Ottant’anni fa, la prima proposta due-stati-per-due-popoli: rifiutata senza mezzi termini da parte araba

Il 2017 è un anno di ricorrenze che aiutano a capire le radici dell'impasse negoziale e del conflitto

Di Jeremy Havardi

Jeremy Havardi, autore di questo articolo

Il 2017 è un anno caratterizzato da svariati anniversari utili per capire la storia di Israele in Medio Oriente. Sono trascorsi centoventi anni da quando Theodor Herzl convocò il primo Congresso Sionista per trasformare il tragico passato del popolo ebraico in un brillante futuro attraverso la fondazione di uno stato indipendente. Sono trascorsi cento anni dalla Dichiarazione Balfour con cui il governo britannico (e poi la Società delle Nazioni) dichiarava di “vedere con favore” l’emergente progetto sionista per l’autodeterminazione ebraica. E sono trascorsi cinquant’anni da quella guerra dei sei giorni durante la quale Israele, assediato e minacciato, sconfisse i vicini paesi arabi aggressori con una straordinaria dimostrazione di determinazione e di capacità militare. E sono trascorsi quarant’anni dallo storico discorso che il presidente egiziano Anwar Sadat tenne alla Knesset, rompendo l’omertà dell’intransigenza araba e aprendo la strada alla pace.

Quest’anno segna anche il 70esimo anniversario del piano di spartizione votato dalle Nazioni Unite, con cui la comunità internazionale approvava la creazione di un stato ebraico e uno stato arabo nella Palestina Mandataria: un voto che i sionisti accettarono con gioia e che il mondo arabo respinse invece senza mezzi termini. Se il mondo arabo avesse dimostrato un minimo di disponibilità, oggi i palestinesi celebrerebbero il 70esimo anniversario del loro stato indipendente.

Eppure nel 1947 l’idea di spartire la terra in due stati per due popoli non era una novità. Pochi ricordano che quest’anno ricorre un altro anniversario significativo. Ottanta anni fa, nel luglio 1937, veniva concepito il primo importante piano per una suddivisione in due stati della Palestina/Terra d’Israele, noto come Rapporto della Commissione Peel. L’affossamento di quel piano avrebbe dovuto insegnare agli statisti occidentali qualche preziosa nozione circa le vere cause dell’impasse negoziale e del conflitto.

La proposta di spartizione della Commissione Peel, 1937. In rosso, lo stato ebraico rifiutato dalla parte araba (clicca per ingrandire)

La Commissione Peel arrivò nella Palestina Mandataria britannica durante la rivolta arabe che imperversava allora nel paese. La sommossa consisteva in un’implacabile serie di sanguinose aggressioni e imboscate contro gli abitanti ebrei, scatenata e alimentata dal Grand Mufti Mohammed Amin al-Husseini, visceralmente antisemita, e dall’Alto Comitato Arabo da lui presieduto. La Commissione guidata da Lord Peel venne incaricata di studiare le cause delle violenze.

La sua conclusione fu che il “conflitto irrefrenabile” tra i movimenti nazionali arabo ed ebraico imponeva una sola possibile via d’uscita: la cessazione del Mandato britannico e la spartizione del paese in uno stato arabo e uno ebraico, più un corridoio controllato dagli inglesi tra il porto di Giaffa e il distretto di Gerusalemme. Il piano prevedeva anche uno scambio di popolazioni che avrebbe comportato lo spostamento di 225mila arabi e 1.250 ebrei. Secondo la proposta Peel, lo stato ebraico, suddiviso in due tronconi, avrebbe incluso la valle di Jezreel, la Galilea e gran parte della pianura costiera, andando a coprire meno di un sesto del paese (e meno di un quarto del Mandato originale sulle due sponde del Giordano). La speranza della Commissione era che il piano rendesse “giustizia ai diritti e alle aspirazioni sia degli arabi che degli ebrei” portando “all’inestimabile bene della pace”.

Ciò che colpisce ancora oggi è l’assoluta intransigenza del rifiuto arabo, ispirato alla più totale ostilità verso il movimento sionista, cioè verso le aspirazioni di autodeterminazione nazionale della componente ebraica della popolazione. Il primo ministro egiziano, Mostafa el-Nahhas Pasha, dichiarò che il suo paese “non poteva prendere in considerazione la prospettiva di uno stato ebraico indipendente”. Sia il re saudita che il primo ministro iracheno denunciarono la proposta di suddivisione. Quest’ultimo, in particolare, affermò che qualsiasi persona che si fosse messa alla guida di una Palestina post-spartizione “avrebbe pugnalato al cuore la stirpe araba” e “sarebbe stata considerata reietta in tutto mondo arabo”. L’Alto Comitato Arabo definì la proposta “incompatibile con le promesse fatte dal governo britannico” ed esortò gli stati arabi circostanti a dare prova di unità di fronte a tale “ingiustizia”. Quando il Mufti comparve davanti alla Commissione Peel per la sua testimonianza, mise in chiaro che la Palestina doveva essere interamente consegnata a un’entità sovrana araba, che tale entità non avrebbe assimilato popolazione ebraica e che qualunque cooperazione arabo-ebraica era impossibile.

(Da: Times of Israel, israele.net, 20.9.17)