Luoghi comuni e riflessi condizionati

Qualche riflessione su alcuni aspetti inquietanti della copertura mediatica dei recenti fatti terroristici di Parigi

Di Seth J. Frantzman

Seth J. Frantzman, autore di questo articolo

Seth J. Frantzman, autore di questo articolo

L’attentato dei fratelli Said e Cherif Kouachi agli uffici di Charlie Hebdo a Parigi, la successiva caccia all’uomo e l’attacco a un supermercato ebraico ad opera di Amedy Coulibaly hanno prodotto una valanga di notizie, commenti e dibattiti. Sono anche emersi alcuni aspetti inquietanti, nella copertura mediatica degli eventi, che vale la pena sottolineare.

1. “E’ tempo di limitare la libertà di espressione?”. Se lo sono chiesto senza mezzi termini in diversi dibattiti sulla BBC: la stessa BBC che si era rifiutata di mostrare le immagini dello spietato assassinio del poliziotto Ahmed Merabet, che appariva sulla prima pagina di molti giornali. Per qualche motivo, mostrare le immagini di ciò che fanno realmente i terroristi sarebbe “offensivo”, proprio come la BBC aveva ritenuto “offensivo” mostrare le vignette di Charlie Hebdo che avrebbero scatenato l’ira omicida. Il fatto stesso che all’indomani degli attentati il tema in discussione sulla BBC fosse “Il diritto di espressione forse andrebbe limitato” è abbastanza incredibile: dunque il semplice fatto che un gruppo di persone è disposto a trucidare il prossimo perché si sente “offeso” implica che si debba seriamente discutere se per caso non abbia ragione di farlo. Evidentemente, sebbene non siano moltissimi coloro che sono pronti a uccidere per il semplice fatto di sentirsi “offesi”, molte di più sono le persone che accettano implicitamente questa logica perversa. E non solo tra i loro fiancheggiatori.

Il Ku Klux Klan ritratto in una scena del film "Nascita di una nazione" di D. W. Griffith (1915)

Il Ku Klux Klan ritratto in una scena del film “Nascita di una nazione” di D. W. Griffith (1915)

2. Che si tratti soltanto di “un piccolo gruppo di estremisti” è una delle affermazioni che si sente ripetere più spesso quando si tratta di spiegare come mai non dobbiamo porci troppe domande su chi sono questi terroristi, da dove escono, quale ambiente li ha nutriti, che effetto hanno sulla loro comunità e sulla società in generale. Ma i “piccoli gruppi di estremisti” e gli individui disposti a morire pur di imporre con la violenza le proprie convinzioni sono stati spesso gli artefici della storia umana. Quanti membri del Ku Klux Klan si dedicarono effettivamente ai linciaggi? Alcune centinaia nell’arco di più di cento anni? Il numero di membri del Ku Klux Klan che hanno effettivamente partecipato alle uccisioni è sempre stato relativamente piccolo. Eppure avevano un effetto devastante. Un solo linciaggio mandava un messaggio a milioni di persone, potenziali vittime e potenziali carnefici. Poche persone vennero effettivamente linciate, ma questo non significa che si dovesse descrivere il Ku Klux Klan come un fenomeno marginale, esortando a “concentrarsi sulle tante persone per bene che c’erano negli Stati Uniti del sud”. Il Ku Klux Klan non venne sconfitto minimizzandone la portata. Al contrario, venne sconfitto da una tenace battaglia politica e culturale di più generazioni contro la palude in cui il fenomeno suppurava, contro i temi e la mentalità che lo cullavano e alimentavano. Lo stesso vale per l’omofobia. Pochissime persone traducono l’odio omofobico in concreti reati di violenza. Ma il danno arrecato alla comunità gay da tali reati è enorme, e solo quando la società ha cominciato a fare seriamente i conti con la meschinità, il disprezzo e l’odio che stanno dietro a questi crimini, le cose hanno iniziato a cambiare veramente. E questi non sono che alcuni esempi. Anche i nazisti all’inizio erano solo un “piccolo gruppo di estremisti” molto fanatici e determinati, come lo erano i comunisti che diedero vita allo stalinismo. Eppure, quando si tratta di terrorismo islamista si preferisce sospendere ogni cauta diffidenza e concentrarsi sul 99% anziché sull’1%. E’ come se, dopo un linciaggio negli Stati Uniti del sud, si fosse predicato ai quattro venti che bisognava concentrare tutta l’attenzione sul “99% di bianchi per bene che non fanno linciaggi”. Non ha senso continuare a ripetere che i terroristi islamisti sono solo “un piccolo gruppo non rappresentativo” e che “non sono veri musulmani”. Certo, si sarebbe potuto ripetere all’infinito che i membri del Ku Klux Klan non erano “veri cristiani” né “veri americani”. E allora? Proclamare che le loro azioni non sono “rappresentative” non cambia nulla. Anzi, di fatto incoraggia a subire la loro esistenza e scoraggia una vera discussione sulle loro azioni e motivazioni.

Nella vignetta di Latuff i terroristi che sparano a Charlie Hebdo colpiscono in realtà una moschea

3. Mentre i terroristi ancora si aggiravano nei pressi di Parigi e Coulibaly preparava armi e munizioni per fare una strage di ebrei, molti mass-media avevano già iniziato a dire che “i veri vincitori in questa vicenda sono l’estrema destra e i razzisti”, sostenendo al contempo che le “vere vittime sono i musulmani”. Ne siamo proprio sicuri? Certo, ci sono stati musulmani fra le vittime, come il poliziotto Ahmed Merabet e il redattore di origine algerina Mustapha Ourrad. E ci sono stati eroi musulmani, come il dipendete musulmano del supermercato kasher Lassana Bathily che ha messo in salvo diversi cittadini ebrei. Ma non è questo che intende, chi afferma che le “vere vittime” degli attentai sono “i musulmani francesi che ora ne pagheranno il prezzo”. Come quella vignetta di Latuff in cui i terroristi che sparano a Charlie Hebdo colpiscono in realtà una moschea. L’aspetto problematico di questo approccio è che tende a ignorare le vere vittime. Cerchiamo di essere onesti: si direbbe lo stesso se i responsabili fossero di qualche altro gruppo? Le vere vittime dei linciaggi del Ku Klux Klan erano i bianchi del sud vittime di “sudistofobia”? Le vere vittime dei nazisti erano “i comuni tedeschi vittime di germanofobia”? E allora: le vere vittime del terrorismo islamico sono le concrete vittime del terrorismo islamico. E l’estremo paradosso è che fra queste si contano moltissimi musulmani in Sudan, in Nigeria, in Pakistan, in Siria e così via: concretissime vittime del terrorismo islamista, non dell’islamofobia.

Vignetta negazionista “in risposta” alle vignette su Maometto

4. Nel 2006, in “risposta” alla pubblicazione sul quotidiano danese Jyllands-Posten di vignette che sbeffeggiavano Maometto, l’Iran decise di organizzare un concorso internazionale di vignette che negavano e ridicolizzavano la Shoà. Analogamente oggi la reazione di una parte dell’estrema sinistra è stata quella di pubblicare vignette contro gli ebrei presumibilmente per “bilanciare” quelle su Maometto di Charlie Hebdo. Si consideri bene la cosa: ci sono 500 milioni di europei e 1,4 miliardi di musulmani, ma quando un vignettista europeo prende in giro Maometto ecco che il riflesso condizionato è quello di prendersela con gli ebrei. Se si trattasse di qualsiasi altro gruppo tutti si domanderebbero perché. Se in “reazione” alle vignette su Maometto di Charlie Hebdo l’estrema sinistra avesse scelto di pubblicare delle vignette contro i gay o contro i neri, tutti avrebbero pensato che erano impazziti. Sembra invece in qualche modo “conseguente” che se la prendano con gli ebrei. La realtà è che il mondo è assuefatto all’aggressione contro gli ebrei. Non moltissimi la praticano. Ma tanti, troppi la considerano “normale”.

(da: Jerusalem Post, 11.1.15)