Uno Stato bi-nazionale? Proprio qui?

Qualcuno crede davvero che i palestinesi rinuncerebbero al loro stato arabo?

di Alexander Yakobson

image_2810Dal momento che la spartizione in due Stati fattibili non è più possibile, chiunque creda nell’eguaglianza non ha altra scelta che sostenere la creazione di un unico Stato bi-nazionale che si estenda dal mar Mediterraneo al fiume Giordano. È quello che sostiene Meron Benvenisti (uno di quegli intellettuali israeliani molto ascoltati all’estero che aderiscono completamente alle posizioni palestinesi).
Secondo me, è vero esattamente il contrario. Giacché è chiaro che lo Stato che Benvenisti raccomanda al posto di Israele non sarà una democrazia bi-nazionale, chiunque creda nell’eguaglianza (all’opposto di chi crede nella pura e semplice resa alle pretese del nazionalismo arabo) deve aderire al principio “due Stati per due popoli”: una soluzione senza altro possibile purché entrambe le parti la vogliano veramente. Sì, anche la parte palestinese, il cui contributo all’attuale situazione Benvenisti si guarda bene dall’analizzare.
Lo “Stato unico” di cui si discute sarebbe uno Stato con una solida maggioranza arabo-islamica (che verrebbe rapidamente conseguita approfittando del cosiddetto “diritto al ritorno”) piantato nel cuore del mondo arabo-islamico. Per credere che questo Stato sarebbe realmente bi-nazionale bisogna supporre che il popolo arabo-palestinese accetterebbe, nel lungo periodo, di essere l’unico popolo arabo il cui Stato non ha un carattere nettamente arabo e non viene ufficialmente definito come uno “Stato arabo” e come parte del “mondo arabo”. E bisogna supporre che Fatah e Hamas acconsentirebbero a questa concessione, che nessun popolo arabo ha mai fatto a beneficio delle tante minoranze autoctone del Medio Oriente; e che lo farebbero a beneficio di quel “trapianto straniero” sionista la cui stessa presenza è da loro considerata un’invasione colonialista.
Per capire quanto sia assurdo un tale scenario non occorre nemmeno porsi complicate domande sulla democrazia e sull’attitudine verso le minoranze che caratterizzano il mondo arabo e la società palestinese. Basta solo ascoltare i discorsi che fanno tutti i soggetti rilevanti nell’opinione pubblica araba e palestinese: anche quelli che dichiarano di aderire alla democrazia, giurano sempre fedeltà all’arabismo.
Perché esista uno Stato bi-nazionale non basta che gli ebrei rinuncino al loro Stato ebraico; è necessario che anche gli arabi rinuncino allo Stato arabo in Palestina che esisterebbe dopo la cancellazione dello Stato sionista. Lo Stato bi-nazionale è una forma di governo assai rara nel mondo democratico e del tutto inesistente in Medio Oriente. Non v’è ragione di credere che questa innovazione verrebbe introdotta proprio qui a beneficio, guarda caso, proprio dei sionisti. E nulla che fosse scritto nella costituzione di questo ipotetico Stato sarebbe di alcuna utilità, a fronte del reale rapporto di forze che si verrebbe ad instaurare dentro e attorno a questo Stato. Abbiamo già visto come sono finite tutte queste costituzioni.
In realtà, nessuno finora è stato capace di dare un risposta ragionevole, egualitaria e non sciovinista alla domanda: perché mai l’aspirazione del popolo ebraico alla propria indipendenza nazionale sarebbe meno legittima dell’aspirazione all’indipendenza di altre nazioni?
Ma, a parte il dibattito ideologico sulla questione, resta il fatto che l’alternativa allo Stato ebraico proposta da quelli come Benvenisti semplicemente non esiste. Anche chi non è per nulla interessato al successo del nazionalismo ebraico, o di qualunque nazionalismo, deve ammettere – se è onesto con se stesso – che, nelle attuali condizioni, il perdurare dell’esistenza dello Stato di Israele, con i suoi tanti difetti e i suoi enormi benefici, è l’unico modo per garantire il massimo di libertà e di eguaglianza e il massimo di benessere per il massimo numero di persone possibile. E non ci riferiamo soltanto al bene dei cittadini ebrei dello Stato. Infatti, ciò che suggerisce di fare Benvenisti a tutti gli arabi di Israele è la cosa che inorridisce gli abitanti della città arabo-israeliana di Umm al-Fahm quando viene loro proposta: trasferire la loro città sotto governo palestinese.
L’affermazione che gli insediamenti avrebbero reso irreversibile l’occupazione, e che dunque non si potrebbe sfuggire a uno Stato bi-nazionale, si basa interamente sul presupposto che una minoranza ebraica non possa in alcun modo esistere all’interno di uno Stato arabo palestinese. Dopotutto i palestinesi non hanno il “problema demografico”: una larga maggioranza araba sarebbe in ogni caso garantita, all’interno del loro Stato, anche se i coloni o perlomeno una parte di essi dovessero restare sotto quella sovranità. Perché i Benvenisti non suggeriscono mai questa soluzione? Evidentemente non hanno molta fiducia nella possibilità di una dignitosa convivenza fra una maggioranza araba e una minoranza ebraica dentro lo stesso Stato, anche se poi è proprio in nome di questo ideale che propongono di abolite lo Stato di Israele.
In effetti vi sono ottime ragioni per essere scettici in materia, alla luce delle amare esperienze in tutta la regione. Se mai esiste una possibilità per questo genere di convivenza, essa dipende dal fatto che esista uno Stato ebraico a fianco del paese dove questo esperimento avrebbe luogo. E questo Stato ebraico deve essere disposto ad accogliere qualunque ebreo la cui vita all’esterno diventasse impossibile (come è accaduto agli ebrei un po’ in tutto il mondo arabo).
La soluzione pertanto è e resta quella della divisione della terra in due Stati, basata sul principio che una minoranza ebraica possa esistere nello Stato palestinese (come esiste una consistente minoranza araba dentro lo Stato d’Israele): un principio che disinnescherebbe la mina dell’irreversibilità dell’occupazione, quella irreversibilità che era proprio ciò che una parte degli insediamenti voleva imporre ai due popoli.

(Da: Ha’aretz, 29.1.10)

Nella foto in alto: Alexander Yakobson, autore di questo articolo