Risoluzioni disattese del Consiglio di Sicurezza: quelle contro il terrorismo

LOnu non può adottare una convenzione contro il terrorismo perché i paesi islamici pretendono di escludere la salvaguardia di Israele.

Da un articolo di Anne Bayefsky

image_377Il 28 settembre 2001 il Consiglio di Sicurezza adottava la risoluzione 1373 quale risposta dell’Onu alla minaccia ormai evidente del terrorismo globale. Tre anni dopo, l’Onu non è ancora in grado di definire cosa sia il “terrorismo”.
Gli stati membri sono fondamentalmente divisi in due campi.
In uno di questi due campi c’è l’Organizzazione della Conferenza Islamica, composta da 56 paesi che insistono che la definizione di terrorismo deve escludere “la lotta armata per la liberazione e l’autodeterminazione”. In altre parola, che è legittimo far saltare in aria cittadini israeliani di ogni età nei bar, nelle sinagoghe, negli autobus e nelle discoteche.
Questo punto di vista comporta notevoli danni collaterali nelle Nazioni Unite. Da otto anni l’Onu si batte per adottare una convenzione generale contro il terrorismo, ma non riesce a farlo perché l’Organizzazione della Conferenza Islamica pretende una clausola che escluda la salvaguardia di Israele. Un’altra tornata di falsi negoziati è in programma per i primi di ottobre. Nessuno stato membro è disposto a cambiare le regole e insistere perché venga indetta una votazione anche in mancanza di consenso generale. Il risultato è quell’unica riga sul sito web dell’Onu dedicata alla definizione di terrorismo. Essa rimanda le parti interessate alla discussione in corso su una convenzione contro il terrorismo, la quale “dovrebbe includere una definizione del terrorismo, qualora adottata”.
L’incapacità dell’Onu di identificare il terrorismo ha conseguenze concrete. Nell’ultimo mese il Consiglio di Sicurezza ha dovuto affrontare l’incursione terroristica nella scuola di Beslan, in Russia (326 morti e 727 feriti su una popolazione di 143.800.000 abitanti), e il doppio attentato suicida a Be’er Sheva, in Israele (16 morti e 100 feriti su una popolazione di 6.200.000 abitanti). Sul doppio attentato a Be’er Sheva il Consiglio di Sicurezza è rimasto bloccato e nessuna “dichiarazione presidenziale” è stata possibile. Al suo posto c’è stata una comunicazione alla stampa secondo la quale “membri del Consiglio” (cioè, non tutti) condannavano le esplosioni insieme “a tutti gli altri atti di terrorismo” (cioè, insieme alle azioni anti-terrorismo israeliane).
Durante il dibattito, i membri del Consiglio di Sicurezza Algeria e Pakistan hanno mantenuto una “posizione di principio”: non devono esserci due pesi e due misure, nessun singolo atto di terrorismo deve essere preso a sé, non vi devono essere espressioni di condanna selettive. Questo avveniva il 31 agosto.
Il primo settembre il Consiglio di Sicurezza adottava una “dichiarazione presidenziale” a nome di tutto il Consiglio riguardante la scuola di Beslan. Essa condannava con forza l’attacco terrorista, esprimeva la più profonda simpatia per il popolo e il governo della Russia e sollecitava tutti gli stati a cooperare con le autorità russe affinché fossero consegnati alla giustizia gli autori, i mandanti e gli sponsor di quell’atto terroristico.
Naturalmente il Consiglio non avrebbe potuto lanciare gli stessi appelli quando s’era trattato di vittime israeliane perché gli autori, i mandanti e gli sponsor del terrorismo palestinesi partono da Yasser Arafat per arrivare fino a Damasco e a Teheran.
Ma che ne è stato della risoluzione 1373?
Le disposizioni legali della risoluzione sono notevoli: “evitare di fornire qualunque supporto, attivo o passivo, a enti o persone coinvolte in atti di terrorismo”; “…adottare le misure necessarie per impedire che vengano commessi atti di terrorismo”; “…negare rifugio sicuro a coloro che finanziano, pianificano, appoggiano o commettono atti di terrorismo”; “…impedire a coloro che finanziano, pianificano, agevolano o commettono atti di terrorismo di usare il proprio territorio per i loro scopi contro altri stati e i loro cittadini”.
Per attuare questi impegni, la 1373 ha dato vita a una Commissione Anti-Terrorismo (CTC). Da allora la Commissione ha partorito 517 rapporti su tutte le alacri azioni messe in campo dagli stati per applicare la risoluzione. Tra questi rapporti, quello recente dalla Siria, che – ricordiamo – è sede degli uffici centrali di Hamas, Fronte Popolare palestinese e di altri gruppi che figurano nella lista delle organizzazioni terroristiche straniere stilata dal Dipartimento di Stato americano. Il rapporto informa il Consiglio di Sicurezza “sulle procedure e sulle misure adottate e applicate nella Repubblica Araba di Siria per sopprimere… e prevenire i crimini terroristici e… negare loro rifugio sicuro, assistenza e qualunque forma di aiuto in territorio siriano”.
Un vero e proprio universo parallelo. Un universo nel quale la Commissione Anti-Terrorismo, il principale organismo preposto dall’Onu a reagire all’11 settembre, non ha mai saputo indicare per nome una sola organizzazione terroristica, un solo individuo terrorista, un solo stato sponsor del terrorismo.
Un’altra commissione Onu venne creata nel 1999 sulla base della risoluzione 1267 del Consiglio di Sicurezza in reazione ad Al-Qaeda e ai Talebani. La cosiddetta “commissione sanzioni” non è mai riuscita a mettersi d’accordo su quali fossero gli stati che non ottemperano ai loro doveri, e non è mai riuscita a fornire al Consiglio un elenco degli stati fuorilegge, perché si potessero promuovere ulteriori azioni.
Ah, certo, nell’altro campo dei paesi Onu si trova quasi tutto il resto del mondo: paralizzato, intimidito o veementemente impegnato a fare comizi sul multilateralismo delle Nazioni Unite quale unico mezzo adatto per portare avanti la lotta contro il terrorismo.

(Da: Jerusalem Post, 23.09.04)

Nella foto in alto: Anne Bayefsky, autrice di questo articolo

Di Anne Bayefsky, vedi anche:
I diritti umani che la Corte dell’Aja non vede

http://israele.net/prec_website/analisi/26024bay.html