Ma quale Nelson Mandela, signor Barghouti, lei è solo un terrorista

«Non so a voi, ma a me fa un po’ schifo sentire uno stragista impenitente che parla di “lotta pacifica” e Convenzioni di Ginevra»

Di Byreuven Ben-Shalom

Reuven Ben-Shalom, autore di questo articolo

Si immagini questa situazione: Terry Nichols, l’autore dell’attentato ad Oklahoma City del 1995, firma un editoriale pubblicato sul New York Times in cui si paragona niente di meno che a Nelson Mandela; parla di se stesso come di un combattente per la libertà, afferma di perseguire la pace, la dignità e la libertà; si scaglia contro le autorità per il suo “arresto arbitrario” e accusa il personale della prigione federale di tortura e violazione sistematica dei diritti umani. Non fa il minimo accenno, invece, alle 168 persone che ha ucciso nell’attentato. L’articolo si conclude con la dicitura (di per sé ineccepibile): “Terry Nichols è un uomo d’affari ed ex soldato dell’esercito degli Stati Uniti”. Presumo che i miei amici americani avrebbero qualche commento piuttosto pesante da fare a proposito dell’assassino condannato per strage ed anche del giornale che gli ha dato voce in quel modo. L’editoriale del terrorista palestinese Marwan Barghouti pubblicato lo scorso 16 aprile dal New York Times non è diverso.

Rapido riepilogo: in quanto capo di Tanzim, propaggine terrorista di Fatah, Barghouti ha pianificato, approvato e diretto molteplici attentati terroristici, sia in Cisgiordania che all’interno della “linea verde” pre-‘67. E’ stato arrestato, regolarmente processato e condannato all’ergastolo per cinque omicidi e complicità in altri quattro attentati. Personalmente avrei calorosamente raccomandato al New York Times di non prestarsi a fare da mezzo di propaganda dei terroristi. O per lo meno, di spiegare bene ai lettori chi è l’autore dell’articolo, anziché limitasi a definirlo laconicamente “un leader e parlamentare palestinese” (sul serio?). Ma ora che l’articolo è uscito ne consiglio la lettura, perché serve come una lezione sul potere che ha una narrazione mistificatoria, e di come i terroristi sfruttano abilmente gli strumenti e i valori democratici contro coloro che invece li hanno a cuore.

Affermando di essere “testimone e vittima del sistema illegale israeliano di arresti arbitrari di massa” Barghouti spaccia di sé l’immagine di un innocente spettatore passivo che è stato catturato senza alcun motivo e illegalmente incarcerato dai bruti israeliani. Ma Barghouti non è un testimone, é un autore di reati. Non è una vittima, è un assassino che ha inflitto dolore e sofferenza a molte vittime innocenti.

12 dicembre 2001, tre terroristi palestinesi bloccano con due mine a bordo strada un autobus della linea 189 in viaggio da Bnei Brak a Immanul, quindi gettano all’interno delle granate e poi sparano sui passeggeri che cercano di uscire: 11 morti, 30 tra feriti e mutilati. L’attentato viene rivendicato congiuntamente da Hamas e dalla milizie di Fatah

Nella sua commovente perorazione, Barghouti ripete per due volte la frase “arresti arbitrari di massa”, cercando di inculcare questa ridicola menzogna nella mente delle persone che non vivono in Israele e non conoscono la verità dei fatti. Barghouti vorrebbe farci credere che Israele non sta cercando di difendersi da un terrorismo spietato, ma sta cospirando per “spezzare lo spirito dei prigionieri e della nazione a cui appartengono”. Non ci sarebbe nemmeno bisogno di smentire. Ma dato che sono uno che ha trascorso molti anni a preparare e realizzare operazioni antiterrorismo e che ha visto da vicino le carceri d’Israele, ho il dovere di affermare che queste sono solo spregevoli menzogne.

“Lo sciopero della fame è la più pacifica forma disponibile di resistenza”, predica il virtuoso Barghouti. Non so a voi, ma a me fa un po’ schifo sentire uno stragista impenitente che usa il termine “pacifico”. Poi parla delle “buie celle” israeliane, nel tentativo di dipingere le disumane condizioni imposte ai detenuti in Israele. Ho personalmente visitato la prigione di Barghouti, per cui ancora una volta posso testimoniare che sta mentendo. Non solo la sua cella è (ovviamente) ben illuminata, ma l’abbondante disponibilità di libri garantita dal servizio penitenziario gli ha permesso di completare un dottorato in scienze politiche dall’interno del carcere. Ovviamente questo suo successo accademico è stato deliberatamente omesso dalle sue credenziali in calce all’editoriale, giacché questa informazione avrebbe compromesso l’immagine da martire sapientemente costruita nell’articolo. Barghouti vuole che i suoi lettori compiangano il suo “sacrificio”: un termine che ha una connotazione positiva, così come quello di “martire”, tranne quando viene usato dai terroristi.

Barghouti fa tutto il possibile per denigrare gli israeliani: non solo distorce, omette e ingigantisce, ma muove anche gravissime accuse relative a presunte torture. Israele ha leggi severe che proibiscono la tortura, che vengono così accuratamente monitorate e applicate che a volte le autorità di sicurezza si sentono con le mani legate, anche quando devono ottenere informazioni di vitale importanza su un imminente attentato da terroristi che definiamo “bombe a orologeria”. Proprio così: accade a volte che dei civili israeliani perdano la vita a causa dei limiti auto-imposti dalla democrazia israeliana.

Tutto l’articolo di Barghouti è zeppo di sciocchezze, ma alcune spiccano più delle altre. Se non fosse così grave, sarebbe quasi divertente vedere un terrorista mai pentito che discetta di diritto internazionale lamentando “violazioni delle Convenzioni di Ginevra”.

Ma parlando seriamente, possibile che abbia mentito su tutto? Beh, perché mai un terrorista dovrebbe avere remore morali a mentire spudoratamente? Se uccidere civili innocenti è un mezzo giustificato per realizzare i propri obiettivi politici, certamente non è meno accettabile sfruttare una tribuna di prestigio per conquistare cuori e menti con le menzogne. E funziona. Non è facile leggere questo testo toccante e respingere tutto come pura manipolazione. Se non si conoscono sfondo e contesto, se non si conoscono i fatti di prima mano, le sue parole conquistano simpatia e solidarietà. Quale essere umano non è toccato dalle parole “lotta per la libertà”? “Le nostre catene saranno spezzate prima che lo siamo noi” grida il martire, il santo, il campione della pace e della giustizia. “La libertà e la dignità sono diritti universali” proclama Barghouti, e astutamente ne fa lo slogan per la sua campagna. La contraffazione prosegue fino all’ultimo: “Solo la fine dell’occupazione porrà fine a questa ingiustizia e segnerà la nascita della pace”. Di nuovo la parola “pace”, il furbo. Ma non si dimentichi che è come sa parlasse Terry Nichols, lo stragista di Oklahoma City. No, signor Barghouti, lei certamente non è un Nelson Mandela. Lei è solo un terrorista.

(Da. Jerusalem Post, 18.4.17)