Netanyahu ingoierà il rospo

Dovrà fare un governo con Bennett e Lapid e senza ultra-ortodossi, per non rivotare fra pochi mesi.

Di Raphael Ahren

image_3675È passato più di un mese dalle elezioni israeliane e finora non si intravedono segnali di stabilità politica. Sabato sera il primo ministro Benjamin Netanyahu ha chiesto al presidente Shimon Peres la proroga di 14 giorni prevista dalla legge per cercare di assemblare un governo funzionante. Ma a giudicare dalle trattative in corso, Netanyahu sembra distante non due settimane ma anni luce dal mettere insieme una maggioranza abbastanza ampia da permettergli di rimanere primo ministro e governare il paese. Tuttavia, a dispetto dei titoli dei giornali su ultimatum e scadenze, si può contare sul fatto che, in capo a due settimane, Israele avrà il suo nuovo governo, e che Netanyahu resterà primo ministro. Quel che adesso sembra improbabile, presto si realizzerà. Semplicemente non c’è altra via d’uscita. Certo, Netanyahu ha i suoi principi, e detesta “boicottare” – come ha detto sabato citando Yesh Atid (C’è futuro) – cioè ostracizzare i partiti ultra-ortodossi. Ma quando si arriverà al dunque, la sopravvivenza politica di Netanyahu sarà per lui più importante di ogni “alleato naturale” o antipatia personale.
Allo stato attuale l’alleanza di Netanyahu Likud-Yisrael Beytenu è riuscita a reclutare nella coalizione un solo partner: con il Movimento (HaTnuah) di Tzipi Livni, arriva a 37 seggi, molto meno dei 61 necessari per avere la maggioranza nella Knesset (il parlamento monocamerale israeliano di 120 seggi). Il partito laico di centro Yesh Atid, di Yair Lapid, e quello nazional-religioso HaBayit HaYehudi (Casa Ebraica) di Naftali Bennet – che hanno dichiarato che solo insieme entreranno nel governo, oppure insieme resteranno all’opposizione – con i loro 31 seggi complessivi permetterebbero a Netanyahu di arrivare a una agevole maggioranza di 68 seggi. Gli ultra-ortodossi, dal canto loro, arrivano complessivamente solo a 18 seggi, il che significa che a una coalizione formata da Likud-Beytenu, HaTnua di Livni e i partiti ultra-ortodossi Shas e Yahadut HaTorah HaMeukhedet (Ebraismo Unito della Torah) mancherebbero ancora sei seggi per arrivare anche solo a una risicata maggioranza.
Nel corso delle ultime settimane, Netanyahu ha cercato di formare “la più ampia coalizione possibile per lo stato di Israele”, includendo sia gli ultra-ortodossi sia il blocco Bennett-Lapid. Ma il capo di Yesh Atid, Yair Lapid, ha messo in chiaro che non entrerà in un governo con gli ultra-ortodossi: “Non credo – ha detto sabato – che Shas ed Ebraismo Unito della Torah possano sedere in un governo che faccia le riforme per cui noi siamo stati eletti: modificare i criteri di assegnazione dei sussidi per la casa, introdurre un curriculum studi di base uguale per tutti, un’equa condivisione dell’onere (della difesa) e i necessari tagli ai finanziamenti per le yeshivot (seminari religiosi)”. E il presidente di Casa Ebraica, Naftali Bennett, ha messo altrettanto in chiaro che non entrerà in un governo senza Lapid. Ciò lascia Netanyahu con ben poche opzioni. O accetta Lapid e Bennett e le loro richieste, o si troverà nell’impossibilità di presentare un governo plausibile allo scadere della proroga di 14 giorni. (Per la verità ci sono altre due opzioni: Netanyahu potrebbe riuscire a rompere l’alleanza Lapid-Bennett, oppure convincere il partito laburista, o una parte di esso, ad entrare nella coalizione. Ma si tratta di due scenari altamente improbabili.)
Netanyahu non vuole lasciar fuori gli ultra-ortodossi, che sono più dei lobbisti votati agli interessi particolari del loro elettorato che non dei politici interessati a decidere come viene governato il paese, e pertanto si presentano da sempre come i più convenienti alleati di coalizione che si possa desiderare: finché si soddisfano le loro richieste – soprattutto l’esenzione dal servizio militare degli studenti delle yeshivot e i finanziamenti per le loro comunità – su tutto il resto votano come vuole il primo ministro.
Domenica, durante la riunione del governo settimanale, Netanyahu si è impegnato a cercare nuovamente di “unire le forze e mettere assieme” i diversi partiti che potrebbero formare la coalizione dei suoi sogni. Ma non vi è indicazione che quel che non è stato possibile nelle prime quattro settimane di trattative, possa riuscire nelle ultime due. Lapid e Bennett si sono impegnati a muoversi insieme, e Lapid in particolare è improbabile che ceda. Ha promesso ai suoi elettori di porre fine agli esoneri generalizzati per gli studenti delle yeshivot ed è stato premiato con 19 seggi. Sarebbe poco saggio da parte sua sperperare la fiducia del pubblico per entrare in un governo che non producesse le tanto attese riforme. Ciò significa che Netanyahu non ha una maggioranza se non accetta la riforma per il servizio di leva degli ultra-ortodossi, che però sarebbe impossibile con i partiti ultra-ortodossi dentro al governo.
Se Netanyahu non riesce a presentare in tempo un governo, Peres può incaricare un altro parlamentare. Se anche questo tentativo dovesse fallire, il paese andrebbe dritto verso nuove elezioni. Un esito che non è auspicato da nessuno, nella sfera politica. Netanyahu sa bene che il suo tempo come primo ministro sarebbe finito se il paese dovesse andare alle urne un’altra volta nel giro di tre mesi. Perciò farà tutto il necessario per presentare una coalizione entro le prossime due settimane: qualunque tipo di coalizione. E se sarà necessario, lascerà fuori gli ultra-ortodossi.
Sì, a Netanyahu davvero non piace l’idea di far arrabbiare gli ultra-ortodossi lasciandoli fuori. Ma c’è una cosa che gli piace ancora meno: non essere primo ministro. Pertanto, a un certo punto prima del 16 marzo, circa una settimana prima della Pasqua ebraica, tutto lascia pensare che Netanyahu ingoierà il rospo e annuncerà la formazione di un governo, probabilmente con Bennett e Lapid, e senza ultra-ortodossi.

(Da: Times of Israel, 3.3.13)