L’UNRWA compie 65 anni (e sono 65 di troppo)

Secondo i parametri dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, più del 97% di quelli che l’UNRWA considera profughi non lo sono per niente

Editoriale del Jerusalem Post

L'Alto

L’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati ha aiutato 50 milioni di persone a ricostruirsi una nuova vita: oggi non sono più “profughi” – L’UNRWA si è presa cura dal 1948 di 711.000 profughi palestinesi facendoli diventare, oggi, 5 milioni di profughi

Mettendo in scena un altro dei suoi spettacoli surreali, la scorsa settimana l’Onu ha celebrato il 65esimo compleanno di uno dei suoi rampolli più deformi e degeneri: l’agenzia per i profughi palestinesi UNRWA.

L’UNRWA venne fondata nel 1949 con il compito di occuparsi esclusivamente di quelli che venivano considerati profughi palestinesi. Di tutti gli altri profughi nel mondo, indipendentemente dalle loro condizioni e difficoltà oggettive, si occupa l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (UNHCR): per qualche motivo, solo la categoria dei profughi palestinesi gode del privilegio d’essere assistita da un’agenzia in esclusiva: l’UNRWA appunto.

La malformazione era già insita nel genoma dell’UNRWA. Il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha ammesso che, nelle intenzioni, l’UNRWA non avrebbe dovuto durare così a lungo, ma ha sostenuto che “se persiste, è a causa di un fallimento politico”. Guarda caso, nella migliore tradizione delle Nazioni Unite, è Israele che viene incolpato di questo fallimento. Lo stato ebraico viene sempre dipinto come il cattivo in commedia, ed è esasperante come la sua presunta cattiveria venga accettata come assiomatica.

Il Commissario generale dell’UNRWA Pierre Krahenbuhl piange calde lacrime sulle statistiche dei profughi che egli tipicamente presenta come fatti incontestabili, mentre invece ci sarebbe molto da eccepire. Secondo Krahenbuhl, ci sono oggi in Medio Oriente più di 5 milioni di profughi palestinesi, perché questo è il numero registrato presso l’UNRWA, e poco importa se sono all’opera potenti incentivi personali che spingono a registrarsi come profughi nonché evidenti interessi politici che spingono a gonfiare le liste dei profughi.

Tanto per cominciare gli stessi interessi dell’apparato burocratico dell’UNRWA escludono che essa possa essere neutrale e imparziale, dato che neutralità e imparzialità porterebbero realmente a miglioramenti tali da ovviare al vergognoso pretesto che tiene in piedi tutta la baracca dell’UNRWA. L’esistenza dell’UNRWA dipende infatti, in modo perverso, dal fatto che non vengano mai rimarginate le ferite di questa regione. In altre parole, è preciso interesse dell’UNRWA mantenere ben vive le fiamme del conflitto.

L'UNRWA

L’UNRWA assiste 4,8 milioni di profughi operando i 5 paesi con un budget di 948 milioni di dollari (197,5 dollari per profugo) e uno staff di 29.000 dipendenti (1 dipendente ogni 165 profughi). L’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati assiste 33,9 milioni di profughi operando i 126 paesi con un budget di 3.590 milioni di dollari (105,9 dollari per profugo) e uno staff di 7.753 dipendenti (1 dipendente ogni 4.372 profughi)

I dati dell’UNRWA indicano innegabilmente un problema incancrenito, ma non nel senso che intendono Ban Ki-moon e Krahenbuhl. È vero, l’UNRWA è tenuta in vita da un fallimento politico, ma è un fallimento che non è affatto dovuto a Israele. I paesi arabi, tra i quali figurano stati monarchici e feudali assurdamente ricchi di petrodollari (e assai tirchi nelle loro elargizioni all’UNRWA), utilizzano quella stessa agenzia per impedire calcolatamente ai discendenti dei profughi palestinesi di perdere lo status di profughi. In questo modo hanno creato il più formidabile ostacolo alla pace che sostengono di perseguire. Pur sostenendo a parole di essere favorevoli alla soluzione “due stati per due popoli”, tengono deliberatamente vivo e alimentano il sogno di inondare Israele con milioni di palestinesi ostili. Se quegli stessi paesi così gretti avessero invece esortato i discendenti dei profughi ad abbandonare la pretesa di un “diritto al ritorno” (che non viene riconosciuto ai discendenti di nessuna comunità di profughi), avrebbero dato un colossale, autentico contributo sia al benessere dei profughi che alla pace. Perpetuando innaturalmente il problema per generazioni, essi smentiscono nei fatti la loro pretesa di essere a favore di una pacifica soluzione a due stati.

Lo stesso vale per la stessa UNRWA, un’organizzazione la cui ragion d’essere è fraudolenta e la cui auto-conservazione dipende dal garantire che il problema ad essa affidato non venga mai risolto. Tutto questo diventa evidente quando si considerano le diverse definizioni di “profugo” a cui ricorrono l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati e l’UNRWA. Per l’Alto Commissariato è profugo colui che “a causa del fondato timore d’essere perseguitato … si trova al di fuori del paese di cui è cittadino”. In base a questa definizione, i discendenti del profugo non sono profughi. I figli di profughi cubani nati in Florida non sono considerati dei senza patria (come non lo sono i figli degli italiani esuli da Istria e Dalmazia).

L’unica eccezione sono i palestinesi. L’UNRWA classifica come profugo qualunque arabo, nativo o no, che abbia abitato “in Palestina tra il primo giugno 1946 e il 15 maggio 1948, e che abbia perso casa e mezzi di sussistenza a causa della guerra del 1948”. Qualunque lavoratore arabo migrante che si fosse trovato in quei due anni nella Palestina Mandataria britannica può rivendicare lo status di profugo palestinese. Non basta. L’UNRWA stabilisce che il titolo di profugo si estende ai “discendenti di persone divenute profughi nel 1948”. In pratica, basta un bisnonno profugo per ereditarne lo status, anche quando non si vive affatto “al di fuori del paese della propria nazionalità”. Secondo i parametri dell’Alto Commissariato, più del 97% di coloro che l’UNRWA considera come profughi sono lo sono per niente.

Così può accadere che venga classificato come “profugo palestinese” un arabo che vive in terra palestinese, figlio di genitori nati in terra palestinese ma considerati “profughi” perché nel 1948 un loro nonno dovette sfollare – poniamo – di 40 km da Ramle (Israele) a Kalandia (nella Samaria allora occupata dalla Giordania) a causa della guerra scatenata dagli stati arabi contro Israele. E magari a Ramle quel bisnonno ci era arrivato solo qualche anno prima dalla Giordania o dall’Egitto.

Non esiste nessun altro organismo delle Nazioni Unite in cui si sovrappongano così tanti strati di sfrontata ipocrisia con il solo scopo di contribuire cinicamente alla perpetuazione della miseria, anziché aiutare la causa della pace e del benessere. È giunto il momento di considerare l’UNRWA come un problema in quanto tale. E’ giunto il momento di smetterla di sborsare milioni che servono solo a ostacolare la pace tenendo artificialmente in piedi una indegna farsa. Questa regione del mondo starebbe meglio senza l’UNRWA. E’ giunta l’ora di trasferire le responsabilità dell’UNRWA all’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, come in tutto il resto del mondo.

(Da: Jerusalem Post, 6.6.15)