Possibilità e pericoli

Non esistono scorciatoie per il passaggio da dittatura a democrazia.

Se ne discute in Israele: recenti commenti sulla stampa israeliana

image_3057Il JERUSALEM POST commenta le dichiarazioni contro l’estremismo islamico del primo ministro britannico David Cameron alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, e l’ondata di critiche che hanno suscitato. «Cameron in realtà è stato ben attento a fare esattamente quella distinzione che ora viene accusato di non aver fatto. A differenza della destra estrema, ha sottolineato la differenza fra “islam” ed “estremismo islamista”, e in particolare ha respinto la tesi secondo cui islam e occidente sarebbero incompatibili. Cameron ha cercato di articolare un ragionevole giusto mezzo. Mentre, infatti, la destra britannica più dura è tende a degenerare in un primitivo fascismo, ampie fasce della sinistra sembra abbiano adottato una politica culturale masochista in cui ogni sorta di pratiche antisociali – dall’imposizione del velo, ai matrimoni forzati, fino alle amputazioni genitali femminili – vengono razionalizzate, e talvolta avvalorate, in nome della religione, anche se nessuna di queste pratiche è necessariamente dettata dal Corano.»
(Da: Jerusalem Post, 8.2.11)

Scrive HA’ARETZ: «Gli sconvolgimenti in Egitto seminano ansia in Israele. Il governo del presidente Hosni Mubarak aveva rigorosamente rispettato il trattato di pace, aveva funzionato come forza stabilizzatrice nella regione e aveva sostenuto l’allargamento della cerchia degli accordi di pace ai palestinesi e agli stati confinanti. Le dimostrazioni in Egitto e la prevista fine del mandato di Mubarak suscitano a Gerusalemme il timore che il successore possa essere assai meno amichevole, se non addirittura apertamente ostile, verso Israele. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, che teme l’emergere appena al di là del confine di “un secondo Iran”, fa appello per la salvaguardia del trattato di pace con l’Egitto. Ma anziché barricarsi dietro le sue paure e scambiare accuse con l’Autorità Palestinese su chi sia responsabile per la paralisi del processo di pace, dovrebbe piuttosto dimostrare che Israele non è indifferente agli umori nella regione, che desidera sinceramente risolvere il conflitto coi palestinesi e tendere la mano al presidente siriano Bashar Assad. Netanyahu dovrebbe appoggiare l’iniziativa della Lega Araba, che ha finora ignorato: questo sarebbe il contributo d’Israele alla creazione di un nuovo Medio Oriente, democratico e stabile.»
(Da: Ha’aretz, 8.2.11)

Scrive il JERUSALEM POST: «Alla luce dei precedenti, c’è un seme di verità nel detto arabo “meglio cento anni di tirannide che un giorno di caos”, ma il continuo appoggio americano ed europeo ai tiranni arabi “stabili” li ha resi soci di governanti impopolari, compromettendo ulteriormente la capacità dell’occidente di sostenere un cambiamento costruttivo. La realtà è che non esistono scorciatoie per la transizione dalla dittatura a una libertà in stile occidentale. L’imposizione precipitosa di elezioni “quasi democratiche”, senza aver posto le basi necessarie, si è dimostrata fallimentare. L’ascesa al potere di Hamas a Gaza e di Hezbollah in Libano ne sono l’amara dimostrazione. Il problema fondamentale, e quasi irrisolvibile, dei paesi arabi è che nella maggior parte dei casi sono ancora privi delle istituzioni che formano la spina dorsale di un sistema democratico, come un sistema giudiziario corretto, un potere legislativo guidato da ideali liberali, uno stato di diritto rigoroso ed eguale, una stampa libera.»
(Da: Jerusalem Post, 27.1.11)

YISRAEL HAYOM osserva che lunedì scorso il segretario di stato americano Hillary Clinton ha detto che Washington auspica in Egitto una “ordinata transizione”, mentre solo pochi giorni prima, il 2 febbraio, il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs diceva che gli Stati Uniti vogliono un “cambiamento immediato” al Cairo. «Washington – scrive l’editoriale – ha improvvisamente capito ciò che era già abbondantemente chiaro alla maggior parte di noi: le elezioni sono la fine di un processo di democratizzazione, non l’inizio. Una conclusione corretta, anche se ci sono volute due settimane per arrivarci.»
(Da: Yisrael Hayom, 8.2.11)

Scrive YISRAEL HAYOM che, se il candidato sunnita sostenuto da Hezbollah (Najib Mikati) riuscirà a formare il prossimo governo a Beirut, «il Libano diventerà apertamente Hezbollahstan, un paese sotto controllo sciita e, peggio, sotto l’egemonia di Hezbollah e dell’Iran. In questo caso – continua l’editoriale – la Siria apprenderà rapidamente d’aver perduto il suo ruolo storico di kingmaker in Libano a vantaggio di Iran e Hezbollah», aggiungendo che è stato il «tradimento del (druso) Walid Jumblatt e del (cristiano) Michel Aoun che ha reso possibile la salita al potere di Hezbollah. Gli eventi in Libano rappresentano una sonora sberla al presidente Obama e un fallimento colossale, ancorché previsto, della politica americana nella regione. Tuttavia gli sviluppi a Beirut non comportano grandi cambiamenti per Israele giacché anche sotto Saad Hariri Hezbollah prosperava senza freni. E così ora Israele si trova attorniato da Hamastan a sud e Hezbollahstan a nord.»
(Da: Yisrael Hayom, 25.1.11)