Israele disarmato

La campagna internazionale mira a privare lo stato ebraico di qualsiasi legittima forma di auto-difesa.

Di Charles Krauthammer

image_2857Il mondo è indignato per il blocco israeliano sulla striscia di Gaza. La Turchia lo denuncia come illegale, barbaro, disumano ecc. I soliti noti delle Nazioni Unite – terzo mondo e paesi europei – si uniscono al coro. L’amministrazione Obama tentenna.
Ma, come ha scritto Leslie Gelb, già presidente del Council on Foreign Relations, il blocco non solo è perfettamente razionale, ma è anche perfettamente legale. La striscia di Gaza sotto Hamas è un nemico dichiarato di Israele: dichiarazione sostenuta da più di quattromila razzi lanciati sui civili in territorio israeliano. Pur essendosi votata ad una incessante belligeranza, Hamas fa la vittima quando Israele impone un blocco per impedirle di rifornirsi di armi e di sempre più razzi e missili.
Durante la seconda guerra mondiale, nel pieno rispetto del diritto internazionale, gli Stati Uniti imposero un blocco a Germania e Giappone [e un blocco marittimo si esercita per definizione anche nelle acque internazionali, con diritto di perquisizione, previo avvertimento, anche su mercantili di paesi terzi diretti verso il paese nemico]. Durante la crisi dei missili dell’ottobre 1962 gli Stati Uniti imposero un blocco a Cuba (chiamato “quarantena”). Eppure Israele viene condannato come un criminale internazionale perché fa esattamente ciò che fece John Kennedy: imporre un blocco navale per impedire a un paese ostile di acquisire armi letali.
Oh, ma le navi dirette a Gaza non erano in missione di soccorso umanitario? No, non lo erano. Altrimenti avrebbero accettato l’offerta israeliana di sbarcare il carico di aiuti in un porto israeliano perché fosse ispezionato riguardo a materiali di uso militare, per poi essere trasferito coi camion da Israele nella striscia di Gaza – come avviene ogni settimana per diecimila tonnellate di alimenti, medicinali e altre forniture umanitarie inviate da Israele nella striscia di Gaza. Perché hanno rifiutato l’offerta? Perché, come ha ammesso l’organizzatrice Greta Berlin, l’iniziativa non aveva a che fare con il soccorso umanitario bensì con l’obiettivo di spezzare il blocco, cioè porre fine al potere di controllo di Israele, il che significherebbe rifornimenti senza limiti nella striscia di Gaza e dunque anche riarmo senza limiti di Hamas.
Israele ha intercettato già due volte delle navi cariche di armamenti iraniani dirette agli Hezbollah libanesi e a Gaza. Quale paese permetterebbe una cosa del genere? Ma, cosa ancora più importante, come mai Israele è costretto a ricorrere al blocco su Gaza?
Il blocco è in realtà un ultimo ripiego, dal momento che il mondo sistematicamente toglie legittimità a tutte le strategie difensive d’Israele, attive e passive.
1. Difesa avanzata. Israele – un paese piccolo, densamente popolato, circondato da stati ostili – nel suo primo mezzo secolo di vita aveva adottato una strategia di difesa avanzata, puntando cioè, in guerra, a portare immediatamente il teatro dei combattimenti all’interno del territorio nemico (come la penisola del Sinai e le alture del Golan), anziché combattere sul proprio territorio. Quando possibile (è il caso dei Sinai), Israele ha barattato questi territori in cambio di pace. Ma dove le offerte di pace sono state rifiutate, ha trattenuto i territori come zona-cuscinetto di protezione. Così trattenne a lungo una piccola striscia di terra nel Libano meridionale per proteggere le comunità civili del nord di Israele. E incassò molte perdite a Gaza, piuttosto che esporre le comunità civili di confine agli attacchi terroristi palestinesi. Tuttavia, sotto schiaccianti pressioni esterne, Israele ha poi ceduto. Agli israeliani venne detto che quelle occupazioni non solo erano illegali, ma che erano la radice delle insurrezioni anti-israeliane, e che pertanto il ritiro, rimuovendo la causa dei conflitti, avrebbe portato la pace. Terra in cambio di pace, ricordate? Ebbene, nel corso degli ultimi dieci anni Israele ha dato terre, sgomberando il Libano meridionale nel 2000 e la striscia di Gaza nel 2005; e cosa ha avuto in cambio? Intensificazione della belligeranza, pesante militarizzazione sul versante nemico, ripetuti sequestri e prese di ostaggi, attacchi al di qual della frontiera e, da Gaza, anni e anni di incessanti lanci di razzi.
2. Difesa attiva. Allora Israele è passato alla difesa attiva: azioni militari che – per usare le parole del presidente Barack Obama a proposito della campagna contro talebani e al-Qaida – puntano a “demolire, smantellare e sconfiggere” i nuovi mini-stati terroristi ben armati, sorti nel Libano meridionale e nella striscia di Gaza dopo i ritiri israeliani. Risultato? La seconda guerra in Libano dell’estate 2006 e l’operazione nella striscia di Gaza del gennaio 2009: sommerse a loro volta da una valanga di infamie e calunnie da parte di quella stessa comunità internazionale che aveva reclamato i ritiri all’insegna dello slogan “terra in cambio di pace”. Peggio: il rapporto Goldstone dell’Onu, che essenzialmente criminalizza l’operazione difensiva israeliana nella striscia di Gaza ignorandone il casus belli – cioè la antecedente e non provocata guerra dei razzi di Hamas – ha di fatto delegittimato qualsiasi difesa attiva israeliana contro i suoi nemici terroristici dichiarati.
3. Difesa passiva. Senza difesa avanzata né difesa attiva, a Israele non è rimasto che ricorrere al più passivo e inoffensivo di tutti gli strumenti difesivi: un blocco, volto semplicemente a impedire che il nemico si riarmi. Eppure, nel momento in cui scriviamo anche questo sembra condannato alla delegittimazione internazionale.
Ma se nessuna di queste strategie è permessa, cosa resta? Niente. È chiaro dunque che tutto il senso di questa implacabile campagna internazionale è semplicemente quello di privare lo stato nazionale del popolo ebraico di qualsiasi legittima forma di auto-difesa.
Il mondo è stufo di questi noiosi ebrei, giusto sei milioni – di nuovo quel numero – ostinatamente aggrappati su una costa del Mediterraneo, che si rifiutano di accogliere tutti i caldi inviti al suicidio nazionale. Per cui vengono implacabilmente demonizzati, ghettizzati impediti nel difendersi, anche mentre gli anti-sionisti giurati – l’Iran in particolare – ne preparano apertamente la “soluzione finale”.

(Da: Jerusalem Post, 7.6.10)