Ostacoli palestinesi allo stato palestinese

Anticipando il resto del mondo arabo, i palestinesi si sono spaccati fra occidentalisti e islamisti.

Di Kenneth Bandler

image_3114I più grossi ostacoli al conseguimento dell’obiettivo di Salam Fayyad di uno stato palestinese si trovano nel suo cortile di casa, e sono la perdurante incapacità di tenere nuove elezioni, nonché la spaccatura fra Fatah e Hamas. Solo i palestinesi possono rimuovere questi “blocchi stradali”.
Il dissidio palestinese appare ancora più chiaro nel mezzo dei disordini che attraversano il mondo arabo. In Tunisia, Egitto, Yemen, Bahrain, Siria, Libia e altri paesi della regione, masse di cittadini si agitano per rimpiazzare dittatori di vecchia data con nuovi governi democratici, mentre nel frattempo riemergono forze islamiste alla ricerca di un loro ruolo nel nuovo ordine ancora da definire.
Per ironia della sorte, sono stati proprio i palestinesi ad aprire la strada, dibattendosi in questa dicotomia politica e ideologica finora senza successo. Con un regime islamista alleato dell’Iran nella striscia di Gaza e un governo filo-occidentale sostenuto da Stati Uniti e Unione Europea in Cisgiordania, come ricomporre i pezzi del potenziale stato bicefalo rimane un formidabile quesito che molti nella comunità internazionale continuano a ignorare. Mentre l’Autorità Palestinese boicotta i negoziati di pace diretti con Israele, molti paesi uno dopo l’altro proclamano di riconoscere uno stato palestinese che ancora non esiste, o elevano lo status delle rappresentanze diplomatiche palestinesi. La domanda che dovrebbero porsi è: che genere di stato pensano di accogliere nella famiglia delle nazioni, e chi avrà la responsabilità di governare questo stato? La sua leadership sarà impegnata a istituire e sostenere un governo veramente democratico oppure soccomberà all’estremismo islamista? Il problema rimane aperto, visto che metà del supposto stato, la striscia di Gaza, è sotto il controllo di Hamas sin dal giugno 2007.
Le elezioni sono una condizione necessaria – anche se non sufficiente – per parlare di vera democrazia. Ma una nuova entità statale avrà bisogno anche di stato di diritto e di un controllo civile sulla società e sui militari. I precedenti finora non sono incoraggianti. Alle ultime elezioni nell’Autorità Palestinese, tenute nel gennaio 2006 in Cisgiordania e striscia di Gaza, Hamas ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi. Diciotto mesi dopo prendeva il potere con la violenza nella striscia di Gaza. Mahmoud Abbas (Abu Mazen), che conquistò la presidenza nel 2006, da allora ha evitato di indire nuove elezioni, anche se i termini del mandato presidenziale e della legislatura parlamentare sono scaduti sin dal gennaio 2009. L’ultimo tentativo, nel gennaio 2010, è stato annullato da Abu Mazen quando Hamas si è rifiutata di partecipare o anche solo di premettere agli abitanti di Gaza di votare. Più di recente, lo scorso febbraio, sulla scorta della repentina caduta di Hosni Mubarak in Egitto, Abu Mazen si era affrettato ad annunciare che nuove elezioni amministrative si sarebbero tenute entro luglio, e quelle per la presidenza in settembre. Ma ha prontamente ritirato il progetto quando Hamas ha puntato i piedi, ribadendo il proprio rifiuto a riconoscere la sua autorità.
Un alto collaboratore di Abu Mazen ha parlato pubblicamente di andare avanti con le elezioni anche se Hamas, e dunque la striscia di Gaza, non vi parteciperà. Idea nuova, anche se rischiosa. Se Abu Mazen andasse avanti con le riforme intraprese da Fayyad, tenesse nuove elezioni per quanto circoscritte e tornasse ai negoziati diretti con Israele, vi sarebbe la possibilità di arrivare ad un primo stadio di indipendenza palestinese in Cisgiordania.
Per Abu Mazen, tuttavia, inseguire la chimera dell’unità del popolo palestinese fa premio sul riprendere la strada verso la democrazia, anche solo in una parte della Palestina. E Abu Mazen ha di nuovo proclamato che non vi saranno elezioni senza Gaza, confermando così la situazione di stallo.
In risposta ai tumulti nei paesi arabi circostanti, a metà febbraio Abu Mazen ha offerto le dimissioni del suo primo ministro e del governo. Fayyad, immediatamente reincaricato primo ministro, ha scoperto che formare un nuovo governo è tanto difficile quanto arrivare alla riconciliazione fra Fatah e Hamas. Il suo tentativo di dare vita a una coalizione più ampia che includesse Hamas ha suscitato fiera opposizione sia da parte di Fatah che della stessa Hamas.
Nella sua eterna aspirazione di affermarsi come leader, Abu Mazen si è offerto di visitare Gaza per incontrare il capo locale di Hamas, Ismail Haniyeh. Tuttavia, ancor prima che il mese scorso i terroristi di Hamas sparassero decine di razzi e obici di mortaio su Israele, gli ostacoli a un’intesa sui termini e le condizioni di tale visita – che sarebbe stata la prima dal 2007 – si dimostravano più ostici di quelli da superare per riportare l’Autorità Palestinese al tavolo negoziale con Israele.
Fino a quando Hamas non cambia, ogni riconciliazione è impossibile: che è poi la ragione per cui sono naufragati gli innumerevoli tentativi di mediazione egiziani. Adesso lo scontro nel resto del mondo arabo fra islamisti e fautori della democrazia potrebbe acutizzare il divario interno fra palestinesi.
Non sono queste le basi appropriate su cui avviare un nuovo stato che sia stabile all’interno e capace di coesistere in pace e sicurezza con Israele, oltre che con Egitto e Giordania. Una pace sostenibile, come continua a sottolineare l’amministrazione Obama, può essere raggiunta solo attraverso negoziati diretti. Prima riprendono tali negoziati, meglio sarà per tutti. Nel frattempo, i capi palestinesi e i loro supporter in giro per il mondo dovrebbero ammettere che i più grossi ostacoli a uno stato indipendente che funzioni sono stati eretti dagli stessi palestinesi, e che rimuovere tali ostacoli richiederà iniziative piàù creative.

(DA: Jerusalem Post, 5.4.11)

Nella foto in alto: Kenneth Bandler, autore di questo articolo

Si veda anche:

Se Abu Mazen fa la corte a Hamas

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