A quando una spedizione di Galloway in Somalia?

Da 60 anni agenzie Onu e ong perpetuano la dipendenza dei palestinesi come profughi eterni

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2716Esiste un eloquente paragone tra l’“assedio” della striscia di Gaza e ciò che sta accadendo in Somalia, dove la scorsa settimana il World Food Program si è trovato costretto ad abbandonare un milione di persone martoriate a causa dei miliziani islamisti che rendono impossibile il lavoro del suo personale. I jihadisti somali al-Shabab accusano i cooperanti del World Food Program di essere spie al servizio degli infedeli, e per questo hanno ne hanno assassinato un certo numero (42 solo negli anni 2008-09). In realtà sono furibondi perché il World Food Program non paga il pizzo per la loro “protezione”. Complessivamente sono tre milioni i somali che dipendono dagli aiuti del World Food Program, ma ciò che è particolare è straziante sono le sofferenze di 285.000 bambini gravemente malnutriti.
Naturalmente il World Food Program opera anche nei “Territori Occupati Palestinesi”, vale a dire nelle aree dove i palestinesi si rifiutano di creare lo stato indipendente e smilitarizzato che è stato loro offerto da tutti, Israele compreso. Il World Food Program, sebbene non per sua colpa, fa parte di tutta una rete di enti internazionali che di fatto promuovono fra i palestinesi un’eterna dipendenza, anziché cercare di superarla. Da più di sessant’anni le agenzie dell’Onu avallano la caparbietà con cui il mondo arabo vuole che i fratelli palestinesi rimangano nella condizione di profughi perpetui.
A differenza dei somali, i palestinesi hanno avuto la fortuna di avere come nemici i sionisti: altrimenti come potrebbero attirare celebrità della politica come, da ultimo, il parlamentare britannico George Galloway, e superstar delle campagne di solidarietà anti-israeliana come Hedy Epstein, dell’International Solidarity Movement: una signora di 85 anni che fa lo sciopero della fame dopo essere “sopravvissuta” alla Shoà… a Londra (dove era arrivata nel 1939 con il famoso kindertransport)?
La processione “Viva Palestina” di Galloway è partita da Londra il 6 dicembre ed è arrivata la scorsa settimana ad El-Arish, dove il parlamentare ha subito litigato con gli egiziani su quanti veicoli potessero entrare a Gaza dal Sinai. Poliziotti e attivisti si sono tirati la sabbia addosso a vicenda e si sono presi a bastonate. Lo show di “Viva Palestina” era coordinato con Hamas (versione palestinese degli al-Shabab), che aveva bisogno di un pretesto per orchestrare una mini “intifada” contro la barriera anti-contrabbando che il Cairo ha tardivamente iniziato a installare sotto il Corridoio Philadelphia (al confine fra Sinai e striscia di Gaza). Sul versante di Gaza del confine i palestinesi hanno sparato e ucciso un agente egiziano, mentre altri agenti aprivano il fuoco sugli agitatori palestinesi ferendone almeno cinque in modo grave.
Mercoledì sera l’Egitto ha permesso a Galloway e a 55 suoi compagni di viaggio di entrare a Gaza “fasciati, sanguinati e coperti di lividi perché cercavano di portare medicinali al popolo di Gaza sotto assedio”, come ha dichiarato l’intrepido parlamentare britannico.
Peccato che Galloway ed Epstein, insieme con la copertura minuto per minuto della tv Al-Jazeera che hanno generato, non abbiano indirizzato il loro convoglio di 150 camion e 500 attivisti internazionali – per lo più europei molto compiaciuti di sé, ma anche 17 parlamentari turchi – dritto dritto in Somalia, a sopraffare gli al-Shabab.
La differenza fra Somalia e Gaza è che la popolazione della Somalia non solo si ritrova dimenticata in mezzo alle macerie: la loro disperazione semplicemente non interessa a nessuno. È gente che non dispone di nessuna possibilità di scelta. I responsabili delle loro sofferenze sono islamisti, non sionisti né occidentali – anche se naturalmente per certi euro-pacifisti anche quelle sono in qualche modo colpa degli americani.
In stridente contrasto, la popolazione di Gaza dispone di varie opzioni che porrebbero termine alle loro miserie. Potrebbero smetterla di sostenere Hamas, che arruola le loro istituzioni politiche al servizio della causa contro la coesistenza con Israele. Potrebbero fare la pace fra di loro e permettere alla dirigenza relativamente più moderata della Cisgiordania – riconosciuta dalla comunità internazionale – di tornare nella striscia di Gaza. Potrebbero lasciar andare il soldato israeliano Gilad Schalit che tengono in ostaggio dal 2006. Potrebbero smetterla di lanciare obici e razzi contro la popolazione civile israeliana, come invece hanno fatto a più riprese anche la scorsa settimana. Potrebbero optare per la soluzione a due Stati e accettare che anche gli ebrei abbiano diritto al loro stato nazionale in Medio Oriente. Potrebbe far finire il loro “assedio”. Potrebbero costruire, anziché crogiolarsi nelle macerie e nel vittimismo.

(Da: Jerusalem Post, 7.1.10)

Nella foto in alto: il parlamentare britannico George Galloway (a sinistra) ricevuto il 7 gennaio a Gaza dal capo locale di Hamas, Ismail Hanyieh