Un imperativo per Putin

Se Putin vuole migliorare la sua immagine, ecco su cosa deve cambiare posizione. E in fretta.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_673L’arrivo in Israele del presidente russo Vladimir Putin giustifica il cliché giornalistico secondo cui la vera importanza di questo evento consiste nel fatto stesso che l’evento ha luogo. Nessuno dei predecessori di Putin, né al tempo degli zar né al tempo degli autocrati sovietici, ha mai ritenuto di dover visitare questo paese, indipendentemente da quali fossero i loro interessi religiosi e/o politici. La decisione di Putin di non trascurare, durante il suo viaggio nella regione, questa destinazione finora accuratamente evitata costituisce in se stessa un fatto positivo, un segno di speranza e una rottura del tradizionale schema di Mosca in politica estera.
Ciò, tuttavia, pone degli interrogativi circa le motivazioni di Putin: perché imprime questa virata a quella che era diventata una consuetudine del Cremino? In un mondo segnato dalla realpolitik – arte in cui Putin primeggia – è difficile accettare l’idea che una tale svolta sorga soltanto dal desiderio di essere più corretto e di raddrizzare un errore storico.
In realtà Putin ha molto da guadagnare trascorrendo queste inedite 36 ore in Israele, ed enfatizzando il ritorno della Russia in Medio Oriente. Il vantaggio più immediato è nella sfera delle pubbliche relazioni. Putin ha problemi di immagine abbastanza gravi da danneggiare seriamente lui e il suo governo. Può darsi che, come altri esponenti dell’Europa orientale, egli ritenga che uno sfoggio di buoni rapporti con Gerusalemme possa migliorare la sua posizione a Washington.
Il suo considerevole seguito offre efficacemente l’immagine di un viaggio del tipo “people to people”. Di qui la sua sottolineatura sui contatti con la grande comunità di russofoni che vive in Israele (20% della popolazione), l’incontro con i veterani dell’Armata Rossa, la preghiera alla Chiesa di Maria Maddalena nel Giardino del Gethsemani, significativamente di proprietà della Chiesa Russa Bianca (con sede a New York). C’era un tempo una forte tradizione popolare russo-ortodossa di pellegrinaggi in Terra Santa e le Chiese russe posseggono ancora, qui, importanti immobili. Putin personalmente, nonostante il suo passato nel KGB, sottolinea di essere stato battezzato da ragazzino. Se vuole, non è inverosimile ipotizzare che possa contribuire a un rilancio di quei pellegrinaggi.
Ma Putin ha preoccupazioni più pressanti. La sua repressione degli “oligarchi” della nuova economia russa – fra i quali diversi ebrei – gli ha procurato una pessima stampa in occidente. Viene messa in dubbio la sua dedizione alla vera democrazia, talvolta viene persino accusato di posizioni antisemite. Una visita in questa terra, dove oggi risiedono alcuni dei “neo-arricchiti” ricercati, potrebbe aiutare in qualche modo a riabilitare la sua reputazione.
Lo stesso potrebbe valere per la possibilità di farsi fotografare con i leader stessi d’Israele, per quanto preoccupati possano essere costoro per la ripresa delle vendite di armi russe in Medio Oriente. Una carrellata di amichevoli strette di mano può aiutare a ridurre alcune delle critiche e delle preoccupazioni occidentali circa le rinascenti ambizioni russe da superpotenza.
Putin cerca di rassicurare gli israeliani che non c’è pericolo nella vendita alla Siria di missili terra-aria SA-18, destinati “unicamente a scopi difensivi” (cioè a proteggere il palazzo residenziale di Bashar Assad da sorvoli delle forze aeree israeliane). Dice anche di confidare che la Siria non metterà questi missili a disposizione degli arsenali terroristici che stanno sotto l’egida di Damasco (in primo luogo Hezbollah), e che in ogni caso non potrebbero diventare armi anti-aeree “da spalla” giacché sono montati su camion. Ora, con tutta la buona volontà, non possiamo berci nessuno di questi argomenti. Qualunque cosa sia in possesso dei siriani può facilmente passare nelle mani degli Hezbollah. E qualunque cosa sia montata su un camion, da quel camion può essere smontata. Non c’è mai una garanzia assoluta su dove possano finire armi vendute in modo così discutibile. Gli americani armarono fino ai denti lo Scià di Persia considerandolo un alleato affidabile, ma dopo la sua caduta le loro armi finirono nella mani degli ayatollah. Quand’anche la Siria non trasferisse tali acquisti ai suoi protetti terroristi (cosa che non può essere data per scontata, dati i precedenti), in ogni caso Putin dovrebbe sapere bene che la distinzione fra armi difensive e armi offensive è totalmente artificiosa. I suoi missili limiterebbero la possibilità per le forze aeree israeliane di condurre voli a bassa quota su installazioni strategiche o sensibili siriane, decurtando in questo modo la loro capacità operativa e dunque aumentando le capacità d’attacco siriane.
Il che ci porta dritti alla più sconcertante delle avventure di Putin: la sua continua fornitura di tecnologia, know-how e personale tecnico nucleare all’Iran, proprio in un periodo in cui l’America sta cercando disperatamente di mobilitare il mondo contro l’imminente minaccia di armi nucleari nelle mani di fanatici islamismi. Pretendere che le attività della Russia in Iran siano innocue, e che siano tutte perfettamente sotto controllo, è semplicemente disonesto.
Israele ha tutto il diritto di aspettarsi solidarietà da una Russia che ha essa stessa sofferto tanto atrocemente per mano dei terroristi etnico-islamisti. Gran parte del resto del mondo, poi, condivide pienamente la forte preoccupazione di Israele circa un Iran nucleare. Se Putin vuole veramente migliorare la sua immagine internazionale, ecco su cosa deve cambiare posizione. E in fretta.

(Da: Jerusalem Post, 27.04.05)