Nessun bisogno di inchinarsi ad Assad

Un vero accordo di pace potrà essere discusso solo dopo che la Siria avrà subito un profondo cambiamento

di Gabriel Siboni

image_2664Il recente appello del presidente siriano Bashar Assad per la ripresa di negoziati (indiretti) con Israele ha riportato in primo piano il tema dei colloqui fra Gerusalemme e Damasco. Le precipitose risposte da parte del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, del presidente Shimon Peres e del ministro della difesa Ehud Barak, che hanno espresso la loro disponibilità ad avviare al più presto possibile negoziati senza precognizioni, dimostrano abbondantemente come Assad stia riuscendo ad avere una cosa e anche il suo contrario.
La Siria è uscita dal gelo politico-diplomatico quando vennero svelati i colloqui indiretti intrattenuti con Israele grazie ai buoni uffici della Turchia. Quei colloqui hanno conferito legittimità al regime siriano anche se la Siria continuava a fare lealmente parte del blocco estremista. Quei colloqui hanno favorito il regime prima ostracizzato, causando a Israele un danno strategico le cui vere dimensioni devono ancora essere pienamente comprese. Giacché in realtà la Siria era e rimane un serio perturbatore dell’equilibrio regionale, come possono testimoniare le forze americane che devono fare i conti coi suoi tentativi di destabilizzare l’Iraq.
Assad può vantare diversi risultati personali di questo genere: è ben noto il coinvolgimento siriano nell’assassinio del primo ministro libanese Rafik Hariri; la Siria sta sviluppando armi chimiche di distruzione di massa e si sa che ha cercato di costruire un reattore nucleare per dotarsi di capacità nucleari militari. Nel corso degli anni, varie organizzazioni terroristiche hanno trovato nella Siria un ospite assai utile e disponibile. Il profondo coinvolgimento della Siria in Libano e il suo ruolo nelle forniture di armi sofisticate a Hezbollah accresce l’instabilità libanese, al contempo garantendo copertura al crescente coinvolgimento iraniano. Tutto questo dimostra quanto profondamente Assad sia implicato nell’asse estremista.
Alcuni dicono che tirar fuori la Siria dall’asse del male migliorerebbe complessivamente il bilancio strategica di Israele. Bisognerebbe invece prestare maggior attenzione alle parole del presidente siriano. Per Assad, la pace con Israele significa che Israele si ritira totalmente dal Golan (fino alle linee arbitrare del giugno 1967) mentre lui preserva intatto il suo legame strategico con l’Iran e con gli altri stati fuorilegge.
L’esperienza passata dimostra che i tentativi di riavvicinamento da parte di Israele e di settori della comunità internazionale non rendono più moderate le posizioni di Assad, ma anzi lo convincono sempre più di poter aver entrambe cose contemporaneamente.
I politici israeliani dovrebbero essenzialmente riesaminare i reali interessi di’Israele riguardo alla Siria, superando il tipo di approccio strategico in auge negli ultimi trent’anni che ora appare desolatamente obsoleto.
Il nemico, avendo capito di non poter conquistare Israele, ha optato per il logoramento e l’attrito, con l’obiettivo di stremare gli israeliani nel lungo periodo. Alla luce di questo cambiamento, appare chiaro quanto sia poco opportuno cedere punti di forza in cambio di disposizioni e garanzie sulla sicurezza, zone smilitarizzate e cose del simili. Un vero accordo di pace con la Siria potrà essere discusso soltanto dopo che la Siria avrà subito un profondo e sostanziale processo di mutamento. Ma il desiderio di compiacere il regime di Damasco e avviare comunque colloqui non contribuirà affatto alla realizzazione di tale mutamento.
Assad, il cui supremo interesse è preservare il regime alawita, ha molto da perdere. Israele dovrebbe cercare di arrivare a un’intesa strategica con l’amministrazione americana sulle condizioni fondamentali da porre per l’avvio di colloqui con la Siria. E la prima condizione deve essere il divorzio di Damasco dall’asse dell’estremismo e dall’ideologia estremista. Afflitta dalla crisi economica e piazzata in una problematica posizione geo-strategica, la Siria deve essere indotta a scegliere una nuova via, prima dell’avvio di colloqui di pace. In questo momento l’atteggiamento arrogante di Assad equivale a quello di chi, stando in una casa fatta di vetro, getta pietre in tutte le direzioni.

(Da: Ha’aretz, 15.11.09)

Nella foto in alto: il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad (a sin) stringe la mano al presidente siriano Bashar al-Assad durante il summit economico dei paesi islamici, a Istanbul, lo scorso 9 novembre