Una campagna elettorale sul costo della vita più che sul processo di pace

Il mondo non lo capisce, gli israeliani sì: in questo momento la soluzione a due stati non appare realistica

Di Moshe Arens

Moshe Arens, autore di questo articolo

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Un autorevole corrispondente politico tedesco arrivato in Israele per coprire le imminenti elezioni mi ha posto la seguente domanda: “Mentre il mondo fuori da Israele sembra interessarsi molto alla possibilità di un trattato di pace tra israeliani e palestinesi e ad una soluzione a due stati, questo argomento non sembra essere un tema caldo nella campagna elettorale israeliana e nel dibattito tra i suoi partiti politici. Come mai?”.

La maggior parte degli analisti politici concorderebbero con me che la ragione per cui un accordo di pace israelo-palestinese e la soluzione “a due stati” non sono le questioni centrali di questa campagna elettorale è che la stragrande maggioranza degli israeliani non crede che un tale accordo sia fattibile perlomeno nel prossimo futuro. Gli israeliani sanno bene che il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) non rappresenta tutti i palestinesi e che non è in grado di arrivare a un accordo con Israele a nome dei palestinesi. E sanno che oggi un ritiro israeliano da Giudea e Samaria (Cisgiordania) porterebbe in quei territori Hamas, e magari anche lo “Stato Islamico” (ISIS), con conseguente pericolo per i centri abitati israeliani e verosimilmente nuovi e peggiori scoppi di violenze.

Una posizione, questa, che sembra condivisa anche dal partito laburista, che in questa campagna elettorale non preme sul tasto della soluzione “a due stati” ben sapendo che la maggior parte degli israeliani la considera poco più che una pia illusione.

Questo fatto non viene pienamente colto né compreso in gran parte del mondo al di fuori di Israele, da parte di coloro che sono innamorati dallo slogan “due stati per due popoli” come di una ricetta semplice e risolutiva: uno slogan che ebbe origine proprio in Israele, per poi essere abbracciato nel corso degli anni da molte altre persone un po’ in tutto il mondo.

Politici israeliani al dibattito elettorale in tv dello scorso 26 febbraio

Politici israeliani al dibattito elettorale in tv dello scorso 26 febbraio

Ma il Medio Oriente è cambiat0 in modo sostanziale, negli ultimi anni, e ciò che a molti sembrava un’alternativa giusta e realistica oggi appare, almeno per il momento, assai poco realistica. Ciò che per anni è stato il punto centrale del disaccordo tra Likud e laburisti – come affrontare il problema palestinese – è passato in secondo piano, destinato magari a tornare alla ribalta in un momento successivo, attualmente non prevedibile.

È un dato di fatto che, tranne per aspetti secondari, in questo momento non si vedono differenze cruciali tra centro-destra e centro-sinistra in materia di sicurezza. Entrambi considerano il progetto nucleare iraniano un grande pericolo per Israele, ed entrambi ritengono che per Israele possa essere molto negativo l’accordo che sta prendendo forma nei negoziati tra Stati Uniti e Iran. La questione se il primo ministro Benjamin Netanyahu dovesse o meno accettare l’invito del presidente della Camera dei Rappresentanti a tenere un discorso su questo tema davanti al Congresso americano non è poi di così grande rilevanza. Chi conosce le relazioni tra Stati Uniti e Israele sa che, in ogni caso, continuano ad essere eccellenti.

Una certa sintonia fra laburisti e Likud in materia di sicurezza è cosa recente, giacché in passato non è sempre stato così. Basta ricordare gli sfortunati accordi di Oslo con Yasser Arafat, promossi dai laburisti. Poi ci fu il ritiro unilaterale dalla fascia di sicurezza nel Libano meridionale, con l’abbandono dell’Esercito del Libano del Sud alleato di Israele, cosa che portò al rafforzamento di Hezbollah schierato a ridosso del nostro confine. Pochi mesi dopo scoppiò la seconda intifada, con la sua ondata di stragi terroristiche nel cuore delle città israeliane, mentre cresceva gradualmente ma inesorabilmente la minaccia di razzi e missili su tutta la popolazione civile israeliana. Oltre a tutto questo, c’era la dichiarata volontà di cedere le alture del Golan alla Siria e la Cisgiordania ad Arafat. Tutti questi eventi non sono temi discussi nell’attuale campagna elettorale, ma hanno lasciato in molti elettori la netta sensazione che la sinistra israeliana non abbia risposte chiare sul tema della sicurezza.

Ecco perché i temi forti della campagna elettorale di quest’anno sono il costo degli alloggi, il costo della vita e gli affari domestici di casa Netanyahu, mentre la soluzione “a due stati” resta sullo sfondo.

(Da: Ha’aretz, 2.3.15)