Né primavera, né araba

Le attuali vicissitudini sono la prova vivente del radioso fallimento del nazionalismo arabo.

Di Salman Masalha

image_3304La serie di vicissitudini che, per qualche ragione, è stata concordemente soprannominata “primavera araba” non è né araba né una primavera. Si potrebbe anzi affermare che è la prova vivente della crisi d’identità e del radioso fallimento del nazionalismo arabo.
Non si deve dimenticare che le “intifade” che hanno portato le masse nelle strade, hanno avuto luogo in paesi che sono stati retti da governi considerati nazionalisti, scavalcando invece le monarchie. E per una ragione piuttosto semplice. Dai primi giorni dell’islam fino alla disintegrazione dell’impero ottomano, il mondo arabo è stato governato da monarchie sottoforma di vari califfi. I primi califfi erano arabi che avevano conquistato terre e creato imperi. Nelle terre arabe, la legittimità riconosciuta ai sovrani era fondamentalmente di carattere tribale, e somigliava alla monarchia. Col tempo, il dominio arabo si è indebolito. I califfati rimasero islamici, ma i califfi non erano più di origine araba.
Il nazionalismo fu un’idea nuova. La fondazione del nazionalismo arabo conobbe due fasi: dapprima vi fu il nazionalismo beduino tradizionale, mentre il nazionalismo urbano si sviluppò solo più tardi.
Il nazionalismo tribale venne incoraggiato dalla Gran Bretagna, la potenza coloniale che cercava di assicurarsi il controllo di importanti aree sottraendole agli Ottomani. Lord Horatio Kitchener, segretario di stato britannico della guerra durante la prima guerra mondiale, perseguì attivamente questo obiettivo, adoperandosi per restaurare i califfati arabi. Lo sappiamo da questa lettera, inviata nell’agosto 1915 da Sir Henry McMahon, Alto Commissario britannico in Egitto, a Hussein bin Ali, sceriffo della Mecca. “Ci rallegriamo, inoltre, che Vostra Altezza e il vostro popolo siano di una sola opinione: che gli interessi arabi sono gli interessi inglesi e quelli inglesi, arabi. A tal fine, noi vi confermiamo i termini del messaggio di Lord Kitchener, che vi è arrivato per mano di Ali Effendi, nel quale si afferma chiaramente il nostro desiderio per l’indipendenza dell’Arabia e dei suoi abitanti, unitamente alla nostra approvazione di un Califfato Arabo, quando venisse proclamato. Dichiariamo ancora una volta che il Governo di Sua Maestà vedrebbe con favore la rinascita del Califfato ad opera di un arabo di autentica stirpe”.
La regione finì col restare senza califfato, né ottomano né arabo. Venne suddivisa fra Gran Bretagna e Francia, e gli arabi ricevettero il premio di consolazione: la Lega Araba.
La seconda fase del nazionalismo arabo si sviluppò nel contesto del ritiro delle potenze coloniali dalla regione e della Guerra Fredda. Il mondo arabo, che era stato diviso in entità “autonome”, continuava ad essere governato da fantocci controllati da lontano. Fu allora che entrò nella mischia un nuovo attore, l’Unione Sovietica, e il nuovo nazionalismo cadde nelle maglie del blocco sovietico. Questo nazionalismo venne creato con un processo artificiale. Giovani ufficiali di basso rango abusarono brutalmente della loro gente e dei loro paesi, e da questa violenza nacque un nuovo tipo di regime: un bastardo politico, nel mondo arabo, né monarchia né repubblica.
Quei governi promettevano il mondo, e orgoglio nazionale, ma la loro esistenza dipendeva essenzialmente da slogan vuoti. Tutte le loro energie erano impiegate per mantenere la presa sulle redini del potere, a qualunque costo. Ed è così che il mondo arabo è arrivato dove è oggi. Si potrebbe dire che il nazionalismo arabo, in entrambe le sue vacue forme, è stato bocciato alla prova dei fatti.
C’è un detto arabo che dice che l’uomo che sta annegando si aggrappa a corde fatte di aria. In questi giorni, le corde fatte di aria vengono gettate al mondo arabo dai successori odierni dei Kitchener e dei McMahon. Questa volta la cosa viene fatta con la collaborazione dell’islam arabo sunnita e con il rilevante contributo turco-ottomano, nella speranza che i nuovi regimi possano contrastare il sempre più potente islam sciita al timone in Iran. Ma non è che un altro Golem, che rischia di rivoltarsi contro il suo creatore.

(Da: Ha’aretz, 05.12.11)

Nella foto in alto: il poeta, scrittore e saggista arabo israeliano della comunità drusa, Salman Masalha, autore di questo articolo. Masalha, fra l’altro, insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università di Gerusalemme