Manifestazioni israeliane per la liberazione degli ostaggi: comprensibili, ma controproducenti

Prima del 7 ottobre protestare contro Netanyahu era un dovere civico. Oggi la questione è totalmente diversa, e bisogna protestare contro l’Onu e gli altri che ostacolano lo sforzo di Israele

Di Baruch Stein

Baruch Stein, autore di questo articolo

Sono cittadino israeliano da circa quindici anni e ho votato in una decina di elezioni israeliane, nazionali e locali. Non ho mai votato per Netanyahu o per il suo partito Likud in nessuna elezione.

Gli ostaggi, tuttavia, sono una questione di consenso nazionale riguardo alla quale sospendo il giudizio su Netanyahu. Sono sicuro che li vuole a casa tanto quanto qualunque altro israeliano (anche quelli che non hanno parenti e amici fra gli ostaggi).

Dunque, cosa sta facendo il governo per gli ostaggi? Sin dal primo giorno ha mobilitato centinaia di migliaia di soldati riservisti, che sono andati in guerra. Nelle settimane successive, decine di loro sono morti mentre i dimostranti per la liberazione degli ostaggi manifestavano davanti alla Knesset, davanti all’ufficio e all’abitazione di Netanyahu, davanti al Ministero della Difesa e nel resto del paese.

Ma coloro che hanno rapito gli ostaggi non sono Netanyahu né il governo israeliano. Ovvio che non è possibile manifestare davanti al quartier generale di Hamas, ma se dovessi manifestare lo farei davanti alle sedi delle Nazioni Unite che ci sono in Israele, o magari davanti alle ambasciate dei paesi che chiedono a Israele di “moderarsi” o di cessare del tutto i combattimenti.

Quando Hamas vede gli israeliani reagire al ricatto sugli ostaggi protestando contro il proprio governo, quello che vede è un governo israeliano sotto pressione perché faccia ulteriori concessioni. Ciò non fa che spingere Hamas a irrigidire la propria posizione: rafforza la sua posizione negoziale, indebolisce quella di Israele e rende più difficile garantire il rilascio proprio delle persone che le proteste vorrebbero salvare, mettendo anzi in pericolo le loro vite. Più alto il “prezzo” che Hamas riesce a strappare per il rilascio di ostaggi, più questo incentiva i terroristi anti-israeliani (anche gruppi diversi da Hamas) a progettare altri sequestri di ostaggi.

Un’immagine della marcia di novembre da Tel Aviv fino all’ufficio del primo ministro, a Gerusalemme, di manifestanti israeliani che chiedono al loro governo di portare a casa gli ostaggi deportati da Hamas a Gaza

Chi merita d’essere contestato?
Il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres ha detto che gli eventi del 7 ottobre “non sono nati dal niente” (intendendo che sono colpa di Israele). Il 7 ottobre Hamas ha perpetrato un’ecatombe indicibile, eppure la relatrice speciale dell’Onu Francesca Albanese, parlando il 14 novembre al National Press Club of Australia mentre Hamas teneva in ostaggio circa 240 persone, ha detto che “Israele non può rivendicare il diritto di legittima difesa contro una minaccia proveniente da un territorio che occupa”. In realtà Israele non è più presente a Gaza dal 2005. Ma siccome Hamas, il gruppo terroristico che controlla la striscia, è votato alla distruzione di Israele, rifiuta di deporre le armi e rifiuta il diritto di Israele ad esistere, era necessario che Israele impedisse il libero ingresso a Gaza di armi e altri equipaggiamenti utilizzati dai terroristi per attaccare Israele.

I dimostranti per gli ostaggi hanno chiesto che alti rappresentanti del governo dedicassero più tempo a incontri con i famigliari delle persone prigioniere a Gaza. Ma non è più importante che i governanti dedichino tutto il loro tempo all’effettiva dimensione militare e diplomatica della guerra, e ai negoziati indiretti con Hamas? Non abbiamo bisogno di incontri e strette di mano davanti alle telecamere, abbiamo bisogno di ostaggi liberati.

Prima del 7 ottobre protestare contro Netanyahu era un dovere civico. E’ sotto processo. Anche indipendentemente dagli esiti giudiziari, è inappropriato che un uomo incriminato per corruzione e manipolazione dei mezzi di informazione ricopra la carica di primo ministro. Ci sono altri in grado di guidare il paese senza queste ombre.

Ma nulla di tutto ciò ha a che fare con la questione del momento. Con tutto il rispetto per i temi che dividono la società israeliana, questo è un momento di crisi che richiede unità e impegno comune, non divisioni e accuse reciproche. Coloro che protestano contro le persone che stanno cercando di ottenere il rilascio degli ostaggi minano la propria stessa causa e mettono in pericolo vite umane, mentre potrebbero benissimo manifestare davanti alle sedi delle Nazioni Unite a sostegno dello sforzo israeliano.

(Da: YnetNews, 8.12.23)