Benvenuti in Israele

Niente rifugi né maschere antigas nei paesi occidentali “normali”

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2510Poniamo che voi viviate in una di queste città: Oslo, Berlino, Parigi, Madrid, Amsterdam, Edimburgo, Londra, Stoccolma, Roma o Washington, e che alle 11.00 di martedì mattina tutte le sirene si siano messe a suonare. Voi siete stati avvertiti che si tratta solo di un’esercitazione: la vostra città non è attaccata da missili balistici né da razzi a lunga gittata; il vostro paese non ha in programma di attaccare nessuno, né vi sono informazioni di intelligence che indichino che sia obiettivo di un imminente attacco. Ciò nondimeno, l’urlo delle sirene – uno strumento curiosamente anacronistico, nel XXI secolo – turba profondamente. Naturalmente voi fate come vi è stato detto, e cercate il rifugio antiaereo più vicino o vi andate a sistemare in una delle camere di sicurezza in cemento armato comuni in tutti gli edifici costruiti a partire dagli anni ’90. Sui posti di lavoro circola un po’ di umorismo nero, mentre i colleghi si incamminano verso i rifugi. Nelle scuole, i vostri bambini si dirigono verso i rifugi, accompagnati dagli insegnanti. E potreste essere colti dal pensiero che le autorità siano state un po’ imprudenti a raccogliere, per aggiornarle, quelle scatolette di cartone con tracolla di plastica contenenti maschere antigas e antidoti contro armi chimiche.
Naturalmente, se vivete davvero in una delle capitali menzionate, un simile scenario va oltre l’inverosimile: niente rifugi antiaerei, niente camere di sicurezza, niente maschere antigas. Non c’è nessuno che minaccia di cancellare dalla carta geografica la Svezia, la Germania, la Scozia o un qualunque altro paese. Non vi sono missili balistici Sajil II puntati verso di voi. Il vostro paese non è stato recentemente colpito da cinquemila razzi nel corso di una sola estate, non condivide un confine con un paese che schiera missili Scud C e D, e l’idea che dei missili armati con armi di distruzione di massa possano esplodere sulla vostra testa semplicemente supera ogni immaginazione. Sebbene degli estremisti islamici abbiano effettivamente colpito in Spagna, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, la sensazione che incombano ulteriori minacce di questo genere o peggiori non è molto sentita. Ecco perché nessuno viene sottoposto a controlli di sicurezza prima di entrare in un supermercato, in un centro commerciale o in un cinema. Ecco perché non vi sono guardie armate davanti alle vostre scuole.
Noi israeliani viviamo in una realtà molto diversa.
Questo dato di fatto è stato reso con chiarezza dalle parole con cui il primo ministro Benjamin Netanyahu ha illustrato al governo, domenica scorsa, la vasta esercitazione civile della durata di una settimana attualmente in corso. È una esercitazione “di routine”, ha spiegato, una cosa che il paese fa ogni anno, aggiungendo che essa “rispecchia il modo particolare in cui noi viviamo qui, che, a rifletterci bene, non è affatto di routine”.
Si vuole capire qualcosa della psicologia israeliana? Si consideri che, quando è nato il nostro paese, coloro con cui cercavamo di condividere questa terra rifiutarono il nostro diritto di esistere. Anche se abbiamo creato un paese tecnologicamente avanzato e occidentalizzato, e abbiamo fatto la pace con Egitto e Giordania, la nostra “normalità” richiede ancora che tutti i ragazze e le ragazze, dopo la maturità, anziché andare all’università o prendersi un anno “sabbatico”, si sottopongano a duri anni di addestramento militare. Per tutti gli anni ’50 e ’60, quando non c’erano né occupazione né insediamenti, il nostro paese è stato sempre sotto attacco. Un esempio per tutti: il 17 marzo 1954 un commando di terroristi tese un’imboscata a un autobus di pendolari sulla linea Eilat-Tel Aviv: prima assassinarono il conducente, poi continuarono sparando a uno a uno a tutti i passeggeri. Negli anni ’70, dopo aver sostenuto anni di guerra d’attrito, respingemmo un attacco sferrato a sorpresa nel giorno più solenne del calendario ebraico, il giorno di Kippur. Negli anni ’80 combattemmo dure guerre in Libano per sventare gli attacchi alla nostra frontiera settentrionale. Negli anni ’90 firmammo gli Accordi di Oslo con la dirigenza palestinese. E dopo? Dopo morirono più israeliani in attentati terroristici di quanti ne fossero mai morti negli anni precedenti. Gli sforzi per arrivare a un composizione con un sistema politico palestinese violentemente frammentato si sono dimostrati vani. I “moderati” appaiono non meno inflessibili dei fanatici. Abbiamo beccato i siriani, nostri vicini settentrionali, che costruivano un impianto nucleare clandestino sotto tutela della Corea del Nord. E non fanno mistero di ospitare il politburo di Hamas, facendo pressione su di esso affinché si opponga anche solo a una pausa tattica nella sua belligeranza anti-israeliana. Hezbollah domina sugli affari libanesi e garantisce all’Iran la presenza di truppe d’assalto lungo il nostro confine.
E poi c’è l’Iran, che entro la fine di quest’anno potrebbe aver arricchito abbastanza uranio da fabbricate una bomba nucleare. Mahmoud Ahmadinejad, mentre ci minaccia di annichilimento, insiste nel negare che i nazisti si siano mai dati alla distruzione sistematica dell’ebraismo europeo. Eppure viene ricevuto con tutti gli onori nei forum delle Nazioni Unite e gli europei sussidiano spudoratamente i commerci col suo paese.
Questa è la nostra realtà, quella che tanti di noi si sono trovati a considerare martedì mattina, alle 11.00, quando le sirene hanno iniziato a suonare.

(Da: Jerusalem Post, 2.06.09)

Nella foto in alto: Esercitazione anti-missilistica in una scuola israeliana