Autorità Palestinese ha annunciato che sta anche preparando una causa contro il governo britannico per la Dichiarazione Balfour, e il ministro degli esteri palestinese Riyad al-Malki ha affermato di ritenere Londra responsabile di tutti i “crimini israeliani” commessi dalla fine del Mandato britannico: fu la Gran Bretagna che commise il peccato originale di aprire la strada alla creazione di Israele giacché la Dichiarazione Balfour, ha detto Malki, “ha dato a un popolo che non appartiene a questo paese qualcosa che non era suo”.

Distinti politici e portavoce dell’Autorità Palestinese vogliono far credere al mondo che le loro critiche a Israele riguardano l’occupazione della Cisgiordania e di Gerusalemme est e le relative attività di insediamento, e che quello che perseguono non è altro che una Palestina indipendente accanto a Israele, non al posto di Israele. Ma questa nuova campagna dei palestinesi volta a denunciare la presunta illegalità e iniquità della Dichiarazione Balfour racconta tutta un’altra storia. Essa mostra la mai sopita ostilità al concetto stesso di sovranità ebraica in qualunque parte della Terra Santa, e il persistente rifiuto di accettare la legittimità della presenza ebraica nel paese.

La Dichiarazione del 1917 prometteva di tutelare i diritti degli altri abitanti pur cercando di realizzare i diritti degli ebrei. Lo stesso faceva, nel 1947, il voto delle Nazioni Unite per la spartizione in due stati. Eppure siamo ancora qui, un secolo dopo, con la dirigenza palestinese che definisce un “crimine” l’inizio di un processo che, se l’avessero accettato, avrebbe da tempo dato vita al loro stato. Per la dirigenza palestinese, oggi, nel 2016, gli ebrei sono ancora il popolo che “non appartiene a questo paese” e che ha ottenuto qualcosa che non era suo. Si badi: non stiamo parlando di Hamas, ossia di un’organizzazione terroristica dichiaratamente votata a distruggere ogni traccia di Israele e di presenza ebraica. Stiamo parlando di quella che viene ritenuta la dirigenza palestinese moderata e benpensante. Insomma, quelli relativamente “buoni”: la dirigenza considerata a livello internazionale come “responsabile”, quella con cui Israele ha negoziato e dovrebbe tornare a negoziare.

Lo stato palestinese offerto da Ehud Olmert e rifiutato da Abu Mazen nel 2008 (clicca per ingrandire)

Lo stato palestinese offerto da Ehud Olmert e rifiutato da Abu Mazen nel 2008 (clicca per ingrandire)

Purtroppo non c’è da sorprendersi. La stessa dirigenza palestinese teoricamente “responsabile”, mentre sostiene di perseguire la soluzione “a due stati”, promuove senza sosta all’Unesco risoluzioni che riscrivono la storia nel tentativo di cancellare i legami dell’ebraismo (e del cristianesimo) con i luoghi più sacri di Gerusalemme, e quindi screditare la legittimità della sovranità ebraica. Pateticamente, la maggior parte delle nazioni dell’Unesco assecondano tale farsa, non opponendosi o addirittura sostenendo questa presa in giro palestinese della realtà storica. Con i loro voti pusillanimi, questi paesi non fanno che incoraggiare l’intolleranza palestinese verso la legittimità ebraica e, di conseguenza, avallano tacitamente la violenza palestinese contro uno stato ebraico ritenuto senza radici. La stessa dirigenza palestinese teoricamente “responsabile”, va ricordato, è quella che ha scelto di non accettare l’offerta di pace avanzata nel 2008 dall’allora primo ministro israeliano Ehud Olmert che – ancora una volta – avrebbe dato ai palestinesi quello stato indipendente fattibile e coeso, a fianco di Israele, che i palestinesi, davanti alla comunità internazionale, sostengono essere tutto ciò che desiderano. E’ la stessa dirigenza palestinese teoricamente “responsabile” che utilizza instancabilmente la tv, la stampa e i social network per istigare alla violenza contro Israele e affermare la totale illegittimità della sovranità di Israele.

Continuando a costruire case per ebrei anche nelle zone della Cisgiordania che Israele non può credibilmente pensare di trattenere in un qualsiasi futuro accordo di pace, il governo Netanyahu, come quasi tutti i suoi predecessori da quanto Israele conquistò quei territori nella guerra del ‘67, toglie credibilità ai veri moderati palestinesi che perseguono un’autentica pace e credono che sia raggiungibile. La costruzione di case in quelle aree scredita anche Israele a livello internazionale, minando la pretesa del governo di adoperarsi per una soluzione “a due stati” realmente fattibili. E danneggia il fondamentale interesse di Israele di preservare uno stato che sia ebraico e democratico, dal momento che una o entrambe queste qualità basilari andranno perse se non ci potremo districare dai milioni di palestinesi che vivono nei territori contesi.

“Il loro rifiuto di condividere una qualsiasi parte di questa terra con il popolo ebraico rimane assoluto”

Ma quando Netanyahu dice agli israeliani e alla comunità internazionale che la causa principale del conflitto israelo-palestinese non sono gli insediamenti, come sostengono i palestinesi, bensì l’intramontabile rifiuto della dirigenza e della popolazione palestinese di interiorizzare il diritto del popolo ebraico ad una qualche sovranità almeno in una parte della Terra Santa, ebbene sono i palestinesi stessi che gli danno ragione.

La Dichiarazione di Balfour mirava a ripristinare una patria ebraica nel rispetto degli interessi e dei diritti dei non ebrei che condividono questo paese. Trent’anni dopo, l’Onu definiva un quadro specifico per la realizzazione di questo obiettivo. Ma tutto questo non era accettabile per gli arabi di Palestina e per coloro che all’epoca parlavano per loro conto, dal momento che la volontà di avere per la prima volta un stato arabo-palestinese era di gran lunga secondaria rispetto all’ostilità verso il concetto di un rinato stato ebraico che vivesse al loro fianco. Ed è fin troppo evidente che ancora oggi non è accettabile per la dirigenza palestinese. Dichiarando la loro guerra diplomatica e legale contro la Dichiarazione Balfour, i rappresentanti palestinesi dicono al mondo – per loro e nostra perenne sfortuna – che nulla è cambiato in questi cento anni, che la loro opposizione al nostro stato entro qualunque confine rimane di gran lunga più forte del loro desiderio di avere un’entità indipendente.

Un secolo più tardi, ripetono che il loro rifiuto di condividere una qualsiasi parte di questa terra con il popolo ebraico rimane assoluto.

(Da: Times of Israel, 25.10.16)