Un incontro senza fine

La poesia israeliana e la canzone

Di Sara Ferrari

Sara Ferrari, autrice di questo articolo

Sara Ferrari, autrice di questo articolo

Immaginate di accendere la radio mentre vi recate in auto al lavoro o vi fate la doccia o cucinate. Immaginate che la stazione da voi prescelta trasmetta il vostro cantante preferito mentre canta versi di Giacomo Leopardi o di Eugenio Montale o di Salvatore Quasimodo e, per di più, in maniera del tutto naturale, non per il desiderio di esplorare ambiti di norma lontani dalla canzone o per un singolare vezzo intellettuale. Immaginate poi che questi versi diventino canzoni ascoltate e predilette da un vastissimo pubblico, al punto da entrare a far parte della cultura popolare del Paese. Probabilmente questa situazione sarebbe impensabile in Italia e nella maggior parte delle nazioni occidentali, ma è, invece, di assoluta normalità in Israele, dove, nel corso dei decenni, i testi dei principali poeti di lingua ebraica sono stati messi in musica e trasformati in canzoni di successo. Come scrive la studiosa Yael Reshef

l’intimo rapporto che nella cultura ebraico-israeliana lega la canzone e la poesia sembra non avere paragoni nelle culture occidentali contemporanee. La poesia ebraica di tutte le generazioni, dalla Bibbia fino ai nostri giorni, è, infatti, parte integrante delle canzoni cantate da tutti, sia dal pubblico sia da cantanti e gruppi professionisti. Gli israeliani, anche quanti non leggono la poesia, conoscono a memoria centinaia di versi appresi dalle canzoni. (In “La poesia e la canzone nella cultura ebraica contemporanea”, A Oriente: Rivista italiana di lingue e culture orientali 14, 2010, p. 53)

E ancora:

È opportuno sottolineare che non si tratta di canto artistico, che è invece un fenomeno molto marginale nella cultura israeliana odierna. Quest’osservazione riguarda la musica popolare, conosciuta e ascoltata da tutti. Di conseguenza, la poesia ebraica è parte integrante del mondo culturale di ogni israeliano. (Id.)

Certo, oggi, nel 2014 anche in Israele i tempi sono un po’ cambiati e il mercato discografico, pur nelle sue dimensioni piuttosto ridotte, è estremamente variegato e simile a quello di altri paesi di cultura occidentale. Ciononostante, il profondo legame esistente tra la poesia israeliana e la canzone non è destinato ad appassire e, tra alcuni momenti di grande ricchezza e altri di leggera flessione, tra cambiamenti di varia natura, esso permane tutt’oggi. L’ha dimostrato anche Noa, artista di fama ormai internazionale, la quale nel 2011 ha inciso insieme alla Israel Philarmonic Orchestra l’album Eretz. Shir. Israeli Songbook, dove sono incluse alcune tra le più note liriche trasformate in canzone della storia della musica israeliana. Non si tratta certo della prima volta che Noa esplora il territorio della poesia. La cantante di origine yemenita ha, infatti, iniziato la sua carriera nel 1993 cantando i versi delle poetesse Rachel e Lea Goldberg, come testimonia il suo primo lavoro, Achinoam Nini ve-Gil Dor. Achinoam Nini and Gil Dor, quasi interamente basato su testi poetici. Per non dimenticare il poeta forse più importante degli ultimi anni, Shimon Adaf, che ha scritto testi per il gruppo Knessiat Ha-sekhel e ha messo in musica egli stesso alcune sue poesie, scegliendo, talvolta, persino ritmi elettronici. O ancora, sono una prova di questo fenomeno le numerose antologie presenti sul mercato discografico israeliano, che raccolgono le versioni musicali delle liriche dei maggiori poeti. Si tratta, insomma, di un vincolo saldo e fecondo, che da decenni alimenti la cultura israeliana. Quali sono però le ragioni di questo legame?

È innanzitutto la lingua ebraica stessa a consentire la relazione tra poesia e canzone. In ebraico, infatti, esiste un unico vocabolo per definire entrambi i tipi di componimento ed è la parola “shir”. Ciò testimonia senza dubbio il profondo e antico rapporto esistente nella cultura ebraica tra la parola scritta e il canto, la melodia. Del resto, anche la Bibbia non viene semplicemente letta, ma, al contrario, viene cantata o, meglio, “cantillata”, per usare il termine di uso comune in questi casi. Oltre a quest’aspetto linguistico-culturale, vi sono anche motivazioni storico-sociali. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, i pionieri ebrei giunti nella Palestina Ottomana e Mandataria per ricostruire la patria ebraica e, con essa, le proprie vite avevano necessità di nuove canzoni. Dovevano, infatti, sostituire quelle che avevano lasciato in Europa le quali, naturalmente, non erano adatte a descrivere l’esistenza rinnovata che si accingevano ad abbracciare nella Terra dei Padri. Così si attinse per la prima volta alla poesia, ad esempio dai testi di Chayim Nachman Bialik, il poeta nazionale o, poco più tardi, dalle opere della già citata Rachel. Le poesie scelte per essere messe in musica e cantate spesso celebravano un sentimento d’amore profondo verso la Terra d’Israele, esaltandone la bellezza estatica. In queste e altre canzoni gli abitanti dello Yishuv trovarono dunque sovente uno specchio della propria condizione e sentirono legittimati gli sforzi immani che stavano compiendo. Durante gli anni ’30 e ’40 vi furono poi casi del tutto particolari, come quelli dei poeti Natan Alterman e Avraham Shlonsky, celebri esponenti del Modernismo ebraico. Essi, infatti, furono anche autori di numerose canzoni, spesso leggere e divertenti (sono memorabili, ad esempio, Te ve-orez yesh be-Sin di Avraham Shlonsky, che descrive le gioie e i dolori del pioniere ebreo, e Miriam Bat-Nissim di Natan Alterman), ma vollero differenziare le due forme di scrittura, lasciando le loro liriche in un ambito ben distinto.

Il poeta Natan Alterman (1910-1970)

Il poeta Natan Alterman (1910-1970)

Ciononostante, Natan Alterman in particolare era evidentemente destinato a entrare nella canzone israeliana con la sua poesia, malgrado essa sia così ricercata e, spesso, di difficile comprensione anche per i critici più sottili. Fu, infatti, nel 1969 che, in concomitanza con una nuova, sensibile ondata di canzoni basate sulla poesia ebraica contemporanea, la cantautrice Naomi Shemer scrisse una melodia per una delle liriche più celebri (e oscure) di Natan Alterman, Pgishah leeyn qetz, “Un incontro senza fine”, pubblicata trent’anni prima nella raccolta Kokhavim bachutz. È un testo misterioso e incantevole, tenero e, al tempo stesso, brutale, che canta l’amore tormentato del protagonista per un soggetto femminile, il quale potrebbe essere la donna da lui amata ma, secondo alcuni, anche la poesia o la Terra d’Israele.

Sei tempesta in me, perciò in eterno io ti canto,
vane son le mura e i cancelli che t’innalzo!
A te la mia brama, a me il tuo giardino,
A me il mio corpo, febbrile tronco inane.

D’ogni libro tu il peccato e la sentenza,
D’un tratto e sempre tu, che atterri gli occhi miei,
su strade di guerra, grondanti sere di lampone
in covoni tu muto mi avvolgerai.

Chi rifugge, no, non scendere a implorare,
io soltanto andrò tra le tue terre vagando.
Non domanda nulla questa mia preghiera,
è una sola e dice: “prendi, ogni cosa è tua”.

Più in là della pena, più in là della notte,
in strade d’acciaio deserte e infinite,
di offrire ai tuoi nati il mio dio m’ha comandato
mandorle e uva passa dalla mia povertà.

La tua mano ancora il nostro cuore stringe,
non aver pietà se, stanco, la sua corsa cessa.
Non lasciare che la tenebra vi regni,
simile a una stanza che stelle non ha più.

Là arde la luna, come il bacio d’una cuoca
Là un madido cielo della sua tosse risuona
Là il sicomoro mi porge un ramo come un velo
e, inchinandomi,
lo coglierò.

E so bene che, al suono del tamburo,
in città di porto, sorde e grevi di dolore,
un giorno cadrò, il capo mio ferito,
e il nostro sorriso tra i carri spiccherò.

Il cantante Arik Einstein (1939-2013)

Naomi Shemer trasformò dunque questa poesia in canzone, eseguendola lei stessa, in verità senza risultati particolarmente entusiasmanti. Dopo di lei la interpretarono, con maggiore successo, cantanti di tutto rispetto quali Benny Amdursky, Chava Alberstein e Yigal Bashan, e molti altri. A testimonianza del fascino infinito che questa poesia ancora oggi esercita sul pubblico e sugli artisti, ancora nel 2000 il compositore Yonatan Bar Giora ha scritto una nuova melodia, che l’indimenticato Yossi Banay ha utilizzato per recitare il testo. Tuttavia, un interprete su tutti ha prestato la propria voce ai versi di Natan Alterman riuscendo a esprimerne in pieno la bellezza e la grazia sofferente: Arik Einstein. Nato nel 1939 e morto improvvisamente nel 2013, Einstein ha attraversato la storia musicale d’Israele, offrendole un contributo senza pari. Insieme a Shalom Hanoch, Arik Einstein è stato soprattutto un pioniere del rock, ma la sua voce rimane, comunque, strettamente legata alla poesia israeliana. Sue sono, infatti, alcune delle più celebri e interpretazioni di poesie messe in musica. Einstein ha cantato testi di Chayim Nachman Bialik, Lea Goldberg, Rachel, Avraham Chalfi, oltre che di Natan Alterman, ovviamente. La sua scomparsa ha suscitato grande commozione in Israele. Con Einstein, infatti, non solo se n’è andata una voce straordinaria ma, in un certo senso, si è chiusa un’epoca. Il futuro, però, sembra ancora riservarci interessanti sorprese.

Pgishah leeyn ketz cantata da Arik Einstein (con il testo ebraico):