Scoperta la più antica menzione di Gerusalemme in ebraico antico

Si trova su un frammento di papiro che risale all'epoca del Primo Tempio (VII secolo a.e.v.)

Proprio nel giorno in cui l’Unesco votava ancora una volta una risoluzione che disconosce gli storici legami fra gli ebrei e il Monte del Tempio di Gerusalemme, la Israel Antiquities Authority ha mostrato al pubblico un reperto senza eguali risalente all’epoca del Primo Tempio che contiene un riferimento esplicito a Gerusalemme.

Il rarissimo frammento di papiro risalente al Regno di Giuda (2.700 anni fa) è scritto in alfabeto ebraico antico e, allo stato attuale, costituisce la più antica menzione di Gerusalemme in scrittura ebraica da una fonte extra-biblica.

Depredato in una delle grotte del deserto di Giudea da una banda di tombaroli, il documento è stato recuperato pochi anni fa grazie a una complessa operazione dall’unità anti-ruberie della Israel Antiquities Authority che ha portato all’arresto e alla condanna di 14 membri della banda, che faceva base vicino a Hebron.

Come ha spiegato il direttore dell’Authority, Israel Hasson, sul documento di 11 cm per 2,5 realizzato in midollo di pianta di papiro si sono ben conservate due righe in ebraico antico. L’esame paleografico delle lettere e l’analisi con il Carbonio 14 hanno permesso di datare il manufatto al VII secolo a.e.v., verso la fine del periodo del Primo Tempio ebraico, facendone uno dei soli tre papiri ebraici esistenti di quel periodo, di diversi secoli più antico dei famosi Rotoli del Mar Morto. La maggior parte delle lettere sono chiaramente leggibili, e la lettura proposta del testo è: “Dalla serva [o servitrice] del re, da Na’arat, due otri di vino, a Gerusalemme”.

Gli studi hanno determinato che il reperto costituisce un documento originale di spedizione che indicava il pagamento di imposte o il trasferimento di beni ai magazzini di Gerusalemme. “Il documento – ha detto Hasson – specifica lo status del mittente (serva del re), il nome della città da cui venne spedito il carico (Na’arat), il contenuto dei recipienti (vino), il loro numero (due otri) e la loro destinazione (Gerusalemme). La Na’artah di cui parla il testo è la stessa Na’arat che viene indicata nella descrizione del confine tra i territori di Efraim e Beniamino in Giosuè 16:7 (“poi scendeva da Ianòach ad Ataròt e a Naarà, arrivava fino a Gerico e finiva al Giordano”). Che la nota sia stata scritta su papiro anziché su un più economico ostrakon di argilla è coerente con il fatto che la consegna degli otri fosse destinata a una persona di alto rango.

Parlando a una conferenza stampa, mercoledì a Gerusalemme, il biblista Shmuel Ahituv ha detto che è significativo il fatto che il testo presenti la grafia Yerushalem, quella più comune nella Bibbia nella quale, infatti, ci sono solo quattro esempi di Gerusalemme scritta con una yod in più, Yerushalayim, che è come viene pronunciata in ebraico moderno.

Eitan Klein, vice direttore dall’unità anti-ruberie, ha detto che il documento rappresenta una testimonianza estremamente preziosa dell’esistenza di un’amministrazione organizzata nel Regno di Giuda. “Il documento – ha detto Klein – conferma la centralità di Gerusalemme come capitale economica del regno nella seconda metà del VII secolo. Secondo la Bibbia, in quell’epoca governarono a Gerusalemme i re Menasse, Amon e Giosia, ma non è possibile sapere quale dei re di Gerusalemme fosse il destinatario di questa spedizione di vino”.

Grotte nel deserto di Giudea

Amir Ganor, direttore dall’unità anti-ruberie della Israel Antiquities Authority, ha spiegato che, sebbene il materiale organico particolarmente delicato, come quello dei fogli di papiro, tenda col tempo a decomporsi a causa dell’umidità, il clima secco del deserto ha contribuito a preservare questo antico documento. “Il clima del deserto è eccezionale – ha detto Ganor – in quanto permette la conservazione di documenti che forniscono informazioni preziose circa il modo di vivere nell’antichità e lo sviluppo iniziale delle religioni”.

Hasson ha aggiunto che la scoperta del papiro dimostra “che nelle grotte del deserto di Giudea vi sono sicuramente altri manufatti di enorme importanza per il nostro patrimonio, che aspettano solo di essere scoperti”. Purtroppo, ha avvertito, “i ladri di antichità sono scatenati pur di vendere sul mercato nero, per pura avidità, reperti del patrimonio mondiale di valore inestimabile. Per questo bisognerebbe stanziare le risorse necessarie e mobilitare la popolazione di volontari in uno sforzo collettivo per effettuare scavi sistematici in tutte le grotte del deserto di Giudea”.

I risultati preliminari dello studio scientifico del reperto vengono presentati giovedì in un Convegno che si tiene nel campus sul Monte Scopus dell’Università di Gerusalemme.

(Da: Jerusalem Post, Times of Israel, 26.10.16)

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