“Signora Biden, venga a vedere coi suoi occhi”

Lettera aperta alla moglie del vicepresidente Usa, da tre madri israeliane che vivono a ridosso del confine con Gaza

Di Yael Raz-Lachyani, Janet Swierzenski e Adele Raemer

Jill Biden, moglie del vice presidente Usa, durante una visita a Gerusalemme nel 2010

Gentile signora Jill Biden, gli israeliani vivono in un bel paese dove non c’è mai un momento di noia. Mai. Israele è una democrazia molto piccola, ma sproporzionatamente colorata e multiforme; molto amata e accogliente ma, a volte, molto molto impegnativa.

Tutte queste definizioni sono vere, ma valgono cento volte di più per noi tre che viviamo nelle comunità israeliane vicine al confine fra Israele e la striscia di Gaza – Yael a Nahal-Oz, Janet nel kibbutz Nir-Yitzhak e Adele nel Kibbutz Nirim – così come per tutte le madri che vivono nelle decine di bucoliche comunità agricole vicine alle nostre.

Come madri lavoratrici con figli da neonati all’età delle superiori, le nostre vite sembrano normali, con le solite attività quotidiane. Ma noi non possiamo mai dare per scontato un periodo di quiete, dal momento che le nostre casa si trovano a pochi passi dagli sbocchi nascosti dei tunnel terroristici di Hamas, scavati sotto i nostri campi di arachidi, di patate e di rape. E’ normale nei periodi di calma, ma negli ultimi 16 anni i nostri ragazzi sono cresciuti con la “normalità” di saper correre per salvarsi la vita appena suonano le sirene che annunciano uno dei 20.000 razzi e colpi di mortaio che Hamas ha arbitrariamente sparato contro le città e i villaggi israeliani di questa zona. Ormai per loro è un gesto istintivo come andare in bicicletta. “Normale” significa che le donne non indossano tacchi alti perché rallentano la corsa verso un riparo. Gaza è così vicina che abbiamo al massimo 15 secondi di preavviso, di solito anche meno, prima che i razzi esplodano. Le giovani madri portano fuori a giocare solo due figli per volta perché, se suonano le sirene d’allarme, non possono portarne in braccio più di due per correre in tempo al rifugio. Anche nei periodi tranquilli molti bambini hanno paura la notte, e molti di noi tengono zaini pronti vicino alla porta di casa per il caso in cui Hamas decidesse di scatenare un’altra guerra.

Due ragazze israeliane ad una fermata d’autobus protetta da pannelli di cemento, nei pressi di Sderot

Eppure, nonostante queste minacce le nostre comunità appaiono normali: i bambini vanno a scuola, facciamo la spesa, lavoriamo, coltiviamo, giochiamo, facciamo volontariato, usciamo per un hamburger, una pizza, un film. Solo poche settimane fa centinaia di migliaia di israeliani amanti della natura sono venuti in gita fra i campi primaverili rossi di papaveri nella stessa zona dove un anno e mezzo fa esplodevano i razzi.

Viviamo con ottimismo, nella speranza che la pace prevarrà. Insegniamo ai nostri figli che, sebbene i terroristi di Hamas siano appena al di là del confine, sul versante palestinese vi sono anche tante persone normali, genitori e figli come noi che desiderano le nostre stesse cose: cibo sulla tavola, luoghi sicuri per giocare, opportunità di studio e di lavoro. Sappiamo che quegli abitanti di Gaza sono tenuti in ostaggio dai fondamentalisti estremisti. Non li demonizziamo e non insegniamo ai nostri figli ad odiarli. Cerchiamo opzioni per la tolleranza e l’accettazione reciproca, e per un migliore futuro di pace per i nostri bambini e per i loro. Aspiriamo al giorno in cui non vi saranno più recinzioni e potremo recarci in visita dai nostri amici palestinesi e fare compere a Gaza.

Le nostre comunità, qui, hanno così tanto in comune con le comunità dove lei ha vissuto, le nostre famiglie condividono gran parte del vostro stesso background. Alcune di noi sono insegnanti ed educatrici, come lei. La nostra nazione crede nello spirito di servizio e tutte noi siamo madri di soldati, molte di noi esse stesse veterane delle forze armate.

Apprezziamo la calda amicizia che vi lega allo stato di Israele. Parlando l’anno scorso, suo marito ha riconosciuto che “il popolo di Israele vive in una regione molto pericolosa: anche solo essere israeliano richiede ancora un coraggio non comune”. E’ incoraggiante sentirlo dire, quando noi ci consideriamo semplicemente delle madri che crescono i propri figli e pregano per la pace.

Ragazzini israeliani giocano nei pressi di un rifugio di cemento colorato, nel kibbutz Nahal Oz

Il mese scorso abbiamo avuto l’onore di ospitare l’ambasciatrice americana Samantha Power, una brillante diplomatica che difende le ragioni di Israele alle Nazioni Unite, venuta a vedere di persona la nostra realtà. Anche a lei, signora Biden, vorremmo mostrare come non sia sufficiente avere buone recinzioni per avere buoni vicini. Buoni vicini sono i vicini sereni e al sicuro, che hanno più da guadagnare adoperandosi per la coesistenza che scavando tunnel per i terroristi. Dobbiamo contribuire a migliorare la qualità della loro vita. Gli abitanti di Gaza dovrebbero trovare lavoro nella costruzione di case, scuole e ospedali, anziché essere sfruttati da Hamas per scavare i tunnel sotto di noi.

Noi insegniamo ai nostri figli a desiderare un mondo migliore in cui regni la pace.

Siamo contenti che lei venga in Israele questa settimana con la sua famiglia e la invitiamo a farci visita, perché veda con i suoi occhi, e senta di persona quanto apprezziamo il sostegno degli Stati Uniti. Speriamo e preghiamo per una realtà migliore. La vita è complicata in Medio Oriente, e anche se convivenza e pace possono essere ancora lontane, è davvero la pace con i nostri vicini quella per cui noi preghiamo.

(Da: Times of Israel, 6.3.2016)