Chi gioca sporco con la carta palestinese?

È sempre più evidente che il conflitto contro Israele non riguarda la causa palestinese

Da un articolo di Barry Rubin

image_2009In mezzo alle minacce di Hezbollah contro Israele all’indomani dell’uccisione del capo delle operazioni di terrorismo di quel gruppo Imad Mugniyah, si è registrato un fatto di notevole interesse, che dice molto circa il futuro del Medio Oriente.
Si tratta della dichiarazione rilasciata dal generale Muhammad Ali Jafari, comandante delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, vale a dire della principale forza militare di Teheran (nonché dei futuri custodi delle armi nucleari dell’Iran). Jafari ha preannunciato che “in un futuro prossimo assisteremo alla distruzione di quella crescita cancerosa che è Israele”. Ma questa non è la parte più interessante del suo discorso. Ciò che è più notevole è chi realizzerà l’opera di distruzione: secondo Jafari, Israele sarà spazzato via dalla carta geografica ad opera di Hezbollah.
Si potrebbe prenderla come una spacconata propagandistica. Se invece vi si presta un attimo di attenzione, la dichiarazione rivela un notevole spostamento rispetto a ciò che è stato vero negli ultimi sessant’anni e più.
Jafari e altri esponenti iraniani preferiscono non dire a chiare lettere che sarà lo stesso Iran a realizzare l’annichilimento di Israele. Dopo tutto, in passato allusioni di questo genere non hanno fatto che rafforzare l’opposizione internazionale all’ambizione iraniana di dotarsi di armi nucleari che potrebbero essere usate contro Israele. Una tale presa di posizione, inoltre, potrebbe persino giustificare un attacco da parte di Israele in quanto paese apertamente minacciato di genocidio da parte di Teheran.
Tuttavia, ciò che di fatto fa Safari è cancellare dalla scena tutti i protagonisti storici del conflitto: stati arabi, movimenti nazionalisti arabi, musulmani sunniti e – cosa particolarmente rilevante – gli stessi palestinesi. La guerra viene dunque condotta dagli eroi di oggi, vincitori di domani: i musulmani sciiti, e in particolare quelli libanesi. Non è più nemmeno una guerra fra musulmani ed ebrei (che è la percezione islamica generale) dal momento che la grande maggioranza dei musulmani (sunniti) non viene più menzionata.
Naturalmente Hezbollah ha sempre detto che avrebbe combattuto e sconfitto Israele, sebbene negli anni ’80 e ’90 fosse innanzitutto interessato a riprendersi il controllo sul Libano meridionale. Ma parlare di Hezbollah, e solo di Hezbollah, come protagonista della lotta e della disfatta di Israele configura una nuova teoria del conflitto.
Non dovevano essere i palestinesi l’avanguardia della lotta? E questa lotta non doveva essere teoricamente combattuta in loro nome?
Ora, invece, è diventata una causa non araba e nemmeno islamica, bensì sciita: da utilizzare per promuovere l’egemonia iraniana sulla regione. Gli arabi sono tagliati fuori, sono tagliati fuori i sunniti, e sono tagliati fuori gli stessi palestinesi.
Non è impossibile una cooperazione tra sunniti e sciiti: gli esempi migliori sono la simpatia per il regime siriano pur con la sua maggioranza sunnita, e quella per i fondamentalisti sunniti palestinesi di Hamas clienti dell’Iran. Ma per lo più sunniti e sciiti sono in forte antagonismo, arrivando spesso a dividersi in scontri sanguinosi.
Si consideri un aspetto quasi completamente ignorato: non c’è e non c’è mai stata un’organizzazione tipo Hamas fra i palestinesi in Libano. Perché? Perché gli iraniani, i siriani e Hezbollah non permettono a nessun concorrente di operare, eccetto i loro gruppi fantoccio.
È vero che sauditi, giordani, egiziani, iracheni e una decina di altri stati arabi – almeno per ora – non sono direttamente coinvolti nel conflitto. Se ne sono tirati fuori, almeno dal piano della lotta attiva, indipendentemente da quanta propaganda facciano sulla questione. Ma come si sentiranno i Fratelli Musulmani egiziani (sunniti) e i palestinesi di Fatah (o anche quelli di Hamas) di fronte a questa ri-definizione del conflitto che li relega nell’irrilevanza?
Si tratta, naturalmente, di un piano sciovinista iraniano e sciita (che comprende anche la Siria, che è sì a maggioranza sunnita ma dominata da un regime alawita che si dichiara vicino agli sciiti e alleato dell’Iran). Come se dicessero: ora la carta palestinese è nelle nostre mani.
Ma, se la carta palestinese viene usata come uno strumento al servizio di Teheran, perché mai i sunniti e gli stati arabi dovrebbero sostenere questo tentativo? Se una minoranza di libanesi vuole sfruttare il conflitto israelo-palestinese per perseguire le proprie ambizioni e i propri legami con potenze straniere, perché mai la maggioranza dei libanesi dovrebbe accettare di patire e morire, lasciando che il paese venga usato come campo di battaglia?
E come fa l’occidente a continuare a pensare che tutta la questione ruoti soltanto attorno ai palestinesi quando è sempre più evidente – ma è sempre stato vero – che il conflitto è piuttosto imperniato su una lotta di potere per il controllo della regione?

(Da: Global Research in International Affairs Center, Interdisciplinary Center, Herzliya, 19.02.08)

Nella foto in alto: Muhammad Ali Jafari